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La composizione negoziata e la liquidazione giudiziale sono due strumenti normativi del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) [1] che apparentemente contraddittorie, possono coesistere all’interno della stessa struttura normativa del Codice della crisi anche se servono obiettivi contrapposti: uno mira alla conservazione dell’azienda e l’altro alla sua liquidazione. Tuttavia, esaminando più a fondo, emerge che questi strumenti possono coesistere in modo funzionale e sinergico.

La composizione negoziata è un meccanismo progettato per permettere agli imprenditori in difficoltà di ristrutturare i debiti e continuare l’operatività aziendale, coinvolgendo attivamente i creditori nel processo. Questo strumento è particolarmente utile per prevenire la liquidazione quando vi sono ancora opportunità concrete di ristrutturazione aziendale. L’elemento chiave è che la composizione negoziata può essere attuata anche in presenza di una domanda di liquidazione giudiziale, a condizione che il tribunale non abbia ancora pronunciato la sentenza di liquidazione.

La liquidazione giudiziale, d’altra parte, è un processo attraverso il quale gli asset di un’impresa insolvente vengono venduti per pagare i creditori. La nuova normativa del CCII non preclude la possibilità di avviare una composizione negoziata anche dopo la presentazione di una richiesta di liquidazione giudiziale, purché ci siano misure protettive in atto che possono sospendere temporaneamente il procedimento di liquidazione.

Secondo recenti decisioni dei tribunali di Trani e Tempio Pausania[2], e in linea con i dettami del D.Lgs. n. 14/2019, l’imprenditore può richiedere la nomina di un esperto e misure protettive anche se è già è stato destinatario di una domanda di liquidazione giudiziale. Questo non precluderebbe la possibilità di avvalersi della composizione negoziata, la quale è vista non come una procedura concorsuale completa, ma come uno strumento per gestire la crisi.

Le recenti interpretazioni indicano che, nonostante una richiesta di liquidazione giudiziale presupponga una condizione di insolvenza, ciò non impedisce l’accesso alle procedure di composizione negoziata. Questo è supportato dal principio di priorità conservativa rispetto alle soluzioni liquidatorie, sancito dall’art. 7 del suddetto Codice.[3] Inoltre, l’articolo 25-quinquies, che regola i limiti di accesso alla composizione negoziata, non rappresenta un ostacolo insormontabile per l’imprenditore già coinvolto in procedimenti di liquidazione giudiziale.

In sostanza, la pratica giuridica dimostra una possibile convivenza tra gli strumenti di gestione della crisi e dell’insolvenza, consentendo una flessibilità necessaria per affrontare la complessità delle situazioni aziendali in difficoltà.

Le questioni legali discusse nei due casi analizzati sono sostanzialmente simili.

Tribunale di Trani: Un imprenditore, sottoposto a richiesta di liquidazione giudiziale, assiste alla prima udienza del processo il 3 luglio 2023, con un rinvio programmato al 2 ottobre 2023. Contestualmente, presenta una richiesta di nomina di un esperto per partecipare alla composizione negoziata, sollecitando l’adozione di misure protettive. Dopo la pubblicazione della domanda nel registro delle imprese, il tribunale è chiamato a decidere sulla loro attuazione, con un creditore che contesta l’ammissibilità di tale richiesta.

Nonostante l’anteriorità della richiesta di liquidazione, il Tribunale di Trani, operando in composizione monocratica, riconosce che l’articolo 25-quinquies CCII limita l’accesso alla composizione negoziata durante un “procedimento introdotto con ricorso” secondo l’articolo 40, ma rigetta le obiezioni alla richiesta, mantenendo le misure protettive attive per 100 giorni, prevenendo così la pronuncia di apertura della liquidazione giudiziale.

Tribunale di Tempio Pausania[4]: Similmente, un altro imprenditore inoltra il 6 giugno 2023 una richiesta per la nomina di un esperto indipendente e l’adozione di misure protettive tramite la piattaforma telematica della Camera di Commercio di Sassari. La richiesta è pubblicata il 22 giugno 2023. Nonostante un iniziale rifiuto dovuto alla presenza di una richiesta di liquidazione giudiziale da parte di un altro creditore, il tribunale, su reclamo del debitore basato sull’articolo 669-terdecies del codice di procedura civile, supportato dall’articolo 19 CCII, capovolge la decisione iniziale. Dopo aver consultato l’esperto e consultato i creditori, il tribunale conferma le misure protettive per 120 giorni.

Questi esempi illustrano come, nonostante le complicazioni introdotte da richieste di liquidazione giudiziale, sia ancora possibile per gli imprenditori accedere alla composizione negoziata e ottenere misure protettive, stabilendo un equilibrio tra le esigenze procedurali e le necessità di protezione delle aziende in crisi.

