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Tribunale di Reggio Emilia


Sezione Fallimentare


Decreto 18 dicembre 2013 – 27 gennaio 2014


il Tribunale di Reggio Emilia


Sezione fallimentare


riunito in camera di consiglio e così composto:


Dottoressa Rosaria Savastano Presidente


Dottor Giovanni Fanticini Giudice Rel.


Dottor Luca Ramponi Giudice


nel giudizio di omologazione del concordato preventivo proposto da Viesse S.r.l. in liquidazione, ha emesso il seguente


DECRETO


  • rilevato che Viesse S.r.l. in liquidazione, con ricorso depositato il 30/11/2012, ha proposto ai creditori un concordato preventivo;

  • rilevato che con decreto del 15/12/2012 questo Tribunale ha concesso il termine richiesto ex art. 161 comma 6° L.F.;

  • rilevato che con decreto del 3/5/2012 il Tribunale ha dichiarato aperta la procedura;

  • rilevato che all’esito dell’adunanza svoltasi il giorno 4/7/2013 così si sono espressi i creditori:


Classe 1) (crediti ammessi al voto Euro 367.922,25): nessun voto (ex art. 178 L.F., consenziente); 100%;


Classe 2) (crediti ammessi al voto Euro 3.845.036,78): favorevoli 66,27%;


  • rilevato che la maggioranza dei voti favorevoli è stata raggiunta anche in relazione alle classi;

  • rilevato che è irrilevante, nel caso di specie, l’esame della questione inerente al computo dei voti dei creditori postergati (S.B. Immobiliare S.p.A.), atteso che l’importo dei crediti (Euro 367.922,25) non è tale da incidere sulla formazione delle maggioranze;

  • rilevato che il concordato preventivo è stato approvato ai sensi dell’art. 177 L.F.;

  • rilevato che il Commissario ha depositato parere favorevole in ordine alla proposta concordataria;

  • rilevato che, oltre al Commissario Giudiziale e al debitore, non vi sono altri soggetti costituiti;

  • rilevato che all’udienza del 29/10/2013 il Giudice Relatore ha indicato una questione – rilevabile ex officio – riguardante l’ammissibilità del negozio di destinazione ex art. 2645-ter c.c. (questione di seguito illustrata) e, ai sensi dell’art. 101 comma 2° c.p.c., ha concesso termine per memorie e rimesso gli atti al Collegio;


osserva


Secondo i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità (segnatamente, Cass., Sez. Un., 23/1/2013, n. 1521) “il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione” del concordato preventivo.


Perciò, il controllo di “fattibilità giuridica” del concordato spettante al Tribunale non è escluso – nella fase di omologazione – né dalla precedente apertura della procedura disposta con decreto del Collegio, né dall’intervenuta approvazione da parte dei creditori (che riguarda i diversi aspetti della “convenienza della proposta” e della “probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti”).


Più specificamente, la Suprema Corte ha chiarito che “il controllo del giudice non è di secondo grado, destinato cioè a realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica dell’attestato del professionista”, ma che, anzi, esso mira ad accertare – oltre all’assenza di modalità attuative incompatibili con norme inderogabili – la sussistenza della causa “in concreto” del negozio concordatario che vede, da un lato, il “superamento della situazione di crisi dell’imprenditore” e, dall’altro, il “riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti”.


Pertanto “il controllo [giurisdizionale] va effettuato … accertando la fattibilità giuridica della proposta … [e] valutando l’effettiva idoneità di quest’ultima ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura come sopra delineata … Rientra dunque certamente, nell’ambito del detto controllo, una delibazione in ordine alla … impossibilità giuridica di dare esecuzione (sia pure parziale) alla proposta di concordato … ovvero la rilevazione del dato, se emergente “prima facie”, da cui poter desumere l’inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto dei termini di adempimento previsti. … il sindacato del giudice in ordine al requisito di fattibilità giuridica del concordato deve essere esercitato sotto il duplice aspetto del controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura e della verifica della loro rispondenza alla causa del detto procedimento nel senso sopra delineato”.


