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Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 1517 del 25/1/2021

Brevi note di Maurizio Tidona, Avvocato

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1517 del 25/1/2021, ha affermato che il finanziamento della banca destinato ad estinguere una pregressa esposizione debitoria chirografaria in capo al proprio debitore non ha i requisiti sufficienti per essere qualificata “mutuo”.

Nella specie, il “ricavato” del mutuo era stato utilizzato dal mutuatario, in accordo con la banca mutuante, allo scopo specifico e programmatico di estinguere una pregressa esposizione debitoria chirografaria della società ancora in bonis, mediante un accredito in conto corrente.

Secondo la Corte non è consentita alla banca, in tali casi, l’insinuazione al passivo fallimentare delle somme relative all’operazione, in quanto le somme di cui all’operazione sono state solo apparentemente “erogate” al mutuatario; la banca non può, cioè, domandare la restituzione di una somma di denaro che in concreto non ha mai consegnato al mutuatario.

Secondo la Corte, in questa linea di ragionamento, il “ripianamento” di un debito chirografario della banca a mezzo di un nuovo “credito” – che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato del debito a carico del cliente – viene propriamente a sostanziare un’operazione di mera natura contabile,  con previsione di una coppia di poste nel conto corrente, di cui una in “dare” e l’altra in “avere”.

La Corte ha pertanto ritenuto, su tali presupposti, che l’operazione di finanziamento non possa integrare gli estremi di una operazione di mutuo, mancando la effettiva traditio (consegna) del denaro al mutuatario.

Nell’operazione si sarebbe invece realizzata una diversa fattispecie, e cioè quella di mero differimento del tempo di esecuzione della prestazione dovuta (la dilazione del debito chirografario originario).

Ne consegue, secondo il decisum della Corte, che la banca non ha diritto di avanzare “una domanda di ammissione al passivo che abbia ad oggetto la restituzione di somme di danaro”, in quanto “la domanda di ammissione non potrebbe che fare riferimento al titolo che in origine è stato alla base dell’erogazione delle somme a credito: dunque, all’iniziale scoperto di conto”, e non propriamente ad un mutuo, che in sostanza non si è mai realizzato.

Nel solo caso in cui la “posta attiva” risultasse superiore al debito del cliente in essere sul conto, per la parte del supero, l’operazione potrebbe invece ascriversi nel contesto tipologico del contratto di mutuo, con diritto della banca – per sola tale parte – di domandare l’insinuazione al passivo.

La Corte ha richiamato a supporto della propria decisione alcuni propri precedenti, ed in particolare le sentenze n. 20896 del 5/8/2019 (in nota [1]) e n. 7740 dell’8/4/2020 (in nota  [2])

La questione conferma uno scenario preoccupante per le banche nelle operazioni di finanziamento destinate ad estinguere pregresse esposizioni debitorie chirografarie, da valutare comunque caso per caso.

 

– MASSIME ESTRATTE:

“È da chiedersi se la presenza della valuta, di cui alla nuova operazione concordata tra la Banca e il suo cliente, su un conto corrente in cui risulti appostata la somma da quest’ultimo attualmente dovuta integri, o meno, gli estremi di un’operazione di mutuo. La risposta non può che essere negativa, sul filo dei rilievi che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di esplicitare (cfr. Cass., 5 agosto 2019, n. 20896; Cass., 8 aprile 2020, n. 7740). 19.- La struttura contrattuale del mutuo implica la consegna delle somme di denaro che ne costituiscono oggetto. E, per quanto possa essere realizzata anche a mezzo di forme assai rarefatte, comunque la traditio deve – per essere tale – realizzare il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario: farle muovere, farle transitare dal patrimonio dell’uno al patrimonio dell’altro, cioè, così comportando, in particolare, un conseguente trasferimento della proprietà delle somme (art. 1814 c.c.), con la connessa, acquisita loro disponibilità ex art. 832 c.c. da parte del mutuatario. Appare chiaro, in effetti, che, senza il compimento di un simile passaggio – senza l’effettivo trasferimento della proprietà delle somme e la connessa, acquisita loro disponibilità -, non potrebbe neppure ipotizzarsi, in ogni caso, la sussistenza dell’obbligo di restituzione che la parte finale della disposizione dell’art. 1813 c.c. pone in capo al mutuatario. Lungi dal realizzare spostamenti di danaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, il “ripianamento” di un debito a mezzo di nuovo “credito” – che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente – viene propriamente a sostanziare un’operazione di natura contabile. Con una coppia di poste nel conto corrente – una in “dare”, l’altra in “avere” – per l’appunto intesa a dare corpo ed espressione a una simile dimensione. In una tale evenienza, in effetti, l’accordo tra banca e cliente esclude la stessa eventualità di consegna e trasferimento di proprietà delle somme: la posta compiuta “in dare” sul conto comporta – ai sensi e per gli effetti dell’art. 1852 c.c. – un’automatica e immediata modifica del saldo ex art. 1852 c.c.: così precludendo ogni possibile ed eventuale sua utilizzabilità da parte del cliente, ma non eliminando la sostanza del debito”.

