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Tutti i modi per definire gli avvisi di accertamento dei tributi evitando le sanzioni e dilazionando i termini di pagamento.

Controlli sulle dichiarazioni fiscali, avvisi di accertamento, liquidazioni d’imposta, cartelle di pagamento: quando arriva il postino o apri la casella Pec e vedi che il mittente è l’Agenzia delle Entrate hai ragione ad essere preoccupato. Negli ultimi anni, l’Amministrazione finanziaria, aiutata dalle potenzialità informatiche e dalle numerose banche dati di cui dispone, è diventata molto efficiente e solerte nelle attività volte al recupero dei tributi.

Ma se arriva un avviso bonario – che è una richiesta di pagamento formulata in modo “morbido” – o un avviso di accertamento vero e proprio – che è un atto esecutivo, e come tale può fondare la riscossione coattiva, con fermi, ipoteche e pignoramenti – ci si può difendere e contrastare, o almeno ridurre, la pretesa impositiva? Sicuramente sì, ed esistono diversi modi per farlo. Vediamo

come annullare un debito con l’Agenzia delle Entrate.

Devi sapere che non sempre è necessario pagare l’intero importo che viene richiesto dal Fisco. Innanzitutto, c’è la possibilità di rateizzare il debito, ma al di là di questa dilazione dei pagamenti ci sono dei modi che consentono di abbattere l’importo dovuto anche in misura notevole, come la transazione fiscale raggiunta con l’Agenzia delle Entrate ed il saldo e stralcio nei casi di sovraindebitamento, oppure l’accertamento con adesione, che offre un grosso sconto sulle sanzioni. C’è poi la via classica di contestazione del debito richiesto: è quella dell’impugnazione dell’atto di accertamento, con ricorso al giudice tributario. Se ci sono validi motivi per opporsi alla pretesa fiscale conviene senz’altro farlo, in modo da ottenere l’annullamento integrale dell’atto impositivo emanato dall’Agenzia, ed anche la sua preventiva sospensione in attesa della sentenza.

Come rateizzare i debiti fiscali

Per

rateizzare il debito con l’Agenzia delle Entrate non è necessario attendere che venga emanato un avviso di accertamento esecutivo o arrivi una cartella di pagamento: si può chiedere la dilazione sin dal momento in cui perviene la comunicazione di irregolarità emessa dall’Agenzia (detta anche “avviso bonario”): in questo caso chi aderisce entro 30 giorni dalla notifica può regolarizzare la sua posizione beneficiando di sanzioni ridotte rispetto all’ordinario 30% sulla maggiore imposta dovuta: si paga il 10% per le comunicazioni emesse a seguito di controllo automatico [1] e il 20% per quelle derivanti dal controllo formale [2].

Le somme richieste con la comunicazione di irregolarità dell’Agenzia Entrate possono essere rateizzate:

  • fino a 5.000 euro, in un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo;
  • oltre 5.000 euro, fino ad un massimo di 20 rate trimestrali di pari importo.

Il numero e l’importo delle rate concedibili vengono determinati dall’ufficio; per individuare immediatamente questi dati si può utilizzare la funzione sul sito ufficiale dell’Agenzia delle Entrate presente nell’area “Servizi” e intitolata “

Determinazione dei versamenti rateali”, indicando il proprio codice fiscale e la data di ricevimento della comunicazione di irregolarità.

Quando l’Agenzia accoglie la domanda, bisogna versare la prima rata entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione di irregolarità. Si può pagare anche con il modello F24 precompilato già allegato alla comunicazione. Sulle rate successive alla prima, si applicano gli interessi, attualmente al tasso del 5% annuo.

Quando, invece, il debito è già esecutivo, come nel caso della cartella di pagamento, e il contribuente si trova in difficoltà economica a versare il dovuto in un’unica soluzione, è possibile ottenere una rateazione con Agenzia Entrate Riscossione, fino a 72 rate mensili di importo costante o variabile (crescente per ciascun anno); si può arrivare fino a 120 rate in caso di «grave e comprovata situazione di difficoltà economica».

