Genova – Sostiene la Procura che Paolo Ravà, ex presidente dei commercialisti genovesi e in passato vicepresidente di Banca Carige, è stato uno dei principali responsabili del crac di Autocorsica spa, storico concessionario genovese dichiarato fallito nel 2016. Per questo il sostituto procuratore Luca Monteverde, membro del pool specializzato in reati economici e coordinato dal procuratore aggiunto Francesco Pinto, ha chiesto il rinvio a giudizio del medesimo Ravà per i reati di bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio, contestandogli inoltre alcuni addebiti di natura fiscale.
Insieme a lui il pm ha proposto al giudice che finiscano a processo l’imprenditore Enrico Vinelli, la moglie di quest’ultimo Katia Delle Monache e poi Domenico Ravà (fratello di Paolo) e Luca Valdata, a loro volta commercialisti ed ex membri del collegio sindacale della società finita a carte quarantotto: per gli ultimi tre indagati il pubblico ministero profila solo il concorso nella bancarotta, senza l’autoriciclaggio.
La genesi dell’indagine
Come premesso, tutto nasce dal collasso della rivendita di automobili avvenuto oltre sette anni fa. Agli occhi degli inquirenti Vinelli, legale rappresentante della società, e Ravà, commercialista di fiducia, avevano spogliato la concessionaria dei suoi asset migliori per «travasarli» in una nuova realtà, Centro spa. Ai due viene poi contestato d’aver concentrato il passivo di Autocorsica sul debito erariale, circa il 97 per cento del totale, così da trasferire nella newco Centro solo la parte sana del gruppo e convincendo così la casa madre, Volkswagen Group Italia spa, a garantire pure alla seconda il contratto per la commercializzazione delle Audi.
Già nella fase istruttoria del procedimento penale, i magistrati erano stati netti sul punto: «Emerge il concreto pericolo che gli indagati commettano delitti della stessa specie». E riguardo la loro condotta ancora gli inquirenti descrivevano, e descrivono, «una perversa strategia imprenditoriale». A parere dei pm infatti dopo il crac di Autocorsica, sia Vinelli sia Ravà «si sono adoperati per anni con l’intento di consolidare nei rispettivi patrimoni le conseguenze vantaggiose dei reati di bancarotta per distrazione e sottrazione fraudolenta al pagamento d’imposte». Su Ravà inoltre era stata evidenziata «la pericolosa disinvoltura con cui si è avvalso di altri soggetti per realizzare le condotte di autoriciclaggio». È, quest’ultimo, un addebito che si è aggiunto nella seconda fase dell’indagine. Sempre nell’opinione del pubblico ministero, infatti, Ravà avrebbe venduto quote della società succeduta alla fallita Autocorsica, Centro spa nata reimpiegando denaro proveniente dalla bancarotta sotto indagine, per poi riacquistarne «grazie alla sapiente triangolazione con un soggetto giuridico insospettabile, Ligurcapital spa». Quest’ultima, alla quale non è stata mossa alcuna accusa, è una società partecipata da Filse spa, a sua volta controllata dalla Regione Liguria. Di nuovo Vinelli e Ravà, per chi indaga, hanno cercato di sottrarre al fisco quasi 25 milioni di euro, fra imposte e sanzioni maturate in un lungo contenzioso fiscale.
L’arroccamento e le dimissioni
L’ex numero uno dei commercialisti genovesi aveva scelto di non dimettersi davanti all’avviso di garanzia e alle prime contestazioni, già piuttosto gravi. Nessun passo indietro neppure a inizio 2022 quando, alla scadenza naturale del mandato, si erano tenute le elezioni per il rinnovo del consiglio dell’Ordine professionale. Ravà aveva anzi creato una lista a proprio sostegno ed era stato riconfermato sulla poltrona di presidente. A quel punto la Procura aveva chiesto al giudice che fosse «interdetto» dall’incarico e il tribunale aveva accolto questa linea, ipotizzando che qualora fosse rimasto in sella avrebbe potuto replicare comportamenti fuorilegge.
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