§§§


Il piano concordatario proposto da Viesse S.r.l. prevede: a) la continuazione dell’attività liquidatoria del magazzino mediante l’ausilio di un dipendente part-time (e il licenziamento degli altri dipendenti al termine della cassa integrazione guadagni in deroga); b) la liquidazione degli altri beni secondo le modalità previste dalla Legge Fallimentare e il recupero di crediti della società; c) l’apporto esterno, da parte della società S.B. Immobiliare S.p.A. (avente compagine sociale identica a quella di Viesse S.r.l.), di un immobile sito in Reggio Emilia – via dei Coppi 12 (censito al C.F., foglio 209, mappale 614) da destinare alla liquidazione e alla soddisfazione dei creditori di Viesse.


Come risulta dal parere ex art. 180 L.F. del Commissario Giudiziale:


  • l’apporto derivante dall’immobile di Viesse è stimato in Euro 430.000,00, somma pari all’11,51% dell’intero attivo concordatario (valutato dal Commissario in Euro 3.735.890,93);

  • il passivo ammonta a Euro 3.608.079,45 per crediti prededucibili e in privilegio e a Euro 2.502.406,48 per crediti chirografari (complessivamente, Euro 6.110.485,93);

  • la somma prevista a disposizione dei chirografari è pari, dunque, a Euro 127.811,48;

  • di qui si ricava la percentuale del 5,1075%, indicata nella relazione come possibile misura di soddisfazione dei creditori non muniti di alcun privilegio.


Sulla scorta di tali elementi è evidente che l’apporto del terzo (S.B. Immobiliare S.p.A.) costituisce, sotto il profilo economico, requisito indefettibile per assicurare ai creditori (non solo ai chirografari, ma anche ai privilegiati) il “riconoscimento … di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato” e, sotto l’aspetto della “fattibilità giuridica”, elemento indispensabile per la sussistenza della concreta causa del concordato.


Difatti, ipotizzando il venir meno dell’apporto, il residuo dell’attivo (costituito dai soli beni della società proponente) non sarebbe sufficiente a dare una soddisfazione – ancorché minimale – all’intero ceto creditorio.


Spetta, quindi, al sindacato del Tribunale il “controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura” e, segnatamente, occorre esaminare l’atto del piano concordatario con cui S.B. Immobiliare ha “messo a disposizione” il cespite sopra individuato.


§§§


Con atto pubblico notarile del 24/4/2013 la “S.B. Immobiliare S.p.A.” ha costituito un “vincolo di destinazione”; nell’atto si legge:


  • tra le premesse, che la Viesse S.r.l. è stata posta in liquidazione con delibera del 20/11/2012 e che, “in seguito allo stato di crisi economica finanziaria di detta società è stata presentata … domanda di ammissione a concordato preventivo …”;

  • sempre in premessa, “la Società S.B. Immobiliare S.p.A., stante che la titolarità di detta società coincide con quella della società Viesse S.r.l., si è detta disponibile a mettere a disposizione della procedura concordataria un immobile di proprietà … per facilitare l’accettazione della procedura da parte dei creditori di Viesse S.r.l.”;

  • la Società S.B. Immobiliare S.p.A. … costituisce vincolo di destinazione irrevocabile ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. a favore della massa dei creditori della società Viesse S.r.l. destinando la piena proprietà dell’immobile infra descritto alla liquidazione dei crediti vantati dai creditori medesimi in misura proporzionale alle rispettive ragioni creditorie, secondo l’entità e l’ammontare, i tempi e le modalità definiti nella citata proposta di concordato o in successive nuove proposte di concordato preventivo, modifiche, rettifiche o integrazione delle stesse presentate in futuro entro un anno da oggi, e salve le legittime cause di prelazione”;

  • nel prosieguo, “Il presente vincolo di destinazione è funzionale alla vendita dell’immobile in oggetto secondo il programma di cui alla proposta di concordato citata o alle future eventuali proposte di concordato, come sopra detto, e avrà durata fino alla proporzionale liquidazione di tutti i crediti suddetti e in ogni caso cesserà in caso di vendita dei beni infra descritti da parte degli organi della procedura avviata con la proposta di concordato … nonché in caso di vendita da parte della stessa costituente autorizzata dal Tribunale ai sensi dell’art. 167 della richiamata legge fallimentare”;