Per i debiti fino a 120mila euro la domanda viene automaticamente accolta, tranne che per le società o ditte già poste in liquidazione; quelli di importo superiore vengono valutati dall’Agenzia in base alla documentazione prodotta e tenendo conto dell’eventuale presenza di debiti pregressi, perciò il numero di rate concesse potrà essere inferiore ai massimi stabiliti.

Cosa succede se non pago le rate all’Agenzia?

Il ritardo nel pagamento delle rate non comporta la decadenza dalla rateazione concessa, purché sia lieve: è possibile versare la rata scaduta entro il termine di versamento della successiva (o entro 90 giorni se è l’ultima rata), e, in tal caso, l’Agenzia iscriverà a ruolo gli interessi e la sanzione per i soli importi versati in ritardo ed i relativi giorni. Per ulteriori dettagli, leggi “Avviso bonario a rate: come funziona“.

Con Agenzia Entrate Riscossione, invece, il margine di manovra per il contribuente è più ampio: la decadenza dalla rateizzazione di una cartella si verifica quando si accumulano 8 rate – anche non consecutive – non pagate.

Accertamento con adesione: condizioni

Ogni avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate – che dal 2011 è anche un atto esecutivo, cioè non richiede l’emanazione della successiva cartella esattoriale – deve essere compiutamente motivato, cioè indicare con precisione e chiarezza le ragioni per le quali l’Amministrazione finanziaria ha calcolato una maggiore base imponibile che intende recuperare a tassazione ed ha determinato le maggiori imposte e le sanzioni. In questo modo il contribuente può verificare la fondatezza della pretesa tributaria azionata nei suoi confronti.

Se esaminando l’atto si riconosce che il Fisco ha, almeno parzialmente ragione, si può “scendere a patti” e realizzare l’accertamento con adesione: è un concordato che si raggiunge con l’Agenzia delle Entrate, dove il contribuente rinuncia ad instaurare un contenzioso ed in cambio ottiene la riduzione delle sanzioni fino a un terzo del minimo edittale (e nei casi di evasione fiscale più gravi, che integrano un reato tributario, beneficia di particolari attenuanti).

L’istanza può essere proposta dal contribuente anche prima dell’arrivo dell’avviso di accertamento, se c’è stato un controllo o una verifica fiscale da parte dei funzionari dell’Agenzia o dalla Guardia di Finanza terminata con un processo verbale di constatazione. Presentata la domanda, si riceverà un invito a comparire davanti ai funzionari dell’Agenzia; nell’incontro, dove il contribuente può farsi rappresentare ed assistere dal suo commercialista o avvocato, si potrà raggiungere un’intesa e l’accordo verrà formalizzato in un atto di adesione

, che indicherà i termini di pagamento della somma concordata.

Anche in questo caso, sono consentiti i versamenti rateali con le seguenti modalità:

  • fino a un massimo di 8 rate trimestrali per le somme complessive dovute entro i 50mila euro;
  • fino a 16 rate trimestrali per le somme che superano i 50mila euro.

La prima rata va versata entro 20 giorni dalla data dell’atto di accertamento di adesione. I pagamenti sono compensabili con gli eventuali crediti d’imposta spettanti al contribuente.

Ricorso al giudice tributario

Il contribuente può proporre ricorso al giudice tributario – da individuarsi nella Corte di giustizia tributaria di primo grado (l’ex Commissione tributaria provinciale) competente per territorio – contro l’atto impositivo emanato nei suoi confronti, entro 60 giorni dal suo ricevimento, per chiederne l’annullamento: se si ottiene questo risultato, il tributo da pagare non sarà più dovuto e il debito fiscale richiesto in pagamento dall’Amministrazione finanziaria verrà cancellato [3].

La proposizione dell’istanza di accertamento con adesione, proprio per dare tempo alle parti di trovare un accordo, comporta comunque un allungamento dei termini utili per presentare

ricorso: vengono sospesi per 90 giorni (che decorrono dalla data di presentazione dell’istanza), che si aggiungono ai normali 60 giorni decorrenti dalla data di notifica dell’atto da impugnare.

