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Il giudice napoletano, in apertura, rileva che la titolarità del diritto di agire è la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio e, pertanto, costituisce un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l’attore ha l’onere di allegare e provare. Ne consegue che la difesa con la quale il convenuto si limiti a dedurre, ed eventualmente argomentare (senza contrapporre e chiedere di provare fatti impeditivi, estintivi o modificativi), che l’attore non sia titolare del diritto azionato è una mera difesa e non è un’eccezione, né quindi un’eccezione in senso stretto; tale difesa, pertanto, può essere proposta in ogni fase del giudizio e, a sua volta, in giudice può rilevare dagli atti la carenza di titolarità del diritto anche d’ufficio.

Secondo il prevalente e condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, il difetto di titolarità della posizione giuridica attivata dalla parte istante è rilevabile di ufficio, visto che «la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda, che attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, e la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa, anche in grado di appello»[1]. Ebbene, nel caso di specie, pur avendo depositato la parte opposta la missiva di comunicazione della cessione del credito al debitore ceduto, essa potrebbe, a limite, avere valore esclusivamente come prova della messa a conoscenza della circostanza da parte dell’originaria contraente, ma non dell’effettivo e valido trasferimento della posizione creditoria. Se, infatti, è vero che per consolidata giurisprudenza «La notificazione al debitore ceduto, prevista dall’art. 1264 c.c., non si identifica con quella effettuata ai sensi dell’ordinamento processuale, ma costituisce un atto a forma libera che, come tale, può concretarsi in qualsivoglia atto idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio, senza che risulti prescritto, ai fini della efficacia della cessione, che questa sia notificata al debitore prima che quest’ultimo sia citato in giudizio; pertanto, la notificazione della cessione può essere effettuata anche mediante comunicazione scritta – eventualmente mediante citazione in giudizio – con la quale il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto o anche successivamente, nel corso del giudizio. Conseguentemente, ai fini della notificazione della cessione è pertanto sufficiente anche l’atto di citazione in giudizio, dove il cessionario deve provare, tuttavia, l’avvenuta cessione del credito di cui chiede il pagamento»[2], tuttavia la notifica prevista dal primo comma dell’art 1264 c.c. non è requisito di validità della cessione né elemento essenziale per poter determinare la sussistenza della legittimazione processuale in capo alla cessionaria.

Tale istituto è, infatti, previsto dalla normativa vigente a mera tutela dell’esigenza di certezza circa la liberazione del debitore dall’obbligazione stessa, come previsto dal disposto del secondo comma del citato articolo, secondo il quale il debitore che paga al cedente non è liberato, se il cessionario prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell’avvenuta cessione. Altro, invece, è la prova dell’intervenuta cessione, nel caso di specie assolutamente mancante.

Invero, è il cessionario a dover provare la titolarità del rapporto all’esito della cessione, con documenti circostanziati idonei a dimostrare l’incorporazione e l’inclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione in blocco[3].

Ebbene, la Banca ha depositato il contratto di cessione di crediti che, quanto all’indicazione dei crediti ceduti in blocco, senza una descrizione sufficientemente compiuta anche in termini di categorie e tempi di maturazione del credito, rimandava ad un allegato “A” (Crediti Ceduti). Tuttavia, il predetto allegato non è stato depositato in atti, neanche per estratto, tanto che non è possibile effettuare alcun riscontro in ordine all’inclusione del credito vantato dall’opposta tra i crediti ceduti; né tale prova può essere desunta dalla “DICHIARAZIONE DELLA CEDENTE” riportata nel corpo della memoria di replica conclusionale depositata dalla parte opposta, in quanto di tale documento invero non vi è traccia né nel fascicolo monitorio, né nella produzione depositata dalla parte opposta in sede di opposizione; del resto, nella indicata dichiarazione si fa riferimento alla cessione dei crediti vantati dalla SPV nei confronti dell’opponente, laddove nella specie l’originaria titolare del credito risultava essere la Banca. Va da ultimo osservato che non è stato prodotto neanche l’estratto di pubblicazione della Gazzetta Ufficiale. Ed invero, «In tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione»[4]. Ne consegue che in difetto della prova della titolarità del credito azionato, la domanda di pagamento della ricorrente non può che essere rigettata, con la conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto.

 

 

 

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[1] V. App. Napoli, Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 23.09.2020, n. 3222; Cass. Civ., Sez. Un., n. 2951/2016; Cass. n. 8758/2016; Cass. n. 943/2017; Cass. n. 11744/2018; Cass. n. 22525/18.

[2] V. ex multis Trib. Prato, 12.10.2011, n. 1055.

[3] Cfr. Trib. Napoli, Sez. II, n. 8245/2022.

[4] Da ultimo, Cass. n. 17110/2019.

 

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