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 Tribunale di Taranto


Sezione II


Ordinanza 16 dicembre 2013 – 31 marzo 2014


TRIBUNALE DI TARANTO


II SEZIONE


Ordinanza (ex art. 624, II co. – 669 terdecies – 737-738 c.p.c.) – (R.G. 8712-2013)


Presidente: Gianfranco Coccioli


Giudice relatore: dott. Claudio Casarano


Giudice: Enrica Di Tursi


il fatto ed il provvedimento impugnato


La BNL il 13 maggio 2013 notificava atto di precetto con il quale intimava il pagamento della somma di euro 54.147,43 per il mancato pagamento di rate di mutuo fondiario stipulato in forma pubblica in data 14-03-2007 con i sig.ri G. L. e R. M..


Al mutuo accedeva ipoteca sull’appartamento, ora in comproprietà, iure succesionis, anche della figlia dei mutuatari, per essere nel frattempo deceduto il padre.


Al precetto seguiva pignoramento immobiliare.


Gli attuali comproprietari dell’immobile proponevano opposizione all’esecuzione ma il giudice dell’esecuzione con ordinanza del 16-12-2013 rigettava la richiesta di sospensione della procedura esecutiva immobiliare in corso.


Seguiva reclamo, avversato naturalmente dalla BNL.


Il motivo che merita accoglimento: l’exceptio doli generalis sollevata è idonea a paralizzare il diritto di veder risolto il mutuo ex art. 1456 c.c. sulla base di clausola risolutiva espressa


Tra i diversi motivi di impugnativa proposti dai reclamanti merita di trovare accoglimento quello che fa leva sull’exceptio doli generalis.


In altri termini la banca notificava precetto nel maggio del 2013, sebbene avesse accettato costanti pagamenti mensili effettuati dal coniuge del mutuatario deceduto: risulta documentato il pagamento di 31 rate mensili, pur se nella misura della metà dell’importo dovuto contrattualmente, da dicembre 2010 a giugno 2013.


La contrarietà a buona fede dell’azione esecutiva intrapresa dalla banca( divieto di venire contra factum proprium), nel presupposto dell’avvenuta risoluzione ope legis del contratto di mutuo ex art. 1456 c.c., cui è correlata naturalmente l’esigibilità di tutte le somme ancora dovute, si desume da una serie di univoche circostanze.


In primo luogo si deve considerare che il precetto si limitava semplicemente a denunziare il mancato pagamento delle rate di ammortamento scadute: “…sia ex art. 1816 c.c. sia in virtù dei patti contrattuali decaduti, i mutuatari dovevano intendersi decaduti dal beneficio del termine…”.


Nel precetto era poi specificata la qualità di erede della figlia opponente del mutuatario deceduto e la notifica del titolo anche nei suoi confronti ai sensi dell’art. 602 – 603 c.p.c. quale comproprietaria dell’immobile ipotecato.


Null’altro era detto.


Non c’era un accenno alla precedente avvenuta rinegoziazione del mutuo, che aveva portato le pattuite 120 rate del mutuo da euro 742,46 mensili a 180 rate mensili di euro 510,00.


E tale vicenda, contrariamente all’opinione espressa dalla difesa istante, ossia l’avvenuta rinegoziazione non in forma solenne del mutuo originario, non farebbe perdere ex se all’originario titolo negoziale la sua efficacia di titolo esecutivo per indeterminabilità dell’oggetto. Si deve infatti considerare che nella determinazione della somma residua dovuta ed indicata nel precetto, la banca naturalmente teneva conto del secondo piano di ammortamento più favorevole per il mutuatario; grava quindi sull’opponente l’onere di contestare specificatamente il quantum e l’eventuale accoglimento della difesa comporterebbe la sola riduzione della pretesa creditoria; che di per sé non può implicare sospensione della procedura esecutiva.


Ma soprattutto non si faceva cenno all’avvenuto pagamento di rate mensili da parte del coniuge del mutuatario deceduto; iniziativa peraltro che il coniuge superstite, con apposita missiva inviata alla banca, giustificava per il fatto che la pensione di reversibilità che iniziava a percepire risultava di molto inferiore rispetto alla pensione che percepiva il marito.