All’esito del processo, se il giudice ritiene fondati i motivi di ricorso addotti annulla, interamente o parzialmente, l’atto impugnato; nel caso di annullamento parziale, la somma richiesta dall’Agenzia delle Entrate per tributi o sanzioni viene ridotta nella misura determinata dal giudice in sentenza. I ricorsi per controversie fino a 50mila euro di valore devono essere preceduti da una procedura di mediazione tributaria. Nel giudizio tributario, ci si può difendere da soli, cioè senza la necessaria assistenza tecnica di un difensore abilitato, per le cause di valore inferiore a 3mila euro.

Sospensione dell’atto impugnato

Nel ricorso al giudice tributario, si può chiedere anche, preliminarmente, la sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato per evitare gli effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare dalla riscossione delle somme, che altrimenti verrebbe intrapresa dall’Amministrazione finanziaria durante la pendenza del giudizio.

Per ottenere la sospensione cautelare occorre che il ricorso appaia fondato e vi sia la possibilità di un «danno grave e irreparabile» [4] che deriverebbe dall’esecuzione forzata sui beni del contribuente.

Transazione fiscale: chi riguarda e come funziona

Un’ulteriore possibilità di definizione dei debiti maturati verso l’Agenzia delle Entrate è la transazione fiscale, che però riguarda solo le imprese fallibili e che si trovano in crisi, con uno stato di insolvenza conclamato nell’apertura di una procedura di concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, fiscali e non solo, come quelli maturati verso privati (banche, creditori, lavoratori dipendenti).

Non possono, perciò, accedervi coloro che non esercitano attività imprenditoriale o comunque non sono soggetti alle norme sul fallimento: la transazione fiscale è e rimane un’alternativa alla prospettiva di messa in liquidazione e chiusura dell’impresa a causa dei debiti. In ogni caso, la transazione fiscale comprende tutti i tributi di competenza dell’Agenzia delle Entrate, compresa l’Iva.

Sovraindebitamento e cancellazione dei debiti fiscali

La cancellazione dei debiti fiscali per i sovraindebitati è una soluzione prevista dalla legge sul sovraindebitamento modificata dal Codice della crisi e dell’insolvenza entrato in vigore nel 2022, che ha riformato e potenziato la leggesalvasuicidi” del 2012. Questa via d’uscita per risolvere le pendenze tributarie riguarda tutte le categorie di soggetti sovraindebitati che sono diventati insolventi e si trovano in grave difficoltà economica, che non gli consente di saldare i debiti accumulati verso il Fisco ed anche nei confronti di privati, come le banche e i fornitori.

Anche i debiti fiscali rientrano nel cumulo dell’esposizione debitoria accumulata: perciò i debitori incapienti – cioè coloro che non hanno e, verosimilmente, non avranno neppure in futuro alcuna possibilità di pagare perché non dispongono di redditi o patrimoni oltre il limite di sussistenza necessario al loro mantenimento personale – possono ottenere l’esdebitazione totale, che realizza la cancellazione integrale del debito, salvo che nei successivi 4 anni non sopraggiungano utilità economiche tali da consentire di soddisfare le pretese dei creditori per almeno il 10%.

Quando, invece, il patrimonio disponibile ed i redditi periodici del debitore sono sufficienti a soddisfare il Fisco almeno parzialmente, l’ammontare dei debiti fiscali viene proporzionalmente ridotto ed è ammesso il pagamento dilazionato, con un piano di rimborso personalizzato.

Si può accedere a questo saldo e stralcio anche senza il consenso dell’Agenzia delle Entrate: l’ufficio partecipa alla procedura e viene interpellato, ma il giudice può omologare l’accordo nonostante il suo dissenso ed il voto contrario all’approvazione del piano di rientro. Per saperne di più leggi “Sovraindebitamento: come uscire dalla crisi“.

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