  • Per effetto del vincolo come sopra costituito rimarrà inefficace nei confronti della costituente e della massa dei creditori ogni eventuale ipoteca giudiziale iscritta sul bene ed ogni azione esecutiva promossa contro il bene infra descritto da parte di uno o più dei citati creditori in forma individuale, così come da parte dei creditori particolari della costituente”;

  • I beneficiari del presente vincolo di destinazione sono i creditori della società Viesse S.r.l. risultanti dalla situazione patrimoniale allegata alla citata proposta di concordato preventivo e meglio ivi identificati nel capitolo “passività”, salvi in ogni caso eventuali successive integrazioni, modifiche o rettifiche … e salve nuove e diverse posizioni creditorie che emergessero in seguito o comunque risultassero da altre proposte di concordato preventivo presentato entro un anno da oggi e con riferimento alla medesima società”.


L’atto di “costituzione di vincolo di destinazione” del 24/4/2013 ha struttura unilaterale (avendo allo stesso partecipato il solo legale rappresentante di S.B. Immobiliare, a ciò legittimato da unanime delibera dell’assemblea dei soci) ed è stato trascritto nei RR.II. il 26/4/2013 (R.G. 7726, R.P. 4949) “contro S.B. Immobiliare S.p.A.” e a “favore [di] Viesse S.r.l.”.


§§§


Osserva il Tribunale che è aperto – in dottrina e in giurisprudenza – il dibattito sulla portata dell’art. 2645-ter c.c. e, in particolare, sull’ammissibilità del “negozio di destinazione puro” (la cui causa è insita nella “volontà destinatoria” del costituente sorretta da meritevolezza), sulla possibilità di strutturare il negozio come atto unilaterale, sulla effettiva meritevolezza degli interessi perseguiti (la norma richiama l’evanescente formulazione dell’art. 1322 c.c.), sulle modalità di trascrizione del vincolo, sulla sua modificabilità/revocabilità da parte del costituente; a queste problematiche si aggiungono quelle attinenti all’interferenza tra i vincoli di destinazione e le regole delle procedure concorsuali.


§§§


Riguardo alla prima questione – cioè, l’ammissibilità del “negozio di destinazione puro” – ritiene il Collegio di aderire alla giurisprudenza sinora pronunciatasi sul vincolo di destinazione, secondo la quale l’art. 2645-ter c.c. è norma “sugli effetti” e non “sugli atti” (in questi termini si sono espressi Trib. Trieste, decr. 7/4/2006, Trib. Reggio Emilia, ord. 23/3/2007, Trib. Reggio Emilia, decr. 22/6/2012, Trib. Reggio Emilia, decr. 26/11/2012, e Trib. Santa Maria Capua Vetere, ord. 28/11/2013).


Dalla collocazione della disposizione tra le norme sulla pubblicità (in una parte del codice civile non attinente al diritto sostanziale, i.e. contratti e obbligazioni) si desume che il legislatore del 2006 non ha inteso coniare una nuova tipologia negoziale, da battezzare come “atto di destinazione”.


Manca, infatti, qualsiasi elemento per individuare la struttura di un negozio, la sua natura, la sua causa, i suoi effetti e, correttamente, anche il Giudice di Santa Maria Capua Vetere sottolinea che “la configurazione di tale disposizione quale “norma sulla fattispecie” … non esclude – ma anzi postula – la necessità che di quella fattispecie siano pur sempre delineati i contorni”.


Pare, piuttosto, che la norma consenta – in contrasto con quanto precedentemente affermato in dottrina e anche in giurisprudenza (Cass. 18/10/1991, n. 11025: “Il negozio fiduciario, nella parte contenente il “pactum fiduciae”, non è trascrivibile, in considerazione della sua natura obbligatoria”) – di rendere opponibile erga omnes l’effetto “di destinazione”, in forza del quale insorge a vantaggio del beneficiario un diritto di credito (personale e non in re) a che il bene trasferito e i suoi frutti siano conservati alla destinazione impressa, diritto pienamente opponibile ai terzi che abbiano trascritto il proprio atto di acquisto del cespite ‘‘destinato’’ successivamente alla trascrizione del vincolo di destinazione.


