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Trentun anni non sono bastati per risolvere il mistero della scomparsa di Cristina Golinucci, la 21enne di Cesena della quale si sono perse le tracce il primo settembre del 1992. Ma ci sono ancora dei tasselli mancanti nella vicenda e, proprio per questo, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Forlì ha respinto la richiesta di archiviazione presentata dalla procura, invitando il pm a sentire i testimoni e a proseguire le indagini sulle circostanze emerse negli ultimi mesi. Dopo trentun anni si continua a scavare. I ’tempi supplementari’ concessi dal magistrato scadranno tra tre mesi, questo il tempo di proroga delle indagini.

È stata la mamma di Cristina, Marisa Degli Angeli, a chiedere al giudice di continuare a indagare perché “la famiglia ha bisogno di risposte, perché la verità non si elabora con una figlia scomparsa”. Un elemento che secondo la madre di Cristina e i suoi legali (gli avvocati Barbara Iannuccelli e Nicodemo Gentile) sarebbe determinante per l’inchiesta, è quello di indagare sull’esistenza di una testimone oculare che, il giorno della scomparsa della Golinucci, avrebbe visto la ragazza litigare con un uomo adulto nel parcheggio dei Frati Cappuccini di Cesena, prima di sparire per sempre. É emerso all’udienza di opposizione all’archiviazione che la testimone oculare riferì a delle amiche di aver visto Cristina parlare in modo agitato con quell’uomo che alla fine riuscì a calmarla. Cristina aveva un appuntamento quel giorno con frate Lino Ruscelli, suo padre spirituale (nel frattempo deceduto) ma a quell’appuntamento non si è mai presentata. Al convento dei Frati Cappuccini, nelle colline cesenati, Cristina lasciò parcheggiata la sua Fiat 500 e sparì.

Le indagini per far luce sulla scomparsa di Cristina Golinucci erano state (ri)avviate a fine maggio 2022, quando i legali presentarono l’ennesima istanza di ispezione in un casolare di fianco al convento mai ispezionato fino a quel momento. Ma le ricerche sono risultate vane. La prima pista seguita (e mai abbandonata) ruotava attorno alla figura di Emanuel Boke, un ragazzo di origini africane che lavorava in convento. Lui dapprima confessò l’omicidio di Cristina, poi ritrattò. Le sue tracce si sono perse in Francia e il suo nome non è mai finito nel registro degli indagati. Le altre due piste seguite ruotavano attorno alla figura di un infermiere cesenate e di un presunto predatore sessuale frequentante la parrocchia e gli ambienti del volontariato. I legali chiedono di non abbandonare nessuna pista. La procura a ottobre ha chiesto l’archiviazione perchè, nonostante le indagini ad ampio raggio “non è stato possibile arrivare all’identificazione degli autori del reato”. Tante altre le piste seguite negli anni, emerse nelle carte dei procedimenti. Come la lettera anonima che spiegava che il corpo di Cristina era nel pozzo adiacente al convento e la telefonata che diceva che “il cadavere della Golinucci giace nel fiume Tevere”.

 

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