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L’analisi

La Zona economica speciale unica al Sud? Buona idea, ma l’incertezza irrita le imprese

Mariarosaria Marchesano

La strategia del governo per rivitalizzare il Mezzogiorno attraverso la Zes unica rischia di arenarsi: scadenze e ostacoli operativi mettono ombre sul progetto. Se i fondi stanziati non verranno impiegati in tempo, saranno a repentaglio gli obiettivi di sviluppo per il meridione

Doveva essere il fiore all’occhiello della nuova strategia del governo Meloni per il Mezzogiorno, basata sul ribaltamento del ruolo tra stato ed enti locali nella gestione della spesa dei fondi di coesione. E, invece, la Zona economica speciale (Zes) unica per il Sud rischia di diventare un cammino più arduo del previsto per il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, già alle prese col far quadrare rate e scadenze del Pnrr. Persino chi, come l’economista Nicola Rossi, aveva sostenuto l’iniziativa del ministro di cancellare le otto Zes rese operative dal governo Draghi per sostituirle con un’unica grande area di accelerazione degli investimenti oggi dice al Foglio: “È l’idea giusta per invertire la storica rotta di efficienza nella spesa pubblica al Sud. Ma attenzione a non creare una fase di incertezza per gli operatori economici. Sarebbe opportuno che il governo facesse chiarezza”.
 

Il fatto è che il 29 febbraio scade il mandato, già prorogato lo scorso dicembre, degli otto commissari delle rispettive Zes distribuite a macchia di leopardo nel Mezzogiorno, ma nel frattempo la Zes unica non è partita. O meglio, è stato nominato un coordinatore, Antonio Caponnetto, insieme a due direttori generali della cosiddetta “struttura di missione”, tutti già in forze presso la presidenza del Consiglio o divisioni della pubblica amministrazione, ma nessuno sa se e come funziona la macchina operativa di Palazzo Chigi e a chi possono rivolgersi le imprese. Come mai? “Quello che posso immaginare – prosegue Rossi – è che si tratti di un problema di carattere tecnologico: sostituire con una piattaforma centralizzata le strutture  commissariali sui territori potrebbe essersi rivelato più complesso del previsto. Se si arrivasse alla conclusione che è necessario mantenere almeno in parte i presidi commissariali, anche per coltivare un rapporto più diretto con le imprese, mi sembrerebbe ragionevole.
 

“L’importante è non dare l’impressione al mondo produttivo che il governo non sappia dove e come indirizzare gli investimenti nel Sud perché non sarebbe un bel segnale”. Va detto che gli attuali commissari, in virtù dei superpoteri burocratici, hanno autorizzato negli ultimi due anni centinaia di nuovi progetti imprenditoriali che hanno potuto seguire un iter semplificato (autorizzazione unica) e godere di benefici fiscali come il credito d’imposta. Grazie a questo meccanismo, si sono risolte vertenze storiche come quella della Whirlpool in Campania, e salvati tanti posti di lavoro.
 

“All’inizio ero molto scettico nei confronti della Zes unica perché la vedevo come un’inutile interruzione di un modello che, per la prima volta, stava funzionando”, spiega Giuseppe Coco, professore di Economia all’Università di Bari, dal 1999 al 2003 dirigente alla presidenza del Consiglio durante i governi D’Alema, Amato e anche Berlusconi per un anno. “Ma poi ho pensato che potesse essere positivo provare a imprimere un’accelerazione nello sviluppo a tutto il Mezzogiorno, e non solo a singole aree. Insomma, lo sforzo di Fitto di fare un cambio di passo era parso a me e a tanti altri anche apprezzabile. Certo, non potevo immaginare che ci saremmo trovati in una tale impasse”. In effetti, se dal primo marzo non diventa operativa la Zes unica, Fitto dovrà fornire qualche spiegazione alla classe imprenditoriale, dove già si avvertono lamentele e mugugni. E l’unica soluzione a quel punto sarà di prorogare ulteriormente gli attuali commissari, ammettendo implicitamente, che è stata sottovalutata la difficoltà di passare a una gestione centralizzata che abbraccia un’area che conta 2.500 comuni e 20 milioni di abitanti.
 

“Eppure – prosegue Coco –  il governo ha stanziato risorse sufficienti, pari a 1,8 miliardi, per coprire il fabbisogno del credito d’imposta per quest’anno. Ma siamo già quasi a marzo e c’è il rischio che i soldi non vengano impiegati entro novembre che è il termine ultimo per questo tipo di agevolazione fiscale”. Un rischio che Fitto probabilmente non vorrà correre visto che ha sempre stigmatizzato la scarsa capacità di spesa degli enti pubblici del Mezzogiorno, al punto da avocare a se la gestione di tutti i fondi di coesione, iniziativa che gli è costata un duro braccio di ferro con il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, alla vigilia delle elezioni europee. “Non è il momento di rimpiangere la gestione disastrosa del passato, ma di dare un segnale che le cose funzionano così come le ha pensate il governo”, conclude Rossi.

 

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