Tuttavia, si ritiene che il predetto effetto debba necessariamente rientrare nel contenuto (eventuale) di un negozio – tipico o atipico – dotato di autonoma causa: in altri termini, “la citata disposizione riguarda esclusivamente gli effetti, complementari rispetto a quelli traslativi ed obbligatori, delle singole figure negoziali a cui accede il vincolo di destinazione e non consente la configurazione di un “negozio destinatorio puro”, cioè di una nuova figura negoziale atipica imperniata sulla causa destinatoria” (così Trib. Reggio Emilia, 22/6/2012).


Ulteriori elementi che confermano la lettura sinora fornita dalla giurisprudenza (norma “sugli effetti” e non “sugli atti”) si rinvengono nell’esplicitata ratio legis e nella previsione della forma solenne:


  • scopo espresso della disposizione è “rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione” (nel testo, pur farraginoso, è espressa la finalizzazione della trascrizione: “al fine di rendere opponibile …”); individuare nell’art. 2645-ter c.c. il supporto normativo del “negozio di destinazione” pare in contrasto, dunque, con la stessa lettera della legge e con la sua ratio;

  • la previsione della particolare forma dell’atto pubblico, poi, è evidentemente destinata a incidere sulla sola trascrizione e in alcun modo potrebbe considerarsi inficiato da nullità il negozio relativo a beni mobili che sia adottato in qualsiasi (diversa) forma; se, invece, si postula l’introduzione del “negozio destinatorio” ex art. 2645-ter c.c., la violazione della forma imposta da tale disposizione dovrebbe comunque condurre a nullità l’intero atto traslativo (e non la sola formalità pubblicitaria), anche se avente ad oggetto mobili.


L’opposto orientamento (sostenuto da una parte della dottrina, prevalentemente notarile) ritiene, al contrario, che la “causa destinatoria meritevole di tutela”– desumibile (in tesi) dall’art. 2645-ter c.c. – possa fondare l’atto costitutivo di un vincolo di destinazione “autonomo”, non necessariamente collegato ad altra fattispecie negoziale (tipica o atipica).


Oltre a quanto sopra esposto in contrasto con siffatta interpretazione, si rileva che la norma così letta sarebbe “eversiva” rispetto alla regola sancita dall’art. 2740 comma 1° c.c., poiché – ammettendo la generalizzata possibilità di costituire autonome masse separate in forza della sola autonomia negoziale (è piuttosto debole l’argine della meritevolezza degli interessi) – sarebbe scardinato il rapporto tra eccezione e regola generale ex art. 2740 c.c. (in proposito, Cass. 28/4/2004, n. 8090: “… né è sufficiente, per configurare un patrimonio separato, il riferimento del patrimonio stesso ad uno scopo, essendo anche necessario che intervenga una disciplina particolare, diversa da quella che regola il residuo patrimonio del soggetto, perché la separazione è uno strumento eccezionale, di cui soltanto la legge può disporre, essendo diretto ad interrompere la normale corrispondenza tra soggettività e unicità del patrimonio, per destinare una parte di questo al soddisfacimento di alcuni creditori, determinando in tal modo la insensibilità dei beni separati alla sorte giuridica degli altri”).


Si concorda, quindi, con l’esegesi restrittiva offerta dall’ordinanza del 28/11/2013 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che ritiene che “l’individuazione delle fattispecie limitative della responsabilità patrimoniale debba aver luogo con sufficiente grado di certezza, atteso che, in difetto o comunque in caso di dubbio, non potrà che trovare applicazione la regola di carattere generale che si pretenderebbe derogata (ovvero, quella della responsabilità)”.


§§§


In ogni caso – anche a voler ipoteticamente ammettere l’esistenza di un “negozio destinatorio puro” – occorrerebbe comunque interrogarsi sulla sussistenza, in concreto, di interessi meritevoli di tutela e sulla loro esplicitazione nell’atto pubblico di costituzione del vincolo: l’esclusiva forma prescelta dal legislatore impone al notaio rogante, tra l’altro, di esplicitare nell’atto stesso l’interesse meritevole di tutela sul quale si impernia la causa; se – come si è affermato – la causa destinationis finalizzata alla soddisfazione di esigenze meritevoli sorregge, da sola, l’imposizione del vincolo, non è plausibile che la stessa debba essere ricercata aliunde, ricostruendo l’interesse del conferente tramite altre fonti.


