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Cos’è l’anatocismo e come si calcola. Quando è illegale.

L’anatocismo bancario – la pratica cioè di calcolare gli interessi sugli interessi già maturati e scaduti – ha sollevato numerose questioni legali e interpretative nel settore bancario e tra i consumatori. Il legislatore è intervenuto più volte per spiegare se e quando l’anatocismo è illegale e consente al cliente di chiedere la restituzione degli interessi calcolati sul mutuo. In questo articolo vedremo cos’è l’anatocismo bancario, cosa c’è da sapere e come fare causa alla banca. Ma procediamo con ordine.

Cos’è l’anatocismo bancario

Per comprendere

cos’è l’anatocismo bancario bisogna partire da un esempio pratico. Immagina di avere un mutuo ventennale di 10.000 euro con un tasso di interesse annuale del 5%. Al termine del primo anno, avrai maturato interessi per 500 euro (10.000 euro x 5%). Se l’anatocismo è previsto dal contratto, questi 500 euro di interessi verranno aggiunti al capitale iniziale, portandolo a 10.500 euro. L’anno successivo, gli interessi saranno calcolati su questa nuova somma, ossia 10.500 euro, anziché su 10.000 euro.

Quindi il cliente pagherà un totale di interessi di 5.762,50 euro nel corso dei 20 anni di durata del mutuo. Se l’anatocismo non fosse previsto, gli interessi totali ammonterebbero a 5.000 euro.

L’effetto dell’anatocismo è quindi quello di aumentare esponenzialmente gli interessi.

Dunque, volendo dare una definizione di anatocismo, possiamo dire che si tratta del calcolo degli interessi sugli interessi già maturati su una somma dovuta.

Gli interessi maturati si trasformano così in capitale (in linguaggio tecnico si dice che “

gli interessi si capitalizzano“), ossia sono sommati all’importo dovuto e producono a loro volta ulteriori interessi: è in questo caso che si parla di interesse composto.

L’anatocismo è legale?

Volendo semplificare al massimo l’argomento, possiamo dire che ad oggi la legge ammette l’anatocismo a patto che:

  • riguardi solo gli interessi di mora (quelli cioè che scattano quando il cliente non paga le rate del prestito);
  • a patto che il contratto preveda espressamente la possibilità dell’anatocismo;
  • il calcolo dell’anatocismo avvenga su base annuale e non per frazioni più brevi (ad esempio trimestrale);
  • se previsto, l’anatocismo deve riguardare tanto gli interessi passivi che attivi.

Questo significa che se stai pagando regolarmente il tuo finanziamento, non potrai mai subire l’anatocismo (diversamente hai diritto alla restituzione dei soldi versati in più).

Viceversa, se non hai pagato una o più rate, scatteranno gli interessi di mora (in sostituzione dei normali – e più bassi – interessi corrispettivi dovuti da chi invece è puntuale nei versamenti), sicché tali interessi potranno generare anatocismo.

Le regole dell’anatocismo bancario

La nuova legge stabilisce che gli interessi passivi e attivi devono essere calcolati con la stessa periodicità, ossia secondo lo stesso intervallo di tempo.

Il periodo di conteggio non può essere inferiore a un anno e il termine per il calcolo è fissato a una data certa, che è il 31 dicembre di ciascun anno. Ciò significa che per il calcolo degli interessi passivi, il periodo di riferimento non può più essere, ad esempio, il trimestre (come invece avveniva un tempo). Invece per gli interessi attivi, il contratto potrebbe prevedere, a vantaggio del cliente, un periodo di calcolo inferiore all’anno.

Gli interessi passivi sono calcolati al 31 dicembre, anche in caso di contratti stipulati in corso di anno e comunque al termine del rapporto.

Gli interessi passivi calcolati al 31 dicembre non sono dovuti a questa data, ma al 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati.

L’evoluzione dell’anatocismo

Fino al 1999, la giurisprudenza e la dottrina avevano considerato lecita la pratica delle banche di capitalizzare trimestralmente gli interessi passivi, mentre quelli attivi venivano capitalizzati su base annuale. Tuttavia, un cambiamento radicale è avvenuto con due sentenze della Corte di Cassazione nel marzo del 1999, le quali hanno riconosciuto come illegittima questa prassi, mettendo in discussione la validità delle Norme bancarie uniformi che le banche utilizzavano come fondamento per tale calcolo.

Queste decisioni hanno scatenato un notevole contenzioso e hanno spinto il legislatore ad intervenire per cercare di chiarire la situazione. Inizialmente, un tentativo di soluzione è stato proposto attraverso l’articolo 25 del D.lgs 342/1999, che cercava di sanare la pratica pregressa consentendo le clausole di capitalizzazione trimestrale presenti nei contratti esistenti prima dell’entrata in vigore della legge. Tuttavia, questa disposizione è stata successivamente annullata dalla Corte Costituzionale per violazione dell’articolo 77 della Costituzione.

Nel tentativo di trovare un equilibrio, lo stesso articolo 25 ha introdotto modifiche all’articolo 120 del Testo Unico Bancario, delegando il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) a definire criteri e modalità per il calcolo degli interessi sugli interessi, assicurando la parità di trattamento tra interessi passivi e attivi.

La delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (Cicr) del 9 febbraio 2000 ha stabilito che, per i

saldi di conto corrente, la capitalizzazione degli interessi è lecita solo se rispetta la stessa periodicità nella liquidazione degli interessi attivi e passivi. In altre parole, se gli interessi vengono accreditati e addebitati con la stessa frequenza (ad esempio, trimestralmente), allora è possibile applicare l’anatocismo.

