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Veniamo adesso al calo del debito pubblico. Conte ripete che in tre anni il rapporto tra il debito pubblico e il Pil è sceso di 17,6 punti grazie al Superbonus. Secondo le stime pubblicate da Istat il 1° marzo, nel 2020 questo rapporto era pari al 154,9 per cento, mentre nel 2023 è sceso al 137,3 per cento: la differenza è pari a 17,6 punti, il numero correttamente indicato dal presidente del Movimento 5 Stelle. 

Sulla dichiarazione di Conte vanno però fatte alcune osservazioni. Innanzitutto, prima della pandemia, nel 2019 il rapporto tra debito pubblico e Pil era pari al 134,6 per cento, circa 5 punti percentuali inferiore rispetto a oggi e 11 punti percentuali in meno rispetto al 2021, quando è finita l’esperienza del secondo governo Conte. In secondo luogo, il rapporto tra il debito pubblico e il Pil può ridursi per due motivi: da un lato, se scende lo stock di debito, ossia la quantità di risorse prese a prestito; dall’altro lato, se cresce il Pil nominale, che a differenza del Pil reale non tiene conto dell’inflazione. Il Pil nominale sta al denominatore ed è inversamente proporzionale al rapporto: in concreto, più aumenta il Pil, più cala il rapporto tra il debito e il Pil. 

Di solito in economia si fa riferimento al rapporto tra il debito e il Pil, e non al valore assoluto del debito, per un motivo: non importa tanto quanto un soggetto sia indebitato, sia esso uno Stato, un’azienda o una famiglia, ma piuttosto quanto reddito produce per rendere quel debito sostenibile. Un professionista che fattura alcuni milioni di euro ogni anno e ha un mutuo da 100 mila euro è più indebitato in valori assoluti di un disoccupato che ha chiesto un prestito da 10 mila euro, ma la sostenibilità dei due debiti è diversa perché è diverso il reddito generato dai due soggetti. Anche se con qualche differenza, lo stesso ragionamento funziona anche quando si parla del debito degli Stati.

Dunque, secondo Conte la crescita del Pil innescata dal Superbonus sarebbe stata talmente alta da ridurre il rapporto tra il debito pubblico e il Pil. Questa riduzione sarebbe avvenuta, a detta sua, perché la crescita economica sarebbe stata più alta del maggiore indebitamento a cui lo Stato è dovuto ricorrere per finanziare le ristrutturazioni degli immobili. Al di là degli effetti di lungo periodo (l’aumento del Pil sta arrivando in questi anni, mentre gli oneri del Superbonus si spalmeranno sui prossimi), questa tesi è poco solida per varie ragioni.

Di recente l’Istat ha rivisto al rialzo il deficit (ossia la differenza in negativo tra quanto lo Stato spende e incassa) registrato nel 2023. Il governo Meloni aveva previsto che lo scorso anno il deficit avrebbe avuto un valore pari al 5,3 per cento del Pil. In realtà è stato pari al 7,2 per cento, con una differenza in negativo di circa 40 miliardi di euro. L’aumento del deficit è stato dovuto proprio alla crescita delle detrazioni dei bonus edilizi, che è stata più alta del previsto. Anche la stima del deficit per il 2022 è stata rivista al rialzo a causa dei bonus edilizi, raggiungendo un valore pari all’8,6 per cento del Pil. È normale che in un periodo di crisi l’indebitamento di uno Stato cresca, ma il valore del deficit italiano resta più alto rispetto ad altri Paesi europei. Il dato del 2023, per esempio, è pari al doppio della media dell’Unione europea ed è particolarmente preoccupante per il nostro Paese, che ha il secondo rapporto tra debito pubblico e Pil più alto nell’Ue. L’impatto del Superbonus sulla crescita non è quindi bastato a far scendere il rapporto tra il debito e il Pil, suggerendo che l’efficacia della misura sia stata piuttosto limitata e, anzi, possa aver aggravato ulteriormente lo stato dei conti pubblici italiani.

Va poi sottolineato che il calo degli ultimi anni del rapporto tra debito e Pil è dipeso molto anche dall’inflazione. Come abbiamo anticipato, nel calcolo del rapporto non si considera il Pil reale, ossia il Pil al netto dell’aumento dei prezzi, ma quello nominale. Per capire la differenza basta un esempio: immaginiamo un’economia che produce solo mele, che costano un euro l’una. Se nel 2020 sono state prodotte dieci mele, il Pil varrà dieci euro. Se l’anno successivo si producono sempre dieci mele, ma che costano due euro l’una, il Pil salirà a 20 euro. Questo è l’aumento del Pil nominale, calcolato ai prezzi correnti, mentre il Pil reale, che considera la quantità effettivamente prodotta, rimarrà invariato. Se però lo stock di debito vale dieci euro e il Pil nominale cambia, si passerà da un rapporto tra debito e Pil del 100 per cento a un rapporto pari al 50 per cento.

In Italia l’aumento del Pil nominale, e quindi il calo del rapporto tra debito e Pil, è stato trainato in parte proprio dall’inflazione, che è cresciuta molto dal 2021 in poi. Il Superbonus e gli altri bonus edilizi hanno contribuito a questo fenomeno, dato che la forte domanda di ristrutturazioni ha contribuito a far crescere i prezzi nelle costruzioni, e quindi a far crescere l’inflazione. Ma è difficile definire questo aumento dei costi come un risultato positivo ottenuto dai bonus edilizi.

 

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