“L’operazione di “ripianamento” di debito a mezzo di nuovo “credito”, che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell’obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus”.

“Escluso ogni tratto di erogazione di somme a credito, l’operazione in discorso si mostra come una fattispecie di mero differimento del tempo di esecuzione della prestazione dovuta. La stessa viene a concretizzare, quindi, la figura del pactum de non petendo ad tempus (come propriamente accade nelle ipotesi prese in considerazione nella L. Fall., art. 67, comma 1, n. 4 e come può facilmente accadere pure nelle ipotesi di cui al n. 3 della stessa norma). Nel sistema vigente il patto di modifica del termine di scadenza dell’obbligazione è accordo che determina una semplice “modificazione accessoria dell’obbligazione” e che, quindi, non comporta novazione (cfr., così, la norma dell’art. 1231 c.c.). Ne consegue che si tratta di patto per sè stesso inidoneo a supportare – da solo – una domanda di ammissione al passivo che abbia ad oggetto la restituzione di somme di danaro (nel caso, la domanda di ammissione non potrebbe che fare riferimento al titolo che in origine è stato alla base dell’erogazione delle somme a credito: dunque, all’iniziale scoperto di conto)”.

 

– RAGIONI DELLA DECISIONE

“6. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.

6.1. Nel procedere al suo scrutinio – segnatamente, in relazione ai suoi primi cinque motivi (suscettibili di un vaglio congiunto, data la loro connessione) – occorre preliminarmente rilevare che viene all’esame di questa Corte una questione da essa più volte affrontata. Ed esattamente, quella relativa alla natura, onerosa o gratuita, di operazioni consistenti nella erogazione di un mutuo ipotecario che si assume non destinato a creare effettiva disponibilità finanziaria nel mutuatario, bensì ad estinguere un preesistente rapporto obbligatorio con il medesimo mutuante.

La presente fattispecie negoziale, però, si distingue – rispetto a quelle esaminate in passato dalla giurisprudenza di legittimità – per il fatto di non aver determinato la trasformazione del credito originario del mutuante da chirografario in ipotecario. Nell’ipotesi oggi in esame, infatti, il rapporto di mutuo, originariamente intercorrente tra la Banca Popolare di Vicenza e la società Nuova SO.FI.A., ed estinto grazie alla stipulazione del nuovo contratto, era già assistito da ipoteca.