Nel caso di specie, l’interesse meritevole di tutela consiste(rebbe) nel “facilitare l’accettazione della procedura da parte dei creditori di Viesse S.r.l.”, interesse certamente riferibile alla società proponente, ma non alla conferente S.B. Immobiliare, il cui interesse a fornire l’apporto è laconicamente individuato nel fatto “che la titolarità di detta società coincide con quella della società Viesse S.r.l.”.


Non ritiene il Collegio di condividere l’orientamento espresso dal Tribunale di Vicenza nel decreto del 31/3/2011, secondo cui “La trascrizione del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. eseguita a favore dei creditori di un imprenditore in crisi non è opponibile ai creditori iscritti successivi, in quanto gli interessi meritevoli di tutela ex art. 2645 ter c.c. attengono rigorosamente alla sfera della solidarietà sociale e, diversamente opinando, si consentirebbe ad un atto di autonomia privata di incidere sul regime legale inderogabile della responsabilità patrimoniale. Pertanto, già in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo, va negata la fattibilità del piano che prefiguri l’acquisizione delle necessarie risorse finanziarie sulla base della menzionata opponibilità” (si rinviene analoga argomentazione nel più risalente decreto del Giudice Tavolare di Cortina d’Ampezzo del 22/3/2006, nel quale si legge che l’art. 2645-ter c.c. è preposto alla sola “tutela di interessi riferibili al settore sociale nelle sue varie esplicazioni (ricerca scientifica, cura di persone disabili, tutela e promozione della cultura, dell’ambiente e simili)”).


Infatti, è chiaro nel testo (e in claris non fit interpretatio) che gli interessi meritevoli di tutela che astrattamente giustificano il vincolo di destinazione devono essere “riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”; gli interessi de quibus, dunque, sono ascrivibili ad “altri enti o persone fisiche”, sicché la disposizione non può considerarsi delimitata, nella sua portata applicativa, da quei profili di solidarietà sociale che involge il riferimento “a persone con disabilità” (tale richiamo è peraltro irragionevole e censurabile, perché i disabili sono certamente persone fisiche e non un tertium genus). La generalità dei creditori di un imprenditore in stato di crisi (così erano individuati i beneficiari nel vincolo sottoposto all’attenzione del Tribunale vicentino) è un insieme di persone fisiche, enti, persone giuridiche e il dato letterale non avalla una lettura così restrittiva come quella sopra esposta (in questi termini, anche Trib. Lecce, 26/4/2012: “Il rinvio generico contenuto nell’art. 2645-ter c.c. alla meritevolezza di cui all’articolo 1322, comma 2, c.c., non legittima alcuna ulteriore delimitazione degli interessi che i privati possono perseguire costituendo un vincolo di destinazione.”).


Il fatto che l’interesse meritevole di tutela non debba essere necessariamente ancorato a finalità solidaristiche non esime dalla sua valutazione nel caso concreto: nel caso, l’interesse della S.B. Immobiliare non assume affatto un rilievo “secondario”, dato che la limitazione della responsabilità patrimoniale ha effetti nel suo patrimonio e rispetto ai suoi creditori ed è in relazione alle ragioni di questi che deve valutarsi la preminenza della finalità perseguita col vincolo (alcuni sostenitori della tesi qui avversata trovano giustificata l’apposizione del vincolo di destinazione alla condizione – soggetta ad elevata opinabilità – che l’introdotta limitazione della garanzia ex art. 2740 c.c. persegua obiettivi prevalenti sulle ragioni creditorie del conferente).


Quanto è stato esplicitato nell’atto pubblico (cioè, la coincidenza delle persone fisiche socie dell’una e dell’altra società) è di per sé insignificante, non potendosi ravvisare nella fattispecie in esame (in assenza di indicazioni in tal senso) un “interesse economico di gruppo” realizzato dalla S.B. Immobiliare in via mediata e indiretta (sulla configurazione dell’ “interesse di gruppo” si veda Cass., Sez. Un., 18/3/2010, n. 6538).