Tuttavia, l’articolo 25-quinquies CCII regola le restrizioni all’accesso alla composizione negoziata, delineando specifiche condizioni sotto le quali l’istanza non può essere presentata:

  • Pendenza di Procedimenti: Non si può procedere con la richiesta se è in corso un procedimento introdotto con ricorso ai sensi dell’articolo 40 CCII, il quale si riferisce sia alla regolazione della crisi sia all’apertura della liquidazione giudiziale.
  • Rinuncia Precedente: È inoltre impedito presentare la domanda se l’imprenditore ha rinunciato a domande simili nei quattro mesi antecedenti.

L’articolo 40 CCII, essenziale nel procedimento unitario, copre sia le richieste di interventi di crisi sia quelle per la liquidazione giudiziale. Quest’ultima può essere avanzata da creditori, dall’imprenditore stesso o dal Pubblico Ministero, riflettendo la gravità di un’insolvenza irrimediabile.

La norma specifica ulteriormente le eccezioni:

  • Accesso “Prenotativo” (Art. 44 CCII): Concessione di termini per integrare il ricorso iniziale con piani o accordi.
  • “Preaccordo” (Art. 54 CCII): Presentazione di proposte di ristrutturazione dei debiti supportate da attestazioni specifiche, consentendo misure protettive temporanee.
  • Concordato Minore (Art. 74 CCII): Accessibile a imprese minori e non soggette a liquidazione giudiziale, dettagliando tratti specifici di composizione negoziata.

L’introduzione del decreto legislativo n. 83 del 2022 ha integrato misure urgenti per la crisi d’impresa e il risanamento aziendale, cercando di allineare la normativa interna con le direttive europee in materia di insolvenza. In questo contesto, l’articolo 25-quinquies esclude l’accesso alla composizione negoziata durante i procedimenti di crisi o insolvenza, inclusi concordato preventivo e giudizi di omologazione degli accordi di ristrutturazione, con particolare attenzione anche alla rinuncia a tali richieste nei quattro mesi precedenti l’istanza.

Il Decreto Legge n. 118/2021 ha giocato un ruolo cruciale nel quadro normativo attuale, influenzando direttamente l’articolo 25-quinquies CCII. Esaminando le modifiche e le novità introdotte con il D.L. 118/2021, si evidenzia che il suo antecedente, l’articolo 23, comma 2, era specificatamente incentrato su restrizioni legate alla presentazione delle istanze di composizione negoziata durante altri procedimenti attivi. In particolare, non era permesso presentare tale istanza mentre erano in corso procedimenti di omologazione di accordi di ristrutturazione, l’ammissione al concordato preventivo, o l’accesso a procedure di accordo di ristrutturazione dei debiti o di liquidazione di beni.

Tuttavia, con l’introduzione del D.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, il suddetto comma 2 è stato abrogato. Nonostante questa abrogazione, la rilevanza storica di questa normativa rimane significativa, poiché stabilisce chiaramente che le iniziative di composizione negoziata non potevano coesistere con altre procedure giurisdizionali attivate dal debitore, evitando così conflitti procedurali e potenziali abusi del sistema.

Importante sottolineare è l’effetto delle misure protettive richieste durante la composizione negoziata, che sotto il D.L. 118/2021 impedivano la pronuncia di sentenze di fallimento fino al termine delle trattative o alla loro eventuale archiviazione. Questo meccanismo è stato pensato per fornire al debitore una sorta di protezione temporanea, ma non senza condizioni: la mancata concessione delle misure per mancanza di presupposti legali o per richieste considerate abusive poteva riaprire la strada verso la procedura di fallimento.

La questione principale rimane se l’attuale articolo 25-quinquies, che fa riferimento all’articolo 40, sia sufficiente per regolamentare efficacemente l’interazione tra le diverse procedure senza reintrodurre le problematiche precedentemente mitigate dall’articolo 23, comma 2. Questo punto di vista necessita di un’analisi attenta per assicurare che le norme non solo prevengano abusi, ma supportino anche un equo trattamento delle crisi d’impresa nel rispetto dei vari strumenti legali a disposizione.

All’interrogativo che precede, per il vero, hanno dato risposta favorevole alcune decisioni di merito11.

Ma, occorre aggiungere, vi è con tutta probabilità da ritenere che tale risposta non sia pienamente rispettosa dello spirito con cui il nuovo codice ha inteso affrontare la crisi d’impresa. Anche l’argomento letterale, infatti, sembra corroborare la soluzione accolta dai provvedimenti qui annotati.

