In tema di riabilitazione spetta al condannato l’alternativa tra dare prova documentale di avere pagato integralmente il debito tributario e di avere restituito le somme, oggetto delle illecite distrazioni o appropriazioni, e dare prova di non disporre dei beni o risorse tali da consentire il pagamento, integrale o parziale.
Questo è quanto emerge dalla sentenza 18 gennaio 2023, n. 2313 (testo in calce) della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione.
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Il caso vedeva un condannato, che aveva patteggiato la pena per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, commesso in qualità di amministratore di una società dichiarata fallita, e per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, commessi mediante atti di alienazione simulata, altri atti fraudolenti su beni della società e distrazione di somme e di beni, ricorrere per cassazione avverso il provvedimento di diniego alla riabilitazione.
I giudici del merito avevano accertato che l’interessato non aveva pagato l’intero debito conseguente alle appropriazioni fraudolente, considerando del tutto prive di rilievo le eventuali transazioni nella fase fallimentare, non potendo eventuali valutazioni di tipo economico, esercitate da uno o più creditori, incidere su quella di ordine penale. La curatela fallimentare, infatti, non aveva alcun potere di transigere alcunché in ordine alla posizione creditoria dell’Erario e dei creditori che nemmeno si presentarono al banco fallimentare, con la conseguenza che non vi era stata alcuna soddisfazione del credito di questi ultimi, e solo una parziale soddisfazione in capo all’Erario.
Conseguentemente, l’interessato non aveva dato prova alcuna di una oggettiva incolpevole e apprezzabile incapienza rispetto al danno non ancora riparato, e di una materiale impossibilità di soddisfare i crediti, neppure in parte significativa o comunque corrispondente ai suoi livelli di reddito e possidenze.
Secondo gli ermellini, l’ordinanza ha correttamente affermato la sostanziale irrilevanza degli accordi transattivi intercorsi tra il condannato e taluno dei creditori oltre che con la curatela, atteso che il risarcimento del danno e le restituzioni costituiscono, ai fini della riabilitazione, la prova concreta ed effettiva del superamento definitivo del vissuto criminale e assumono un significato che travalica le pretese dei singoli creditori ad essere in qualche modo reintegrati nelle loro situazioni patrimoniali.
È principio di diritto incontroverso quello secondo cui, anche in presenza di una sentenza di patteggiamento, equiparata ad una sentenza di condanna, il Tribunale di sorveglianza è tenuto ad accertare, anche in relazione alla tipologia di reato per il quale è intervenuta la condanna, se il condannato che chiede il beneficio si sia in qualche modo attivato al fine di eliminare, per quanto possibile, tutte le conseguenze di ordine civile che siano derivate dalla sua condotta criminosa, indipendentemente dalla circostanza che nel processo penale sia mancata la costituzione di parte civile; l’adempimento delle obbligazioni civili ha, infatti, valore dimostrativo dell’emenda del condannato (Cass. pen., Sez. I, 12 aprile 2006, n. 16026).
È irrilevante che i creditoria siano rimasti inerti nel processo penale, spettando in ogni caso al condannato che ambisca alla riabilitazione l’onere di attivarsi per eliminare tutte le conseguenze di ordine civile, nei limiti delle sue possibilità, così l’eventuale accordo transattivo intercorso con i singoli creditori non può definire la misura dell’entità del danno risarcibile, dovendosi pretendere il pagamento integrale, salvo che ricorra una condizione di impossibilità di adempimento, proprio perché esso solo è indice del radicale cambiamento di vita.
Per detti motivi, non può trovare applicazione in materia di riabilitazione il principio secondo cui l’integralità del risarcimento, richiesta per il riconoscimento della circostanza attenuante della riparazione del danno, non è esclusa dall’esistenza di un accordo transattivo (Cass. pen., Sez. I, 8 gennaio 2010, n. 5767).
Nella fattispecie il ricorrente non aveva dato prova di versare in una situazione di impossibilità economica a fare fronte all’integrale adempimento delle obbligazioni risarcitorie e restitutorie e non poteva essere sufficiente, ai fini dell’assolvimento di detto onere, che le transazioni con alcuni creditori fossero state realizzate dal padre del ricorrente.
Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di riabilitazione, essendo l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato una condizione di concedibilità del beneficio, spetta a colui che lo richiede allegare l’impossibilità economica di soddisfare le medesime obbligazioni ovvero il già avvenuto adempimento delle stesse (Cass. pen., Sez. I, 4 maggio 2012, n. 35630).
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