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Il legislatore ha fissato, tra i diversi limiti all’uso della prova testimoniale, il divieto che essa venga esperita se questa abbia per oggetto patti aggiunti o contrari a un documento (art. 2722 c.c.).

Questo limite, oltre a incontrare la storica diffidenza verso tale mezzo di prova, viene a supportare la logica presunzione che le parti, se avessero voluto introdurre ulteriori elementi negoziali, li avrebbero esplicitati nell’accordo.

Dalla mera lettura della norma, ne consegue che non rientrano nell’ipotesi di operatività dell’art. 2722 c.c., le pattuizioni “il cui contenuto od oggetto, non risultino in alcun modo previsti dal contratto e che non possono, perciò, ritenersi comprese nel negozio consacrato dall’atto scritto” (cit. ordinanza n. 1742 del 20 gennaio 2022). A ciò si deve aggiungere che tali pattuizioni non siano in contrasto con quanto espressamente dichiarato dai contraenti nell’atto. Non solo. La giurisprudenza ha inoltre escluso l’ambito di operatività dell’art. 2722 c.c. in tutti i casi in cui la testimonianza non abbia per oggetto un accordo di natura contrattuale bensì una dichiarazione unilaterale quale, ad esempio, una quietanza (in tal senso si è pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 5417 del 7 marzo 2014).

Un’ulteriore questione che ha investito il mondo giurisprudenziale è se fosse possibile esperire la prova testimoniale al fine di ottenere contributi utili, a chiarire la reale volontà delle parti, in sede di stipulazione del contratto.

La Suprema Corte ha dissipato ogni dubbio, in più riprese, andando ad ammettere la legittimità di tali prove. Tra le innumerevoli pronunce che si sono espresse nel merito, la sentenza n. 28407 del 7 novembre 2018, ribadisce l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 2722 c.c. delle testimonianze volte a dare elementi chiarificatori della reale volontà delle parti, confermando, così, il grande valore di questo mezzo istruttorio nella delicata attività di interpretazione dell’atto negoziale.

Con l’ordinanza n. 1742 del 20 gennaio 2022, la Corte di Cassazione si inserisce nel solco giurisprudenziale già tracciato precedentemente, specificando ulteriormente la portata del divieto sancito dall’art. 2722 c.c. e, così facendo, andando ad allargare le maglie di operatività della prova testimoniale.

Nel caso di specie, la Suprema Corte si è pronunciata nell’ambito di una compravendita immobiliare in cui il bene, seppur correttamente localizzato, non era stato sufficientemente identificato nella consistenza, essendo stato omesso, per errore, l’indicazione di parte di esso. Precisando che il contratto di compravendita non ricadeva nelle ipotesi di vendita a corpo o a misura o di specie, la Cassazione ha sentenziato la legittimità della prova testimoniale volta ad acclarare l’effettiva volontà dei contraenti, nella genesi del vincolo contrattuale, in riferimento alla misura del bene e alla sua entità.

La prova testimoniale, pertanto, non subisce le limitazioni sancite dall’art. 2722 c.c. nella misura in cui vada ad accertare la reale portata del negozio giuridico posto in essere dalle parti, andando ad accertare tutti quegli elementi di fatto che sono stati la base su cui si è fondato il consenso dei contraenti.

Al contrario, tutte le volte in cui tale mezzo di prova sia destinato ad accertare una seppur minima modifica del vincolo contrattuale – ampliando o restringendo la portata dell’accordo – entrerà nell’alveo di operatività dell’art. 2722 c.c., portando all’inammissibilità della testimonianza.

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