Sovviene, in primo luogo, l’art. 18 CCII, il cui comma 4, in chiara assonanza con quanto già previsto nell’art. 6, D.L. n. 118/2021, dispone che “dal giorno della pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1 e fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata, salvo che il tribunale disponga la revoca delle misure protettive”.

Nessuna limitazione all’effetto protettivo è previsto sol perché il procedimento di apertura della liquidazione giudiziale sia in qualche modo pendente: la sentenza che dovesse aprire la procedura liquidatoria è impedita, salvo che le misure protettive non vengano revocate. Vi è qui una conferma chiarissima dell’impianto del codice che, con l’art. 7, assegna carattere prioritario alle soluzioni della crisi di carattere conservativo, lasciando alla liquidazione giudiziale una funzione quasi di chiusura del sistema, percorribile ogni qual volta il tentativo di risanamento fallisca o sia stato proposto con evidenti caratteri di inammissibilità. E questo, giova aggiungere, seguendo un orientamento che – sia pure in materia di concordato preventivo – la stessa Suprema Corte a sezioni unite aveva già accolto nel 2015.

Una conferma viene anche dall’art. 12 CCII. Tale disposizione, infatti, non esclude, ma anzi consente all’imprenditore che sia in crisi o addirittura insolvente di accedere alla composizione negoziata. Quello che si richiede, tuttavia, è che laddove la situazione economico-finanziaria o patrimoniale sia tale da collocare l’impresa oltre la twilight zone, in piena insolvenza, vi siano in concreto delle condizioni che rendano possibile una ipotesi di risanamento dell’impresa; il che passa evidentemente attraverso la presenza di soggetti terzi disposti a finanziare l’impresa e a rendere concretamente possibile quella discontinuità gestionale su cui, nei casi più gravi, il tentativo di salvataggio dell’azienda riposa. Del resto, come già si è visto all’inizio di questo breve commento, la situazione di insolvenza non è di per sé un ostacolo assoluto ad accedere alla composizione negoziata, il che è reso addirittura plasticamente evidente dal “test pratico” previsto dall’art. 13 CCII ed inserito sulla piattaforma telematica nazionale accessibile attraverso il sito istituzionale di ciascuna Camera di commercio, che consente all’imprenditore di “misurare” il proprio stato di salute e con esso la capacità di raffrontare i flussi liberi prodotti dalla prosecuzione dell’attività ristrutturata ed il debito che si intende regolare. La viability della prosecuzione dell’attività nel corso ed al termine della ristrutturazione è la nuova “stella polare” della composizione della crisi stragiudiziale, il che passa, al fine di evitare il ricorso velleitario a questo strumento, attraverso la possibilità per il debitore di depositare necessariamente un progetto di piano di ristrutturazione (cfr. art. 17, comma 1, lett. B, CCII), documento che per essere realmente tale, deve prendere in considerazione le cause specifiche della crisi di quell’impresa e delineare le misure necessarie per superarle, nonché, almeno in termini sommari, l’entità della manovra necessaria a ristrutturare il debito e riacquisire la sostenibilità dell’attività e le fonti attraverso le quali si prevede di acquisire le relative disponibilità finanziarie.

Pur con tale precisazione, l’art. 12 CCII, come accennato, non contiene alcuna limitazione e, anzi, dispone espressamente che “l’imprenditore commerciale e agricolo può chiedere la nomina di un esperto al segretario generale della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa, quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”.

Se l’insolvenza non è di ostacolo ad intraprendere il percorso negoziato (a patto che superi un vaglio di sua ragionevole reversibilità) e se quest’ultimo può e deve, molto spesso, essere accompagnato da misure protettive che hanno l’effetto di impedire la pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, la circostanza che sia stata presentata una domanda di apertura di quest’ultima non può avere di per sé un effetto ostativo all’adozione delle medesime, pur se apparentemente l’art. 25-quinquies rinvia, sic et simpliciter, alla pendenza del ricorso ex art. 40 CCII.

L’articolo 25-quinquies CCII stabilisce limitazioni specifiche per l’imprenditore riguardo la nomina di un esperto per l’apertura di una composizione negoziata. Tali restrizioni si applicano quando l’imprenditore ha già intrapreso procedure di risoluzione della crisi più strutturate, come la richiesta di omologazione per un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione, potenzialmente anticipato dall’articolo 44 del CCII o da un processo di formazione progressiva di un preaccordo, o tramite un concordato minore secondo l’articolo 74 del CCII.

L’articolo 40 del CCII può implicare che anche la pendenza di un procedimento per la liquidazione giudiziale ostacoli la composizione negoziata. Questo articolo può essere invocato sia dal debitore sia da terzi, come creditori o il pubblico ministero. Di conseguenza, è necessaria un’interpretazione sistematica che limiti l’applicazione della disposizione alle sole iniziative del debitore, escludendo quelle di terzi.

