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Il concordato semplificato non necessariamente deve prevedere pagamenti in favore di tutti i creditori, bensì, a ciascuno di essi, una utilità maggiore rispetto all’alternativa liquidazione giudiziale.

Una società, a seguito dell’insuccesso della composizione negoziata della crisi, propone ricorso per l’accesso al concordato semplificato.

Come noto, tale procedura a carattere liquidatorio è stata introdotta nell’ordinamento dal Codice della Crisi, in particolare dagli articoli 25sexies e 25septies, e affianca le “sorelle maggiori” procedure concordatarie ereditate dalla precedente legge fallimentare.

Come suggerisce la denominazione, il concordato semplificato è contraddistinto da un iter maggiormente snello rispetto al concordato “classico”, non prevendo, ad esempio, la figura da commissario giudiziale (sostituito dall’ausiliario) né l’approvazione della proposta da parte della maggioranza dei creditori.

Gli unici presupposti di cui il Codice, all’articolo 25sexies, comma 5, richiede il rispetto ai fini dell’omologazione, è che il piano non arrechi pregiudizio ai creditori rispetto a quanto accadrebbe nella liquidazione giudiziale e che venga garantita un’utilità a ciascuno di essi.

Doverosamente (e sommariamente) dipinti i connotati del concordato semplificato, tornando al caso di odierno interesse, la proposta presentata dalla società in crisi prevedeva la cessione di tutti gli asset di impresa, con ipotesi di soddisfacimento dei creditori alternative a seconda che la vendita dell’azienda avesse o meno avuto esito positivo all’esito del primo esperimento. In nessuno dei due casi era comunque contemplata alcuna possibilità di pagamento dei crediti chirografari.

Proprio a tal proposito, nella proposta, il debitore aveva ben evidenziato come il beneficio di cui, secondo la norma, deve godere ciascun creditore, non necessariamente è da intendersi come percepimento di una somma di denaro, potendo tradursi anche nel vantaggio fiscale derivante dall’accertata irrecuperabilità del credito. 

L’affermazione, nel suo valore assoluto, non è errata, ma il Collegio va oltre.

Osserva, infatti, il Tribunale come, se pur vero che ai fini dell’omologa la norma non richieda pagamenti in favore di tutti i creditori, è indispensabile, da un lato, che l’utilità sia economicamente quantificabile e, dall’altro lato che l’utilità garantisca ai creditori beneficio aggiuntivo rispetto a quello che avrebbero in caso di apertura della liquidazione giudiziale.

Ciò al fine del rispetto dell’altro requisito sopra menzionato, circoscritto dall’art. 25sexies, comma 5 che, invero, era stato del tutto trascurato dalla debitrice.

Affermano, infatti, i Giudici bergamaschi come: “se è vero che il comma 5 dell’art.25sexies non richiama l’“utilità specificatamente individuata ed economicamente valutabile”, di cui all’art. 84, co. 3, CCII, per cui non è indispensabile che l’utilità sia economicamente computabile, non di meno deve trattarsi di un’utilità apportata dall’imprenditore alla procedura, un quid pluris di qualsiasi natura connesso alla soluzione alternativa alla liquidazione giudiziale che intende proporre. Questa interpretazione è supportata dalla congiunzione, nella disposizione normativa, che lega tra loro i requisiti della proposta ai creditori, per cui è previsto sia che la medesima non arrechi pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale sia che assicuri agli stessi una qualche utilità”.

Nella fattispecie, proprio il fatto che i creditori avrebbero goduto dei medesimi benefici fiscali previsti nella proposta concordataria anche nell’ambito della liquidazione giudiziale, non ha consentito di poter ritenere soddisfatti i requisiti per l’omologa, comportandone, dunque, il rigetto.

 

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