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Inizia sabato prossimo la nuova stagione calcistica e, dopo le controverse vicende di Calciopoli, una speciale attenzione dei tifosi sarà certamente dedicata al comportamento dei giudici di gara. Sempre difficile il mestiere dell’arbitro, altrettanto difficili sono i contributi per la sua pensione. Eppure la previdenza ha manifestato in più occasioni uno speciale interesse verso gli sportivi e verso le società di calcio. Nelle leggi previdenziali non si rinviene un pur minimo riferimento agli arbitri di calcio, ancor meno per le altre discipline sportive. Inesistenti anche eventuali vertenze degli interessati, salvo in due occasioni (Tribunale di Roma nel 2003 e Tribunale di Torino nel 2005) entrambe però di scarso rilievo.
Il problema nasce dal fatto che gli arbitri non sono professionisti, mentre non è netta la natura del rapporto che lega i direttori di gara alla Federcalcio. Più semplice invece il rapporto associativo con l’Aia, l’organismo autonomo di categoria, che provvede al reclutamento ed alla loro formazione.
Pur operando per lo sport, l’arbitro non è preso in considerazione dalla legge sul lavoro sportivo, n. 91/1981, che annovera, agli effetti previdenziali, solo “gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico sportivi ed i preparatori atletici”. Una dimenticanza, quasi voluta, mentre la preparazione atletica e tecnica che si pretende dagli arbitri non è da meno di quella dei giocatori.
L’Inps si è interessato dello sport in occasione del riordino del Coni (decreto 242/1999). Al Comitato olimpico il decreto ha riconfermato la natura di ente pubblico, le varie Federazioni sportive nazionali sono state inquadrate invece come associazioni di diritto privato, senza fini di lucro. Secondo l’Inps, ai dipendenti delle singole Federazioni sono dovuti i contributi per la pensione (vecchiaia, invalidità, superstiti) da versare all’Enpals, l’ente previdenziale per lo spettacolo.
Tuttavia, tra le varie posizioni previdenziali (lavoratore dipendente, lavoratore autonomo, collaboratore), l’attività dell’arbitro, per le sue caratteristiche, sconfina in tutte e tre le categorie.
Ad esempio, l’autonomia delle sue decisioni, sempre insindacabili, richiama il lavoro autonomo. Le indicazioni tecniche e di uniformità sollecitate da Aia e Federcalcio ed i compensi ricevuti a prestazione non escludono la collaborazione coordinata e continuativa. Tuttavia, la completa subordinazione al calendario deciso dalla Federazione (data, luogo, orario delle gare da arbitrare) fanno propendere per il requisito fondamentale del lavoro dipendente, anche se il potere disciplinare è demandato all’Aia.
Pur operando di fatto come dipendenti, la Federcalcio non rispetta l’inquadramento degli arbitri di serie A e B dovuto nell’Enpals ed oggi li assicura all’Inps pagando i contributi come collaboratori. Ma gli interessati si sono costituiti, a proprio carico, un piccolo fondo di categoria, molto utile a fine carriera.

 

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