Questa interpretazione sistematica, supportata anche dal periodo di quattro mesi previsto dalla normativa per riconsiderare la richiesta di nomina dell’esperto dopo il ritiro di una domanda precedente, mira a prevenire abusi da parte del debitore senza però consentire abusi a suo danno da parte dei creditori. Un’interpretazione contraria potrebbe dare ai creditori un potere eccessivo, in contrasto con i principi di buona fede stabiliti dall’articolo 4 del CCII.

Adottando questa interpretazione, si rispettano i principi di proporzionalità e priorità delineati dall’articolo 7, comma 2, del CCII, che privilegia soluzioni alternative alla liquidazione giudiziale o controllata quando sono presentate più domande contemporaneamente. Tale interpretazione consente un equilibrio tra la necessità di proteggere l’azienda e la prevenzione di abusi, permettendo al tribunale di annullare le misure protettive se le circostanze lo richiedono.

In conclusione, questo approccio non solo evita abusi del sistema da parte del debitore ma garantisce anche che le azioni dei creditori non precludano ingiustamente soluzioni potenzialmente salvifiche, sostenendo un equilibrio flessibile tra le esigenze dell’impresa e quelle dei suoi creditori, in linea con la Direttiva Insolvency.

Mentre la composizione negoziata e la liquidazione giudiziale possono sembrare meccanismi diametralmente opposti, il nuovo quadro normativo offre adeguate opportunità per la loro coesistenza, mirando a soluzioni più efficaci per la gestione della crisi d’impresa. Ciò rappresenta un chiaro movimento verso un approccio più moderno e dinamico alla risoluzione delle insolvibilità, promuovendo allo stesso tempo la continuità aziendale laddove è possibile e realistico.

 

 

 

 

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[1] D.lgs. 12-01-2019, n. 14, Art. 12. – Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa

D.lgs. 12-01-2019, n. 14, Art. 18. – Misure protettive

D.lgs. 12-01-2019, n. 14, Art. 25-quinquies. – Limiti di accesso alla composizione negoziata

D.lgs. 12-01-2019, n. 14, Art. 40. – Domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alla liquidazione giudiziale

D.lgs. 12-01-2019, n. 14, Art. 41. – Procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale

[2] Cfr. Trib. Trani, 30 settembre 2023, in Fallimento, 2024, 4, 550, con nota di Farolfi, per cui «È ammissibile la richiesta di misure protettive dell’impresa, durante la fase della composizione negoziata, nonostante la precedente presentazione di una istanza di apertura della liquidazione giudiziale da parte dei creditori o del P.M., sia in ragione dell’antecedente costituito dall’art. 23, D.L. n. 118/2021, sia in virtù di una interpretazione letterale e sistematica che, con il limite delle condotte abusive, privilegia le esigenze conservative dell’impresa.». V. anche Trib. Tempio Pausania, 12 ottobre 2023, in Fallimento, 2024, 4, 550, con nota di Farolfi, per cui «Deve essere accolta la tesi che ammette l’imprenditore alla composizione negoziata della crisi anche nell’ipotesi in cui sia stata presentata antecedentemente, nei confronti dello stesso, domanda di liquidazione giudiziale, in ragione di una interpretazione sistematica e teleologica dell’art. 25-quinquies CCII, nonché del favor del legislatore per la soluzione negoziata della crisi e dei principi espressi dalla Direttiva Insolvency. (Nella specie, il collegio adito in sede di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. ha riformato il provvedimento monocratico e confermato le misure protettive richieste dall’imprenditore, acquisendo relazione dell’esperto in cui si riteneva possibile una prospettiva di risanamento e la disponibilità di due istituti di credito a finanziare l’impresa purché all’interno di una procedura garantita).».

[3] La coesistenza tra questi due strumenti diventa possibile grazie a una serie di normative che mirano a un approccio più flessibile e integrato alla crisi d’impresa. Per esempio, l’articolo 7 del CCII prevede che, in presenza di una composizione negoziata, non possa essere dichiarata l’apertura di una liquidazione giudiziale finché sono in corso le trattative per la composizione. Questo offre una finestra di opportunità per tentare un risanamento dell’azienda prima di procedere con la liquidazione. Inoltre, la disposizione di “spatium deliberandi” di quattro mesi consente all’imprenditore di ritirare una richiesta precedente e tentare una composizione negoziata prima che la situazione evolva in una liquidazione giudiziale. Questa flessibilità normativa si propone di bilanciare le esigenze di recupero crediti dei creditori con quelle di salvaguardia dell’impresa, facilitando così un recupero più strategico e potenzialmente più fruttuoso per tutte le parti coinvolte.

 

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