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Mediante la sentenza de qua la Corte di Cassazione ha esaminato il tema dell’oggetto materiale del reato di bancarotta fraudolenta documentale, con particolare riguardo alle condizioni al sussistere delle quali i libri sociali possano rientrare nei “libri o le altre scritture contabili” la cui sottrazione, distruzione o falsificazione integra il reato di cui all’art. 216, comma 1, n. 2), l. fall.

Nella specie, la Suprema Corte ha confermato il proprio recente orientamento, che distingue tra i libri (libro giornale e libro degli inventari) e le scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. dai “libri sociali” disciplinati dall’art. 2421 c.c., che si limitano a rappresentare i fatti relativi all’organizzazione interna dell’impresa collettiva. In particolare, tale orientamento chiarisce che “la bancarotta fraudolenta documentale mira alla tutela degli interessi creditori e della procedura”, con la conseguenza che l’oggetto materiale del reato di cui all’art. 216, comma 1, n. 2), l. fall. deve essere individuato in tutti quei documenti idonei a costituire il compendio contabile dell’impresa, senza distinzione tra impresa individuale o collettiva (Cass. Pen., Sez. V., 23 novembre 2006, dep. 2007, n. 182, Piovesan).

Dalla ratio della disposizione, la giurisprudenza di legittimità ricava che tale complessivo compendio contabile è certamente rappresentato in prima battuta dai libri e le scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.; tuttavia, ad avviso della Suprema Corte, anche i libri sociali – quali il libro soci – possono assumere rilievo ai fini della configurazione del reato di bancarotta documentale, nella misura in cui la sottrazione, l’alterazione o la falsificazione di tali libri sociali non ha valenza circoscritta all’organizzazione interna dell’impresa, ma si riverbera “in maniera diretta e immediata sulla ricostruzione di tratti afferenti alla gestione d’impresa”.

Tale circostanza ricorre ad esempio – specifica la Corte – nell’ipotesi di società a responsabilità limitata unipersonale, ove “per i creditori non è irrilevante la identificazione dei soggetti proprietari, anche sotto il profilo della loro personale affidabilità patrimoniale” considerato che, in ipotesi di insolvenza della società, l’art. 2462, comma 2, c.c. prescrive la responsabilità solidale ed illimitata per le obbligazioni sociali in capo al socio unico che non abbia adempiuto all’obbligo di versamento integrale dei conferimenti ai sensi dell’art. 2464 c.c. ovvero all’obbligo di attuare la pubblicità dei propri dati identificativi ai sensi dell’art. 2470 c.c.

In forza dei suddetti argomenti, la Suprema Corte ha pertanto confermato il proprio indirizzo secondo cui “la falsificazione dei «libri sociali» risulta estranea alla sfera punitiva dell’art. 216, comma 1, n. 2), l. fall. (e art. 217, comma 2, l. fall.), a condizione che l’alterazione del vero (o la sottrazione, distruzione), non incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione”.

Con riguardo alla pena accessoria dell’inabilitazione dall’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa di cui all’art. 216, ult. co., l. fall., la Corte di Cassazione ha inoltre rilevato d’ufficio l’illegalità dell’applicazione ex lege di tale pena per la “durata di dieci anni” sulla base della (sopravvenuta) sentenza della Corte costituzionale 5 dicembre 2018, n. 222, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui non prevede che la durata della pena accessoria sia prevista “fino a dieci anni”. Conseguentemente, la Suprema Corte ha annullato sul punto la sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito per la determinazione della durata della pena accessoria in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p.

 

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