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Con un recente arresto, la Suprema Corte ha delineato la validità della domanda di revocatoria di un atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c. proposta in via riconvenzionale subordinata nell’ambito di un giudizio di opposizione all’esecuzione.

Il giudizio era stato instaurato da una debitrice che aveva eccepito l’impignorabilità del compendio pignorato, in quanto esso era oggetto di un vincolo di destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. ai bisogni di alcuni suoi familiari.

Nel costituirsi, la creditrice procedente contestava il fondamento dell’opposizione avversaria e domandava in via riconvenzionale subordinata la revocatoria ex art. 2901 c.c. dell’atto di destinazione.

Il giudice di primo grado accoglieva sia l’opposizione della debitrice, sia la domanda riconvenzionale proposta dalla creditrice in quanto considerava l’atto valido ma comunque pregiudizievole per le ragioni dei creditori.

La decisione assunta in primo grado veniva confermata dalla competente Corte d’Appello.

Chiamata quindi a dirimere la questione, la Corte di Cassazione ha ribadito la sussistenza di una connessione tra la domanda principale di opposizione con cui si fa valere l’impignorabilità di un bene per la presenza di un vincolo di destinazione e la domanda proposta in via riconvenzionale e volta a chiedere la revocatoria dell’atto (di destinazione), giungendo così a pronunciare il seguente principio di diritto: “nel giudizio di opposizione all’esecuzione in cui sia dedotta l’esistenza di un vincolo di impignorabilità del bene assoggettato ad espropriazione derivante da un determinato atto negoziale, è ammissibile la domanda riconvenzionale del creditore opposto volta ad ottenere, ai sensi dell’art. 2901 c.c., la dichiarazione di inefficacia dell’atto negoziale posto a base dell’opposizione, sussistendo connessione, in relazione all’oggetto e/o al titolo, tra le due domande, anche se tale dichiarazione di inefficacia, stante la natura dichiarativa della decisione e la necessità del suo passaggio in giudicato, potrà giovare al creditore esclusivamente ai fini dell’instaurazione di un nuovo processo esecutivo”.

Inoltre, la Suprema Corte ha osservato come non si debba procedere, ai fini della domanda di revocatoria, alla comparazione tra le esigenze dei beneficiari dell’atto e quelle del ceto creditorio, bensì come si debba invece considerare “esclusivamente l’oggettiva idoneità dell’atto stesso a rendere più difficile la soddisfazione delle ragioni dei creditori”.

Da ultimo, la Cassazione ha confermato il ragionamento delineato nella sentenza d’appello sulla natura dell’atto di destinazione che “costituisce, di per sé, un atto naturalmente a titolo gratuito, si tratta cioè di un atto che comporta un sacrificio per la parte che lo pone in essere, che non trova contropartita in una attribuzione in favore del disponente”.

A nulla rileva, come eccepito dalla debitrice, la circostanza “che, nella specie, ciascuno dei beneficiari del vincolo abbia a sua volta destinato propri beni in favore delle esigenze di tutti gli altri”, in quanto ciò non modifica la natura gratuita dell’atto di destinazione che rimane tale anche se “posto in essere nel contesto di un atto pubblico dal contenuto più ampio, in cui vi siano analoghi (ed anche reciproci) atti di destinazione da parte di altri soggetti”.

La Suprema Corte ha così in definitiva pronunciato il seguente principio di diritto: “l’atto di semplice destinazione di un bene (senza il trasferimento della proprietà dello stesso) alla soddisfazione di determinate esigenze, ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., costituisce, di regola, un negozio unilaterale – in quanto esso non si perfeziona con l’incontro delle volontà di due o più soggetti, ma è sufficiente la sola dichiarazione di volontà del disponente – e a titolo gratuito, in quanto di per sé determina un sacrificio patrimoniale da parte del disponente, senza per quest’ultimo alcuna corrispettiva attribuzione; esso resta tale anche se operato nel medesimo contesto documentale da più soggetti, che ne traggono reciproco beneficio, salvo che risulti diversamente, sulla base della ricostruzione del contenuto effettivo della volontà delle parti e della causa concreta del negozio dalle stesse posto in essere“.

Cass., Sez. III, 13 febbraio 2020, n. 3697Tommaso Molteni –  t.molteni@lascalaw.com

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