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Si sono incontrati faccia a faccia. E salutati con una stretta di mano che, per quanto formale, finisce per assumere un significato preciso, ribadendo il valore irrinunciabile di corrette relazioni istituzionali. È un primo, atteso segnale di disgelo quello arrivato ieri mattina dal ministro Raffaele Fitto e dal governatore della Campania Vincenzo De Luca ospiti delle Gallerie d’Italia, a Napoli, in occasione della giornata inaugurale del seminario della Fondazione Merita. Certo, le distanze sull’utilizzo delle risorse del Fondo Sviluppo Coesione (6 miliardi per la Campania, oltre 4 per la Puglia) rimangono pressoché intatte, ma la sensazione è che la logica del confronto lentamente si stia affacciando. A partire dai toni, ad esempio.

L’incontro e la stretta di mano

Fitto, aprendo i lavori moderati dal direttore del Mattino, Francesco de Core, rinuncia anche stavolta alla polemica pur ribadendo per filo e per segno le scelte del governo, dal Pnrr rimodulato alla riforma della politica di coesione. Ma per la prima volta riconosce pubblicamente alla Zes Campania le migliori performances tra tutte le otto Zone economiche speciali, appena sostituite dalla Zes unica con il Decreto Sud (in Parlamento sta per arrivare una relazione del ministro sull’esperienza complessiva di queste aree). Dal canto suo De Luca, che lo ascolta in prima fila, ricambia la stretta di mano quando Fitto lascia la sala (è atteso all’Unione industriali per l’incontro con gli ex parlamentari) e approfitta dello spazio concessogli dagli organizzatori (pur non essendo previsto dal programma) per riconoscere all’uomo di governo la credibilità di alcune sue valutazioni. Sul Pnrr, ad esempio, condivide con Fitto le critiche all’originaria impostazione del Piano, «gravato da 5.700 stazioni appaltanti e non centrato sugli asset strategici del Paese». E c’è sintonia anche sull’uso distorto che negli anni hanno assunto i Fondi coesione, «diventati sostitutivi della spesa ordinaria». Anche sull’Fsc, il motivo del contendere, De Luca e Fitto partono dalla stessa impostazione («Giusto evitare le sovrapposizioni con altri fondi di spesa e il rischio di incoerenza rispetto al Pnrr») salvo poi dividersi e non poco sui nuovi strumenti attuativi introdotti dal governo.

L’intesa

Ovviamente è ancora presto per capire se la firma dell’Accordo di coesione tra governo e Regione può finalmente essere programmata. Ma l’impressione è che il dialogo sia possibile e non è trascurabile il fatto che a favorirlo sia stato proprio l’appuntamento di Merita, organizzato non a caso da un uomo del confronto e del rispetto istituzionale “ad oltranza” come l’ex ministro Claudio De Vincenti, presidente onorario della Fondazione. Disgelo o meno, Fitto ribadisce che il governo andrà avanti sulla strada del coordinamento tra il Pnrr, le risorse ordinarie europee e i fondi nazionali della coesione. E annuncia un nuovo Decreto legge per uniformare la governance delle politiche di coesione al Pnrr. Inoltre, per i 2000 nuovi dipendenti della PA previsti dal Decreto Sud, quasi tutti destinati ai Comuni del Mezzogiorno, il ministro apre la strada alla loro conferma a prescindere dalla fine del Pnrr: gli enti di appartenenza avranno le risorse per farli rimanere al lavoro anche dopo il 2029. Quanto alla Zes unica, Fitto annuncia che nell’ambito del Piano strategico si stanno studiando le specificità delle singole regioni per favorire l’attrazione degli investimenti. «Sono decisioni necessarie: lo dimostra il fatto che il 9° rapporto sulla Coesione della Commissione europea appena pubblicato sia pressoché identico al precedente, con quasi tutta l’Italia ancora colorata di rosso per la modesta capacità di spesa delle risorse disponibili», chiude Fitto.

De Luca non cede di un millimetro sui ritardi nella spesa del Fondo sviluppo e Coesione: «Siamo a metà strada del ciclo di programmazione 2021-27 e non si è mossa ancora una foglia. Il governo deve intervenire se le nostre proposte, già presentate da sei mesi, non fossero compatibili con i programmi nazionali ma il Piano della Campania spetta solo alla Campania», insiste.

Di sicuro la “rivoluzione” iniziata da Fitto sulla politica di coesione e sul Pnrr rimane un tema divisivo. Il presidente regionale dell’Anci e sindaco di Caserta, Carlo Marino, ad esempio, spiega che vengono ancora negate a 280 Comuni campani le risorse per chiudere la vecchia programmazione dei fondi di coesione. E sulla Zes unica «che senso ha – si chiede – fare prima la Zona unica speciale e poi, quando sarà, il Piano strategico che dovrà regolamentarla?». Dubbi sulla spesa dei fondi nel Mezzogiorno dopo la rimodulazione del Pnrr arrivano anche da Federica Brancaccio, presidente dell’Associazione nazionale dei costruttori: «L’impressione è che il definanziamento colpirà soprattutto il Sud», dice preoccupata. E sul divario, sottolinea che «se non miglioriamo l’infrastrutturazione del Mezzogiorno sarà impossibile accrescerne la competitività rispetto ai grandi sistemi portuali del Nord». Anche per questo, ricorda il presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Piero, puntare sul Mezzogiorno è decisivo per l’intero sistema Paese: «Il Mezzogiorno non è affatto il deserto industriale che talvolta viene falsamente dipinto. Se fosse uno Stato, sarebbe al 7° posto tra i Paesi manifatturieri d’Europa per numero di imprese, con una marcata concentrazione in settori chiave come l’aerospazio, l’automotive, l’agroalimentare, l’abbigliamento-moda e il farmaceutico. Il suo tessuto produttivo si sta irrobustendo: a fine 2023, le società di capitale attive nel Mezzogiorno erano oltre 408mila, il 30% del totale italiano». Numeri che giustificano il sostegno sempre più solido della maggiore banca italiana alla crescita di quest’area.

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