Si deve escludere altresì qualsivoglia intento liberale: è inconcepibile l’animus donandi in capo ad una società con scopo di lucro (art. 2247 c.c.); comunque, anche superando tale incompatibilità ontologica, sarebbe stato necessario chiarire se la “donazione” rientra tra i fini della S.B. Immobiliare (secondo l’orientamento della Suprema Corte – Cass. 4/10/2010, n. 20597 – il compimento di atti estranei all’oggetto sociale comporta la nullità, per illiceità, degli atti medesimi, anche se supportati da autorizzazione totalitaria dei soci, da considerarsi a sua volta contra legem).


Concludendo sul punto, la mancata illustrazione, nell’atto, dell’interesse meritevole di tutela della conferente esclude comunque la validità del “negozio destinatorio” realizzato da S.B. Immobiliare.


§§§


Nel caso di specie difetta un atto traslativo dell’immobile “destinato”: il vincolo è, dunque, “autoimpresso” (così Trib. Reggio Emilia, 22/6/2012) e frutto di “auto-destinazione a carattere unilaterale” (così Trib. Santa Maria Capua Vetere, 28/11/2013).


Già in passato questo Tribunale ha espresso dissenso rispetto all’opinione dottrinale (prevalente; ma il fatto che una tesi sia accreditata dai più non significa necessariamente che essa sia anche giusta) che ammette il cosiddetto “vincolo di destinazione autoimposto (o autodichiarato)”, cioè la riconduzione dell’effetto destinatorio ad un atto privo di effetti traslativi (v. Trib. Reggio Emilia, 22/6/2012).


La motivazione è logica conseguenza della professata adesione alla tesi che individua nell’art. 2645-ter c.c. una norma “sugli effetti”, eventualmente accompagnatori di altro negozio: come detto, questo Collegio ritiene che il vincolo debba costituire contenuto accidentale di un diverso atto negoziale e non può che ravvisarsi in un atto bilaterale il negozio principale; poiché l’art. 1987 c.c. non riconduce alcun effetto obbligatorio – e tantomeno reale – alle promesse unilaterali “fuori dei casi ammessi dalla legge”, non sembra percorribile l’ipotizzata strada di collegare l’effetto destinatorio ad un negozio diverso dal contratto (e la norma citata non consente di adoperare agevolmente il disposto dell’art. 1324 c.c. per costruire un atipico “atto unilaterale di destinazione” al quale surrettiziamente “appiccicare” – come “effetto” – il vincolo ex art. 2645-ter c.c.).


Sotto il profilo testuale, poi, le parole “conferente” e “beni conferiti” contenute nell’art. 2645-ter c.c. presuppongono un’alterità soggettiva (e, quindi, un trasferimento) dal conferente ad un altro individuo, fattispecie incompatibile con un atto unilaterale (al di fuori dell’ipotesi, diversa, del trust); infatti, il verbo confero deriva da cum-ferre e le espressioni sopra riportate richiedono, dunque, un atto traslativo (ferre) compiuto tra soggetti distinti. Del resto, quando la legge si riferisce ai “conferimenti” del diritto societario (artt. 2253, 2343 ss., 2440 c.c.) o al conferimento per la costituzione di fondi di garanzia (art. 2548 c.c.), al conferimento negli ammassi (art. 837 c.c.) o al verbo “conferire” impiegato dalle norme (artt. 737, 739, 740, 751 c.c.) in tema di collazione (termine che deriva, a sua volta, proprio dal verbo conferre) è sempre con riguardo a trasferimenti di beni tra soggetti diversi. Anche in giurisprudenza si rinviene il termine “conferimento”, impiegato per indicare l’inserimento in comunione convenzionale tra coniugi di uno o più beni che, in assenza di convenzione, sarebbero da considerare personali ex art. 179 c.c.