Questi poi era affetto da un male incurabile già al momento della stipula del mutuo e per questa ragione dopo pochi mesi era stata stipulata una polizza assicurativa; ma veniva ricusata efficacemente dalla società assicuratrice, dal momento che la malattia nella sua gravità conclamata preesisteva al contratto di assicurazione, come peraltro emergente da probante documentazione prodotta dalla parte opponnete reclamnate.


Ora se è vero che la notifica del precetto da parte della banca mutuante è generalmente interpretata come implicita volontà di avvalersi ex art. 1456 c.c. della clausola risolutiva espressa, è pur vero che la banca non poteva fare finta di niente in ordine all’avvenuto pagamento per tre anni delle rate di mutuo da parte della coniuge superstite, pur se nella misura del 50% di quella dovuta contrattualmente.


E si consideri che ogni volta il pagamento con assegno veniva accompagnato da missiva a firma della mutuataria, con tanto di puntuale descrizione anche della causale del pagamento parziale della rata di mutuo.


Né risulta depositato allo stato alcun documento dal quale emerga una imputazione da parte della banca del pagamento parziale alla maggior somma dovuta, magari accompagnata da riserva di avvalersi pur sempre della clausola risolutiva espressa.


E si ricordi che ai sensi dell’art. 1181 c.c. il creditore può sempre rifiutare un pagamento parziale, anche in materia di prestazioni divisibili.


Silenzio totale invece.


Il precetto non era neanche preceduto da una lettera con la quale banca spiegasse perché


non avrebbe potuto essere piu’ tollerato un pagamento parziale, pur se costante, anzi accettato per tre anni prima della notifica del precetto senza proferire verbo; ad esempio


la banca ben avrebbe potuto esprimersi in questi più corretti termini: io banca intimo di tornare a pagare la rata nel suo ammontare originario ovvero propongo magari una ulteriore rinegoziazione perché la rata pagata è troppo bassa rispetto a quella convenuta; in mancanza, nel presupposto che nessuna modifica al piano di ammortamento concordato può dirsi intervenuta, io banca mi avvalgo della clausola risolutiva espressa, rifiuto il pagamento parziale, magari imputandolo al maggior avere, e quindi ti dichiaro decaduta dal beneficio del termine, con la conseguente esigilità di tutto il debito residuo.


Non può quindi reggere la motivazione del giudice dell’esecuzione secondo cui, dovendo pur sempre essere restituita la sorte capitale residua, a tutto volere concedere agli esecutati, non vi sarebbero i presupposti per la sospensione dell’esecuzione forzata che colpiva la casa di abitazione della vedova.


Il diritto fatto valere dalla banca creditrice infatti – l’avvalersi cioè della clausola risolutiva ex art. 1456 c.c., e quindi il configurarsi dell’esigibilità del debito residuo per capitale ed interessi – non sarebbe allora meritevole di tutela alla luce del precetto ex art. 1175 c.c., secondo cui “Il debitore ed il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”, ed ex art. 1375 c.c., in tema di esecuzione secondo buona fede del contratto; o quanto meno, posto che si verte in fase cautelare, ricorre il fumus utile per ottenere la sospensione dell’esecuzione forzata in attesa del giudizio di merito che dovrà seguire.


Avendo il giudice collegiale sospeso l’esecuzione forzata, ossia adottato un provvedimento che non definisce il procedimento cautelare, preludendo anzi il necessario inizio del giudizio di merito, non può esserci statuizione sulle spese.


P.T.M.


Il Tribunale definitivamente pronunciando sul reclamo proposto dai sig.ri T.


L. e R. M. avverso l’ordinanza adottata dal Giudice dell’Esecuzione in data 16-12-2013, contro la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., così provvede:


Accoglie il reclamo proposto e revoca il provvedimento impugnato;


Sospende l’esecuzione forzata in corso;


Spese al definitivo.


Il Presidente

 

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