Si tratta, dunque, di valutare se tale circostanza giustifichi un trattamento differenziato della presente fattispecie, non potendo affermarsi – come, invece, nei casi in cui questa Corte si è pronunciata in passato – che l’ipoteca risulta “creata per munire di garanzia esposizioni pregresse” che ne erano prive, sicché “la garanzia ipotecaria non è espressione di autotutela preventiva”, essendo, in tal caso, “la garanzia associata ad un rischio di credito già in atto”, ragion per cui la sua costituzione è ritenuta “successiva al sorgere del credito garantito” ed “ha natura di atto a titolo gratuito, con conseguente indifferenza” – ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, anche “in via breve” – “dello stato soggettivo del terzo” datore di ipoteca (così, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 9 novembre 2018, n. 28802, Rv. 651455-01; nello stesso senso, tra le molte, Cass. Sez. 1, sent. 19 aprile 2016, n. 7745, Rv. 639319-01, nonché Cass. Sez. 1, ord. 21 febbraio 2018, n. 4202, Rv. 648106-01; Cass. Sez. 1, ord. 25 luglio 2018, n. 19746, Rv. 650163-01; Cass. Sez. 1, ord. 31 agosto 2018, n. 21535, non massimata).

6.2. Ciò detto va, inoltre, rilevato – sempre a titolo di premessa che questa Corte ha da tempo chiarito che “l’erogazione di un mutuo ipotecario non destinato a creare un’effettiva disponibilità nel mutuatario, già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, non integra necessariamente né le fattispecie della simulazione del mutuo (con dissimulazione della concessione di una garanzia per un debito preesistente) né quella della novazione (con la sostituzione del preesistente debito chirografario con un debito garantito)”, giacché “normalmente integra una fattispecie di procedimento negoziale indiretto, nel cui ambito il mutuo ipotecario viene erogato realmente e viene utilizzato per l’estinzione del precedente debito chirografario” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 29 febbraio 2016, n. 3955, Rv. 638838-01).

Su tali basi, dunque, è stata superata l’impostazione tradizionale secondo cui, in caso di mutuo finalizzato a conseguire l’estinzione di un debito anteriore, il procedimento, caratterizzato da motivo illecito (per violazione della “par condicio”), avrebbe come effetto finanche l’impossibilità di ammettere al passivo le somme mutuate dalla banca, siccome conseguente alla dichiarazione di inefficacia dell’ipoteca. Per contro, si è ritenuto che, nel caso in cui “venga dichiarato il fallimento dell’obbligato, è revocabile L. Fall., ex art. 67, l’ipoteca, accessoria ad un mutuo, che integri in concreto una garanzia costituita per un debito chirografario preesistente, ma la revoca di detta ipoteca non comporta necessariamente l’esclusione dall’ammissione al passivo di quanto erogato per il suddetto mutuo, essendo l’ammissione incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poiché, in tal caso, la stessa revoca dell’intera operazione e, quindi, anche del mutuo – comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, e ciò in quanto all’inefficacia del contratto conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pur in moneta fallimentare” (Cass. Sez. 1, sent. 28 gennaio 2013, n. 1807, Rv. 624878-01).

Resta, inoltre, inteso che la possibilità di conseguire la declaratoria di inefficacia della (sola) ammissione del credito come “ipotecario” al passivo fallimentare può farsi valere dal curatore del mutuatario, poi dichiarato fallito, anche “in via breve”, L. Fall., ex art. 66 (da ultimo, come detto Cass. Sez. 1, n. 28802 del 2018, cit.).

6.3. Tanto premesso, va ancora rilevato che questa Corte ha, comunque, chiarito che da operazioni negoziali siffatte va distinta “quella volta al rifinanziamento del debitore”, poiché il “ricorso al credito come strumento di ristrutturazione del debito – cui del resto si rivolge l’attuale normativa a mezzo degli attuali della L. Fall., artt. 182-bis e 182-quater – consente di rinegoziare i finanziamenti bancari anche nei riguardi di debiti scaduti” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. n. 3955 del 2016, cit.). Orbene, si è pure precisato che “l’elemento caratteristico di siffatto tipo di ricorso al credito è che segua effettivamente, poi, l’erogazione di nuova liquidità da parte della banca, funzionale non solo (e non tanto), quindi, all’azzeramento della preesistente esposizione debitoria”, ma soprattutto “a rimodulare, per il tramite di nuove condizioni negoziali – per esempio afferenti il tasso di interesse – o rinnovate tempistiche dei pagamenti, l’assetto complessivo del debito nel contesto di una nuova veste giuridico-economica degli anteriori rapporti” (così, nuovamente, Cass. Sez. 1, sent. n. 3955 del 2016, cit.).