Un autore ha sostenuto “che l’art. 2645 ter c.c. parla di «conferente» volendo in realtà far riferimento al disponente, vale a dire alla persona che ha costituito il vincolo. Da tale nomen non sembrerebbe quindi possibile trarre alcun elemento utile a delineare gli essentialia della fattispecie.”. A tale argomentazione ha esaustivamente replicato Trib. Santa Maria Capua Vetere, 28/11/2013: “Né può svilirsi il dato testuale della disposizione di legge e degradarsi il richiamo al soggetto “conferente” a mero lapsus del legislatore (il quale avrebbe in realtà inteso riferirsi più correttamente al “disponente”). Se è vero infatti che la tecnica di redazione legislativa degli atti risulta di frequente non del tutto adeguata, è altrettanto vero che una tale impostazione finisce in realtà per presupporre proprio quel risultato (la possibilità dell’autodestinazione unilaterale) che sarebbe invece da verificarsi alla luce del dato di legge”.


Non ha maggior pregio il richiamo dottrinale al pactum de non alienando ex art. 1379 c.c., che può essere concordato tra il proprietario e il terzo indipendentemente dalla cessione del diritto dominicale: il testo della norma riguardante tale accordo fa riferimento all’ “apprezzabile interesse di una delle parti” e non a un “conferente” e a “beni conferiti”; inoltre, non si vede l’attinenza tra il divieto ex art. 1379 c.c. – di natura obbligatoria, inopponibile ai terzi e non trascrivibile – e gli effetti reali e pubblicitari della trascrizione ex art. 2645-ter c.c.


Da ultimo, l’art. 2645-ter c.c. attribuisce al conferente il potere di agire per l’adempimento dello scopo; non potendosi ipotizzare che il conferente convenga in giudizio se stesso, si deve giocoforza concludere che la norma dà per scontato l’intervento di un soggetto diverso, a cui il diritto sul bene vincolato è (e deve essere) trasferito (Trib. Reggio Emilia, 22/6/2012; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 28/11/2013).


§§§


Anche la trascrizione dell’atto del 24/4/2013 desta perplessità: un vincolo autoimposto (ad esempio, il fondo patrimoniale) viene trascritto, di regola, “contro” e “a favore” del medesimo disponente; nel caso, invece, la trascrizione è a favore di Viesse S.r.l.


Manca un atto traslativo a favore di quest’ultima, ma – soprattutto – la medesima società non è qualificata come beneficiaria nell’atto notarile (“I beneficiari del presente vincolo di destinazione sono i creditori della società Viesse S.r.l.”); peraltro, l’odierna ricorrente non ha partecipato all’atto notarile.


Perciò, l’eseguita formalità non trova alcuna giustificazione; anzi, poiché la nota di trascrizione non è conforme al titolo, può seriamente dubitarsi della sua efficacia.


§§§


Le considerazioni sopra svolte – dalle quali si evincono plurimi elementi per reputare invalido o comunque inefficace il vincolo di destinazione sull’immobile di S.B. Immobiliare – inficiano l’apporto del terzo, essenziale per la riuscita del piano concordatario.


Difatti, l’insussistenza del vincolo impedirebbe di ottenere la sua esecuzione (della quale si dirà anche nel prosieguo) e, nel contempo, non troverebbero ostacoli all’aggressione (con azioni cautelari e/o esecutive) i creditori della S.B. Immobiliare (l’art. 168 L.F. protegge soltanto Viesse S.r.l.).


Il patrimonio di S.B. Immobiliare è costituito, oltre che dall’edificio di via Coppi 12 a Reggio Emilia, da altri immobili in proprietà (gravati da ipoteche a favore di banche i cui crediti sono ingenti e non ancora soddisfatti) o utilizzati in leasing (tuttora in corso, con conseguenti debiti maturati e maturandi). Non è affatto certo che le rilevanti passività di S.B. Immobiliare (riportate alle pagine 3, 4, 5 e 6 del parere ex art. 180 L.F.) possano essere coperte con il residuo patrimonio della società (soprattutto perché non vi è certezza che i cespiti immobiliari possano, nell’attuale situazione di mercato, trovare collocazione e ad un prezzo congruo). Ne consegue che anche l’unico cespite disponibile (quello “messo a disposizione” della procedura concordataria) potrebbe essere distolto dalla destinazione imposta ex art. 2645-ter c.c., o perché invalida/inefficace, o perché agevolmente revocabile ex art. 2901 c.c. (trattandosi comunque di atto a titolo gratuito).


