Gli artt. 6 e 7 D.lgs. 150/2011 prevedono rispettivamente che i giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative di cui alla L. 689/1981 e quelle aventi ad oggetto i verbali di accertamento per violazioni del codice della strada siano sottoposti al rito del controversie di lavoro, ove non diversamente previsto. Anche il giudizio di appello in tema di sanzioni soggiace al rito delle controversie di lavoro, non essendo comprese tra le norme escluse tutte quelle che regolano il giudizio di impugnazione.
Tra le norme processuali applicabili figurano, altresi’, l’art. 429, comma primo, c.p.c. e l’art. 437 c.p.c., che impongono, rispettivamente per il primo ed il secondo grado, la lettura del dispositivo in udienza.
In caso di omissione della lettura, il giudice deve dichiarare la nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto.
È quanto ha deciso la Cassazione, sezione 2, nell’ordinanza 20 febbraio 2023, n. 5197 (testo in calce).
Il caso
Il Tribunale riteneva legittimo il verbale di accertamento con cui era stata contestata al ricorrente la violazione dei limiti di velocità ai sensi dell’art. 142, comma ottavo, CDS, accertata mediante sistema elettronico SICve.
Il ricorrente lamentava, invece, la mancata taratura e l’assenza di conformità dell’apparecchiatura al prototipo omologato, l’irregolare posizionamento, la mancata presegnalazione dell’impianto e l’irrituale acquisizione degli atti di accertamento.
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La decisione
In Cassazione, il ricorrente ha denunciato, in particolare, la violazione degli artt. 156, 429, 437 c.p.c., per aver il Tribunale definito il giudizio senza dare lettura del dispositivo della sentenza, pur essendo la controversia sottoposta al rito lavoro.
Il motivo è stato giudicato fondato. L’opposizione al verbale di contestazione elevato a carico del ricorrente è stata trattata e definita in primo grado in applicazione delle norme del rito lavoro, ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 150/2011. Il giudizio è stato incardinato con ricorso e il primo giudice ha dato lettura del dispositivo della sentenza, riservandosi il deposito della motivazione.
Anche il giudizio di appello è stato introdotto con ricorso; tuttavia, il Tribunale ha trattenuto la causa in decisione senza dare lettura del dispositivo.
Ora, osserva la Suprema Corte, a differenza della disciplina contemplata dall’art. 23 della L. 689/1981, modificata dall’art. 26 del D.Lgs. 40/2006, che prevedeva l’applicazione del rito ordinario – anche in appello – al giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative, gli artt. 6 e 7 D.Lgs. 150/2011 prevedono rispettivamente che i giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative di cui alla L. 689/1981 e quelle aventi ad oggetto i verbali di accertamento per violazioni del codice della strada siano sottoposti al rito del controversie di lavoro, ove non diversamente previsto.
Il precedente art. 2 del medesimo decreto dispone, inoltre, con elencazione tassativa, che a tali giudizi non si applicano una serie di articoli del codice di procedura civile.
Il richiamo in blocco delle disposizioni processuali del rito lavoro conferma che anche il giudizio di appello in tema di sanzioni soggiace al rito delle controversie di lavoro, non essendo comprese tra le norme escluse tutte quelle che regolano il giudizio di impugnazione.
In particolare, tra le norme processuali non applicabili non figurano né l’art. 429, comma primo, c.p.c. né l’art. 437 c.p.c, che impongono, rispettivamente per il primo ed il secondo grado, la lettura del dispositivo in udienza.
Ne consegue che il Tribunale, pronunciando sull’appello, era tenuto a definire la causa mediante lettura del dispositivo. Nei giudizi regolati dal rito lavoro “tale adempimento è imposto a pena di nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto, correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio e di immutabilità della decisione”.
Qualora l’omissione abbia riguardato la decisione assunta dal giudice d’appello, la Corte di cassazione, ove la nullità sia stata dedotta come motivo di impugnazione, deve limitare la pronunzia alla declaratoria di nullità, con rimessione della causa al giudice di secondo grado senza decidere nel merito.
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