6.4. Orbene, facendo applicazione di tali principi al caso di specie, deve rilevarsi che nel mutuo concluso tra la Banca Popolare di Vicenza e la Nuova SO.FI.A. in data (OMISSIS) non si ravvede l’individuazione di nuove condizioni negoziali (sotto forma di diversi tassi di interesse o diverse modalità di pagamento) rispetto a quello del (OMISSIS), ma una semplice dilazione del termine di restituzione della somma mutuata.

Di conseguenza, come di recente osservato da questa Corte (ancorché, va precisato, sempre con riferimento alla stipulazione di un nuovo contratto di mutuo, assistito da ipoteca, destinato a subentrare ad altro, fonte di un credito restitutorio non garantito da tale “ius in re aliena”, ma con affermazione di portata generale), laddove non si ravvisino profili di erogazione di “nuova” liquidità, piuttosto che assistersi a “spostamenti di danaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, il “ripianamento” di un debito a mezzo di nuovo “credito”, che la banca già creditrice metta in opera con il proprio cliente, sostanzia propriamente un’operazione di natura contabile”, ovvero “con una coppia di poste nel conto corrente – una in “dare”, l’altra in “avere” – per l’appunto intesa a dare corpo ed espressione a una simile dimensione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 5 agosto 2019, n. 20896, Rv. 655022-01).

Alla luce di quanto appena osservato, coglie, dunque, nel segno il rilievo del ricorrente, laddove contesta che l’operazione negoziale posta in essere nel 2011 costituisse atto a titolo oneroso, ciò che avrebbe dovuto indurre il Tribunale di Roma a ritenere del tutto indifferente – nell’esaminare, in sede di opposizione allo stato passivo, la revocatoria in via di eccezione fatta valere dalla curatela fallimentare, in relazione alla sola costituzione della garanzia reale lo stato soggettivo del terzo, visto che “l’azione revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e, quindi, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore” (così, tra le molte, Cass. Sez. 2, sent. 17 maggio 2010, n. 12045, Rv. 613108-01; per un’applicazione del principio in caso di “rifinanziamento” del – già mutuatario, cfr. Cass. Sez. 1, sent. n. 28802 del 2018, cit.).

6.5. Il sesto motivo è, invece, inammissibile, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

6.5.1. Difatti, secondo questa Corte, il “ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova” (Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2016, n. 20637, Rv. 64291901).

Si richiede, in altri, termini che la parte ricorrente non solo riproduca, nel proprio atto di impugnazione, stralci dei suoi scritti defensionali idonei a far emergere l’esistenza di una specifica contestazione in merito ai fatti – o a taluni di essi – allegati da controparte (onere, nella specie, sicuramente non soddisfatto dalla ricorrente), ma pure che si effettui una “preliminare trascrizione dei passaggi degli atti introduttivi a mezzo dei quali l’attrice ha compiuto le proprie allegazioni e il convenuto ha resistito alla domanda, ossia delle deduzioni e delle contestazioni che hanno concorso alla delimitazione del “thema decidendum” e del “thema probandum”” (così, nuovamente, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 20637 del 2016, cit.); neppure siffatto onere, tuttavia, risulta soddisfatto nel caso che occupa.

7. All’accoglimento, per quanto di ragione, dei primi cinque motivi di ricorso (e alla declaratoria di inammissibilità del sesto), segue la cassazione del provvedimento impugnato ed il rinvio al Tribunale di Roma, perché decida in relazione alla proposta opposizione alla stregua dei principi dianzi enunciati, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, per quando di ragione, cassando per l’effetto l’ordinanza impugnata, rinviando al Tribunale di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria l’8 aprile 2020”.