§§§


Scendendo nei particolari dell’atto di destinazione, poi, non è comprensibile (né altrimenti chiarito) come concretamente dovrebbe funzionare il vincolo impresso (la “messa a disposizione”).


Nel testo si afferma che esso “è funzionale alla vendita dell’immobile in oggetto secondo il programma di cui alla proposta di concordato”, ma:


  • mentre nel ricorso introduttivo si faceva riferimento a “forme di realizzo, come il rilascio di una procura al liquidatore, ecc., tali da garantire che il prezzo del bene vada effettivamente e integralmente a beneficio della massa dei creditori”, la memoria integrativa ex art. 162 comma 1° L.F. sembra aver sostituito il precedente (generico) richiamo con l’atto di costituzione del vincolo del 24/4/2014 (non risultano agli atti procura e/o mandato);

  • quest’ultimo destina “la piena proprietà dell’immobile infra descritto alla liquidazione [forse, deve leggersi “soddisfazione”] dei crediti vantati dai creditori” ma non fa espresso riferimento al prezzo derivante dalla vendita; solo con un’interpretazione “ortopedica” (forse addirittura contrastante con l’art. 1371 c.c. e il criterio di intendere le obbligazioni nel senso meno gravoso per l’onerato) sarebbe possibile destinare anche il controvalore della proprietà al pagamento dei creditori; in senso contrario, si osserva che la previsione di cessazione del vincolo (che “cesserà in caso di vendita dei beni infra descritti”) determinerebbe il venir meno della destinazione rispetto al frutto dell’alienazione (il prezzo conseguito) e non è espressamente stabilita alcuna obbligazione di riversare l’importo riscosso nelle casse della procedura;

  • le modalità previste per il realizzo del menzionato immobile sono – stando all’atto notarile – quelle delineate nel “programma di cui alla proposta di concordato”: in realtà, il piano prevede soltanto la nomina di un liquidatore e non specifica alcunché riguardo alla liquidazione;

  • sembra che l’intenzione sia quella di una vendita da parte del liquidatore (“… in caso di vendita dei beni infra descritti da parte degli organi della procedura”) ma, in assenza di un mandato irrevocabile a vendere e di una procura ad hoc, ben difficilmente quest’ultimo potrebbe ritenersi legittimato a procedere all’alienazione (di fronte all’eventuale inerzia della S.B. Immobiliare S.p.A. potrebbe, al più, valersi dell’art. 2645-ter c.c. agendo “per la realizzazione di tali interessi”, con le incertezze sopra descritte riguardo al modo in cui l’atto è stato confezionato e all’individuazione dei creditori come beneficiari); non è praticabile la pur prospettata vendita da parte della “conferente”, debitamente autorizzata dal Tribunale (“in caso di vendita da parte della stessa costituente autorizzata dal Tribunale ai sensi dell’art. 167 della richiamata legge fallimentare”), posto che l’art. 167 L.F. sanziona con l’inefficacia gli atti dispositivi compiuti dal debitore ammesso alla procedura senza l’autorizzazione del Giudice Delegato, ma la predetta norma non estende i suoi effetti al patrimonio e agli atti del terzo (una richiesta di autorizzazione a vendere bene di soggetti terzi diversi dal debitore dovrebbe essere reputata inammissibile);


§§§


Per quanto sopra riportato, si deve esprimere giudizio negativo sulla “fattibilità giuridica” del concordato preventivo proposto da Viesse S.r.l., poiché non si ritengono legittime ed efficaci le modalità con cui è stato messo a disposizione della procedura l’essenziale apporto del terzo S.B. Immobiliare S.p.A.


p.q.m.


visto l’art. 180 L.F., così provvede:


respinge l’istanza di omologazione del concordato preventivo presentato da VIESSE S.R.L. in liquidazione.


Così deciso in Reggio Emilia il 18/12/2013 nella camera di consiglio della Sezione Fallimentare.


Il Presidente

Dr.ssa Rosaria Savastano


Il Giudice Estensore

Dr. Giovanni Fanticini18

 

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