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Quando il giudice dell’esecuzione pronuncia l’ordinanza di assegnazione contenente l’addebito all’esecutato anche dell’imposta di registro, il relativo importo sarà compreso nelle spese di esecuzione liquidate in favore del creditore ex art. 95 c.p.c., per cui potrà essere da quegli preteso in sede di escussione del terzo – Il provvedimento di liquidazione delle spese dell’esecuzione implica, secondo la Cassazione, un accertamento meramente strumentale alla assegnazione, privo di forza esecutiva e di giudicato al di fuori del procedimento esecutivo e così, quando dette spese restino insoddisfatte, saranno irripetibili dal creditore – Un rapido sguardo alle argomentazioni favorevoli ad una piena tutela del credito, in coerenza con l’impianto costituzionale (art. 24).

Questo è quanto stabilito dalla Cassazione, sezione VI-3 civile, con l’ordinanza 14 febbraio 2020, n. 3720 (testo in calce).

Caio (creditore) ha agito in giudizio nei confronti della società Alfa (debitore) per ottenere il rimborso della somma pagata per la registrazione dell’ordinanza di assegnazione pronunciata in un procedimento di espropriazione presso terzi promosso contro la stessa. La domanda è stata respinta dal Giudice di Pace di Roma e il Tribunale ha successivamente confermato, pur con diversa motivazione, la decisione di primo grado. Caio ha quindi depositato ricorso per cassazione, censurando in buona sostanza il tribunale laddove aveva negato l’obbligo della società debitrice esecutata di rimborsargli l’importo pagato per la registrazione dell’ordinanza di assegnazione.

La S.C. prende atto che è pacifica, nella controversia, la circostanza che il giudice dell’esecuzione, all’esito del procedimento di espropriazione di crediti presso terzi promosso da Caio nei confronti della società Alfa, abbia pronunciato ordinanza di assegnazione contenente l’espresso addebito all’esecutato anche delle spese di registrazione dell’ordinanza. L’imposta di registro era stata inclusa nella somma oggetto di assegnazione, pertanto il relativo importo avrebbe potuto essere preteso dal creditore in sede di escussione del terzo (che chiameremo Beta).

Premesso quanto sopra, il creditore procedente non aveva alcun interesse ad ottenere un ulteriore titolo esecutivo da far valere contro l’originario debitore, avendo egli già conseguito la piena soddisfazione nei confronti di quest’ultimo, direttamente in sede esecutiva, (anche) del proprio credito per la registrazione dell’ordinanza di assegnazione. E’ irrilevante la circostanza che, al momento della richiesta di pagamento degli importi assegnati rivolta al terzo pignorato, la somma in questione non fosse stata (e/o non potesse ancora essere) pretesa e riscossa, in quanto non era stata ancora effettuata la registrazione dell’ordinanza (e non era stata quindi ancora anticipata dal creditore la relativa imposta): trattandosi di importo compreso nella assegnazione ai sensi dell’art. 553 c.p.c., infatti, la relativa pretesa avrebbe potuto essere avanzata anche successivamente, in via esecutiva, direttamente nei confronti del terzo (previa, ovviamente, documentazione del relativo esborso).

A questo punto si perviene alla parte più interessante della pronuncia, laddove la S.C. osserva che nel ricorso non era stato chiarito (e tanto meno documentato) se in concreto vi era stato un tentativo infruttuoso di escussione del terzo per l’importo in questione, ovvero se le somme assegnate – ivi inclusa quella relativa all’imposta di registro – erano state contenute o meno nei limiti di capienza dei crediti pignorati e/o avessero in qualche modo ecceduto tali limiti, onde non avrebbero potuto essere oggetto di integrale recupero nei confronti del terzo pignorato.

Precisa in ogni caso la S.C. che in tali ipotesi andrebbe invariabilmente applicato il principio di diritto secondo cui le spese del processo esecutivo, in caso di incapienza, restano a carico del creditore (cfr. Cass., Sez. III, sent. n. 24571 del 05.10.2018). E l’ordinanza di assegnazione, per la parte delle spese in essa liquidate che non sia stata soddisfatta, avrà valore sempre e solamente in quella procedura coattiva, non costituendo nè dichiarando alcun credito spendibile al di fuori di essa, né in altri giudizi di cognizione né in altri processi esecutivi (cfr., Cass., sent. n. 8634 del 29.05.2003).
Orbene, queste affermazioni lascerebbero del tutto insoddisfatti se dovessero significare che, in caso di insufficienza satisfattiva dell’azione esecutiva contro l’ex-terzo pignorato divenuto debitore diretto del creditore procedente, quest’ultimo non potesse più recuperare, in particolare nei confronti del debitore originario, il credito residuo. Si profilerebbe in tale ipotesi, verosimilmente, una lesione del principio sancito dall’art. 24 della Costituzione.

Ebbene, non volendo credere che questo sia il significato di quanto sopra riportato, è doveroso ricordare che il diritto del creditore “si estingue solo con la riscossione del credito assegnato” e “perché si possa parlare di non estinzione di tale diritto, pur sempre occorre che il creditore assegnatario prima escuta invano il terzo assegnato, suo nuovo debitore; altrimenti non ha titolo per riescutere il debitore originario (P. Castoro, “Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico”, Milano, 2010, p. 542). Quindi l’assegnatario resta creditore del debitore originario e diventa con l’ordinanza di assegnazione creditore diretto del terzo debitor debitoris (cfr. A. M, Soldi, “Manuale dell’esecuzione forzata”, Milano, 2017, p. 1159). Ciò significa, “in altri termini, che il credito originario nei confronti del debitore esecutato in realtà non si estingue (a differenza del processo esecutivo) con l’assegnazione, ma rimane quiescente per effetto della condizione del ‘salvo esazione’. E, pertanto, il creditore assegnatario, in forza di questa maggior tutela, qualora dimostri di non aver potuto riscuotere il credito assegnatogli dal ‘debitor debitoris’, potrà intraprendere un nuovo procedimento esecutivo nei confronti del suo diretto debitore” (Cass., sez. III, sent. n. 26036 del 29.11.2005). Dunque, “il diritto al rimborso delle spese costituisce un vero e proprio credito verso l’espropriato; credito del quale l’art. 95 c.p.c., per ragioni che potremmo dire di economia processuale, consente la soddisfazione all’interno del processo esecutivo”, anche se questo non significa “che tale diritto possa essere soddisfatto soltanto all’interno del processo esecutivo e nei limiti in cui riesca, in concreto, a trovare collocazione sul ricavato” (S. Boccagna, B. Sassani, “Il diritto incompreso: le spese del creditore nell’espropriazione forzata”, in “Judicium – Il processo civile in Italia e in Europa”, sintesi delle relazioni tenute dagli Autori il 30 maggio 2018 presso la Corte di Cassazione nell’ambito del «Progetto esecuzioni» avviato dalla Terza sezione).

CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA N. 3720/2020 >> SCARICA IL TESTO PDF

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