 

Note:

[1] Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 20896 del 5/8/2019: “La struttura contrattuale del mutuo implica la consegna delle somme di denaro che ne costituiscono oggetto. E, per quanto possa essere realizzata anche a mezzo di forme assai rarefatte, comunque la traditio deve, per essere tale, realizzare il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario: farle muovere dal patrimonio dell’uno al patrimonio dell’altro, più precisamente. Appare chiaro, in effetti, che, senza il compimento di un simile passaggio – senza, dunque, il conseguente trasferimento della proprietà delle somme (art. 1814 c.c.), con la connessa, acquisita loro disponibilità ex art. 832 c.c. -, non potrebbe neppure ipotizzarsi, in ogni caso, la sussistenza dell’obbligo di restituzione che la parte finale della norma dell’art. 1813 c.c. pone in capo al mutuatario. Lungi dal realizzare spostamenti di danaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, il “ripianamento” di un debito a mezzo di nuovo “credito”, che la banca già creditrice metta in opera con il proprio cliente, sostanzia propriamente un’operazione di natura contabile (con una coppia di poste nel conto corrente – una in “dare”, l’altra in “avere” – per l’appunto intesa a dare corpo ed espressione a una simile dimensione; diverso, naturalmente, è il caso in cui la posta a credito sia di montante superiore al debito del cliente in essere sul conto, per la parte del supero l’operazione ben potendo allora iscriversi nel contesto tipologico del contratto di mutuo)”.

(nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito di rigetto della domanda della banca di essere ammessa al passivo del fallimento della debitrice, in via di prelazione ipotecaria, in ragione di crediti derivanti da due distinti mutui, erogati con contestuale estinzione di debiti preesistenti chirografari, senza che fosse stata creata nuova disponibilità per il mutuatario; nella specie, la nullità ed in subordine la simulazione dell’intera operazione – negozio di finanziamento, negozio di garanzia e destinazione della somma a pagamento di preesistente debito – è stata ritenuta per difetto di causa in quanto con il mutuo si era creata una “obbligazione virtuale” per ottenere delle garanzie ipotecarie, e comunque la revocabilità della stessa ai sensi della L. Fall., art. 66 e art. 2901 c.c. dell’intera operazione volta al pagamento anomalo di debito non scaduto con procedimento indiretto e con riqualificazione privilegiata del debito preesistente)

[2] Cassazione Civile, sez. III, sent. n. 7740 dell’8/4/2020: “Questa Corte (ancorché, va precisato, sempre con riferimento alla stipulazione di un nuovo contratto di mutuo, assistito da ipoteca, destinato a subentrare ad altro, fonte di un credito restitutorio non garantito da tale “ius in re aliena”, ma con affermazione di portata generale), laddove non si ravvisino profili di erogazione di “nuova” liquidità, piuttosto che assistersi a “spostamenti di danaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, il “ripianamento” di un debito a mezzo di nuovo “credito”, che la banca già creditrice metta in opera con il proprio cliente, sostanzia propriamente un’operazione di natura contabile”, ovvero “con una coppia di poste nel conto corrente – una in “dare”, l’altra in “avere” – per l’appunto intesa a dare corpo ed espressione a una simile dimensione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 5 agosto 2019, n. 20896, Rv. 655022-01). Alla luce di quanto appena osservato, coglie, dunque, nel segno il rilievo del ricorrente, laddove contesta che l’operazione negoziale posta in essere nel 2011 costituisse atto a titolo oneroso, ciò che avrebbe dovuto indurre il Tribunale di Roma a ritenere del tutto indifferente – nell’esaminare, in sede di opposizione allo stato passivo, la revocatoria in via di eccezione fatta valere dalla curatela fallimentare, in relazione alla sola costituzione della garanzia reale lo stato soggettivo del terzo, visto che “l’azione revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e, quindi, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore” (così, tra le molte, Cass. Sez. 2, sent. 17 maggio 2010, n. 12045, Rv. 613108-01; per un’applicazione del principio in caso di “rifinanziamento” del – già mutuatario, cfr. Cass. Sez. 1, sent. n. 28802 del 2018, cit.)”.

(nella specie, il “ricavato” del mutuo era stato utilizzato dal mutuatario, in accordo con il mutuante, allo scopo specifico e programmatico di estinguere una pregressa esposizione debitoria chirografaria della società in bonis)

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