Per i contratti di mutuo e di finanziamento, la delibera ha chiarito che, in caso di inadempimento del debitore, gli interessi maturati sulle rate scadute possono a loro volta generare interessi, e quindi generare anatocismo, ma solo a condizione che ciò sia espressamente previsto nel contratto (ci deve quindi essere l’accettazione del cliente). Tuttavia, in questo contesto, la capitalizzazione periodica degli interessi non è ammessa, sottolineando così la cautela verso pratiche potenzialmente onerose per i debitori.

L’intervento legislativo tramite la Legge di stabilità del 2013 ha rappresentato un ulteriore tentativo di regolamentare l’anatocismo bancario, modificando l’articolo 120 del Testo Unico Bancario (TUB) e

vietando esplicitamente ogni forma di capitalizzazione degli interessi, ad eccezione degli interessi di mora. Questa disposizione ha affidato nuovamente al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (Cicr) l’incarico di definire le modalità e i criteri per il calcolo degli interessi nel contesto bancario.

La normativa è stata soggetta a successive modifiche, culminate nel Decreto legge 18 del 14 febbraio 2016, convertito nella Legge 49/2016. Quest’ultima ha portato alla delibera del Cicr del 3 agosto 2016, che ha introdotto importanti novità nella gestione degli interessi bancari, con l’obiettivo di garantire maggiore trasparenza e tutela per i consumatori.

La delibera del Cicr del 2016 stabilisce che, nel contesto delle operazioni di raccolta del risparmio, gli interessi debitori maturati non possono generare ulteriori interessi, ad eccezione degli interessi di mora. Questa regolamentazione si applica ai rapporti di conto corrente e di conto di pagamento, assicurando che la periodicità nel calcolo degli interessi creditori e debitori sia la stessa e non inferiore all’anno.

Inoltre, la delibera prevede una contabilizzazione separata degli interessi debitori maturati rispetto alla sorte capitale, in particolare per le aperture di credito in conto corrente, conto di pagamento e gli sconfinamenti. Ai clienti viene garantito un termine di trenta giorni dal ricevimento delle comunicazioni previste dalla normativa, prima che gli interessi maturati diventino esigibili.

Significativamente, la delibera concede ai clienti la possibilità di autorizzare l’addebito degli interessi sul conto al momento della loro esigibilità. In questo caso, la somma addebitata viene considerata come capitale, influenzando così il calcolo degli interessi futuri. In caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi diventano immediatamente esigibili.

Per garantire la conformità con le nuove disposizioni, i contratti bancari in corso al momento dell’entrata in vigore della delibera dovevano essere adeguati mediante l’introduzione di clausole specifiche, come previsto dagli articoli 118 e 126-sexies TUB. Questo processo di adeguamento è stato considerato un “giustificato motivo” ai sensi dell’articolo 118 TUB, sottolineando l’importanza della trasparenza e della protezione dei consumatori nel settore bancario.

Come calcolare l’anatocismo bancario

Per verificare se un prestito ha prodotto anatocismo bisogna affidarsi a un commercialista o altro tecnico del settore bancario che, attraverso l’ausilio di un apposito software, effettui una perizia per verificare se c’è stato anatocismo illegittimo.

Chiaramente, tale verifica presuppone che il cliente sia stato moroso e abbia subìto l’applicazione di interessi moratori.

La verifica sarà rivolta innanzitutto ad accertare se il contratto prevedeva la possibilità di un’applicazione dell’anatocismo e, in secondo luogo, se questa tecnica si è verificata con cadenza più breve di quella annuale, prevista dalla legge.

Il perito potrà altresì verificare, nel contempo, se la banca ha applicato interessi usurari.

La prescrizione dell’azione legale

Nel contesto dell’anatocismo bancario, assume particolare rilevanza il tema della prescrizione delle azioni legali intraprese dai correntisti contro le banche per la restituzione delle somme addebitate indebitamente sotto forma di interessi composti.

È importante distinguere tra l’azione volta ad accertare la nullità degli interessi anatocistici, considerata imprescrittibile, e l’azione di ripetizione di indebito, soggetta a un termine di prescrizione di 10 anni.

La Corte di Cassazione, intervenendo su un dibattito giurisprudenziale, ha precisato con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010 che il termine di prescrizione per l’azione di ripetizione inizia a decorrere dalla chiusura del conto corrente, quando i versamenti effettuati hanno meramente ripristinato la provvista.

In alternativa, la prescrizione decorre dall’annotazione dell’operazione che rappresenta un effettivo pagamento da parte del cliente, come nel caso di un conto scoperto o utilizzato oltre il limite di fido concesso.

La giurisprudenza successiva ha chiarito che, in sede di giudizio, spetta alla banca l’onere di dimostrare la natura solutoria delle rimesse effettuate sul conto corrente. Al correntista, invece, è richiesto di fornire prova dell’esistenza di affidamenti, in caso di contro-eccezione.

Questo punto solleva questioni riguardo alla tipologia di prove necessarie: se sia sufficiente la presentazione dei contratti di affidamento o se possano essere ammesse anche prove indirette, come estratti conto, riassunti scalari e dati dalla Centrale Rischi.

Un altro tema controverso riguarda il ruolo della consulenza tecnica contabile (CTU) nel corso del processo. In particolare, si discute se la verifica dell’esistenza di rimesse solutorie debba basarsi sui saldi riportati negli estratti conto o su un “saldo rettificato”, ottenuto eliminando tutti gli addebiti indebiti effettuati dalla banca.

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