I debiti degli italiani aumentano, in tempi di pandemia: secondo gli ultimi dati dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, le piccole e medie imprese sono infatti indebitate per un valore complessivo di almeno 25 miliardi di euro. Somme che, nella maggior parte dei casi, non possono essere restituite, e che continuano a crescere sotto il peso degli interessi. Le cose non vanno meglio per le «persone fisiche», cioè per i privati: si calcola infatti che circa la metà della popolazione – fra mutui, prestiti, finanziamenti, tasse residue, multe e così via – abbia a che fare con i debiti, e che addirittura il 10 per cento sia sovraindebitata. In pratica, che non abbia la possibilità reale di saldare ciò che deve e ripartire daccapo. L’incubo. Lo sa bene Gianmario Bertollo, ex consulente finanziario: diversi anni fa, quando al figlio maggiore fu diagnosticata una malattia rara non coperta dal Servizio Sanitario Nazionale (oggi sta bene), per curarlo si è indebitato per 150 milioni di vecchie lire. Quindi ha chiesto altri finanziamenti per riuscire a pagare i precedenti. Ed è così che ci si ritrova in una morsa a tenaglia che sembra non avere vie d’uscita. Invece una soluzione c’è, nonostante se ne parli poco, ed esattamente da dieci anni. «È la legge 3 del 2012», spiega Bertollo, che nel 2016 ha fondato appunto una società (legge3.it), dove 30 consulenti e altrettanti legali in tutta Italia aiutano chi non ce la fa più a presentare istanza e ricominciare a vivere, con tempi medi di circa cinque mesi. Giusto per avere una dimensione dell’impennata: nel 2021 è stato registrato un incremento del 71% delle richieste di aiuto, con 535 pratiche attualmente in lavorazione e altre 20 in attesa di giudizio.
Chi può accedere alla «legge anti suicidi»
«La legge 3 è destinata ai piccoli imprenditori che abbiano avuto un fatturato inferiore ai 200 mila euro l’anno nell’ultimo triennio, e con debiti inferiori ai 500mila », riprende Gianmario Bertollo. «Per le “persone fisiche” invece non c’è limite di importo. La cosa fondamentale è non essersi indebitati in maniera colposa, richiedendo finanziamenti troppo alti rispetto alle proprie capacità o per spese voluttuose. E non avere “fatto i furbi”, per esempio donando ai figli la casa di proprietà affinché non rientri più nella propria quota patrimoniale». Quanto alla tipologia dei debiti che si possono ridurre in modo importante e/o rateizzare: «Tutti, a esclusione degli alimenti per l’ex coniuge, per i figli, e in generale per quelli che arrecherebbero un danno ad altri».
A chi rivolgersi per ridurre i propri debiti
Chi decide di appellarsi alla legge 3 ha bisogno di un legale «molto esperto» sull’argomento, perché sono tanti a inciampare nella procedura e nei cavilli, al punto che nella maggior parte dei casi i giudici rigettano la pratica. Prima regola, insomma, scegliere un professionista serio (costi: mettere in conto dai 7 ai 10 mila euro, ma arriveremo dopo a quantificare i benefici). La procedura prevede ovviamente una valutazione del caso: se ci sono gli estremi, la pratica viene portata avanti, valutata da una commissione che a sua volta relaziona al giudice. E infine il giudice si esprime, valutando la situazione economica complessiva, l’ammontare del debito e la possibilità reale di estinguerlo. Tra le soluzioni possibili, giusto per fare un esempio: «Un nostro cliente con oltre 5 milioni di debiti, e immobili all’asta per un valore complessivo di 260mila euro, ha ottenuto questo», continua Gianmario Bertollo: «Gli immobili – sottratti all’asta – e 30mila euro da versare a rate in quattro anni per estinguere il tutto». Punto. Perché in realtà, anche allo Stato conviene risolvere le riscossioni impossibili: meglio poco che niente, con un cittadino (o un’impresa) che inoltre può ricominciare a produrre, consumare e generare di nuovo ricchezza. È la legge del Capitale, qualunque cosa ne si pensi. Come sanno bene in altri Paesi d’Europa, dove leggi come queste esistono da tempo, funzionano bene, e in più non esiste l’equazione culturale «debitore-delinquente» tutta italiana. Succede. Può succedere. L’importante è non ricaderci più.
Come non farsi sopraffarre dai debiti
«La regola aurea è quella dei nostri vecchi», riprende Bertollo. «Si compra qualcosa solo quando si hanno i soldi». Indebitarsi infatti è sempre un pessimo affare, a meno che – ovvio – questo non serva a produrre reddito. Per dire: «Va bene che un agente di commercio acquisti un’auto a rate necessaria per il lavoro, ma un impiegato che ha l’ufficio a venti minuti da casa ne può benissimo fare a meno». E ancora: attenzione alla durata del finanziamento o del prestito: «Soprattutto in Italia, per acquistare la prima casa ci si indebita spesso per 20 anni, magari 30, senza mettere in conto che nel frattempo si potrebbe entrare in cassa integrazione, o addirittura perdere il lavoro, trovandosi così nell’impossibilità di pagare le rate». Precauzione fondamentale: «Non contrarre debiti che prevedano un’esborso superiore al 35 per cento del proprio reddito annuo».
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