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Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha circoscritto l’ambito di applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma 3, L.F. in relazione al reato di bancarotta documentale affermando che “l’occultamento delle scritture contabili, rendendo impossibile la ricostruzione dei fatti di gestione dell’impresa fallita, impedisce la stessa dimostrazione del danno, onde la mancanza delle scritture non può essere utilizzata per presumere circostanze favorevoli all’imputato, salvo che le contenute dimensioni dell’impresa non rendano plausibile la determinazione di un danno particolarmente ridotto“.

Questa in sintesi la vicenda processuale.

La Corte d’appello di Torino confermava la condanna per il reato di bancarotta documentale semplice ex art. 217, comma 2, L.F. emessa dal Giudice di Torino all’esito del giudizio abbreviato nei confronti dell’amministratore unico di una società, imputato per la condotta di omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili della società nei tre anni precedenti al fallimento.

L’imputato ricorreva per Cassazione adducendo quale motivo di ricorso, tra gli altri, la violazione di legge nonché la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma 3, L.F. Con riferimento ai reati fallimentari di cui agli artt. 216, 217 e 218 L.F., il terzo comma dell’art. 219 L.F. dispone, invero, che, nel caso in cui i fatti di bancarotta abbiano cagionato “un danno patrimoniale di speciale tenuità, le pene sono ridotte fino al terzo“. Ebbene, secondo l’assunto difensivo nel caso in esame avrebbe dovuto trovare applicazione la circostanza attenuante in parola, in ragione del fatto che l’onere di provare la sussistenza di detto danno gravasse sulla Pubblica Accusa.

La Corte ha, tuttavia, rigettato il suddetto motivo ricordando che l’inversione dell’onere della prova interviene unicamente in relazione alla prova della sussistenza del fatto di reato e non anche rispetto alla eventuale sussistenza di una circostanza attenuante.

Gli Ermellini hanno, infatti, affermato come – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – sia onere della parte dimostrare l’eventuale presenza di elementi su cui fondare l’applicazione di un’attenuante. In aggiunta, secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, la circostanza di cui all’art. 219, comma 3, L.F. può essere valutata esclusivamente in relazione all’effettivo danno causato ai creditori sociali dalla condotta integrante una tra le fattispecie di bancarotta di cui agli artt. 216, 217 o 218 L.F.; danno che, ai fini dell’applicazione della circostanza, deve, per l’appunto, risultare di speciale tenuità.

Cionondimeno, con riferimento al reato di bancarotta documentale, oggetto di contestazione nella vicenda in scrutinio, la Corte ha osservato come la stessa condotta di omessa tenuta delle scritture contabili renda di per sé impossibile, oltre che la ricostruzione della situazione patrimoniale e del movimento degli affari della società, la dimostrazione nonché la quantificazione del danno patrimoniale cagionato alla massa creditoria dalle condotte integranti il reato.

Alla luce dei principi sopra enunciati si evince, pertanto, come, non potendo prescindere il giudizio sulla particolare tenuità del danno dall’accertamento in concreto del medesimo danno, non possa trovare applicazione la circostanza attenuante prevista dal terzo comma dell’art. 219 L.F. in mancanza di indicatori che evidenzino l’insussistenza o l’esiguità di tale danno.

*a cura dell’Avv. Fabrizio Ventimiglia e della Dott.ssa Giorgia Conconi (dello Studio Legale Ventimiglia)

 

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