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Benvenuto Morandi, l’ex sindaco bancario di Valbondione, lascia il tribunale senza voler commentare. «Ah, non vi avevo riconosciuto», dice ai giornalisti. Sono passati quasi dieci anni dall’arresto (ai domiciliari) del 2014 per la saga dei soldi spariti dai conti dei clienti della private banking della filiale di Intesa Sanpaolo, di Fiorano al Serio, che dirigeva. Una storia chiusa, quella, ma che si intreccia con questa. Ora Morandi — con la moglie Aurora Semperboni e Claudio Conti, ai tempi suo vice — è imputato di bancarotta fraudolenta per il crac della Mountain Security srl, fallita nel 2016.

È la società che controllava la Stl, la Sviluppo turistico Lizzola partecipata dal Comune, fallita anch’essa. Secondo il pm Paolo Mandurino gli imputati fecero uscire 4 milioni e 200 mila euro dalla Mountain in favore della Stl. Morandi è ritenuto amministratore di fatto, mentre la moglie e Conti si sono susseguiti come amministratori unici. Difeso dall’avvocato Angelo Capelli, ieri Morandi si è sottoposto all’interrogatorio davanti al gup Lucia Graziosi. Anche la moglie con l’avvocato Marialaura Andreucci, mentre Conti è difeso dall’avvocato Alessandro Zonca.

A margine, l’ex sindaco non parla ma la sintesi delle sue parole davanti al giudice è: «Gamba sapeva tutto». E qui sta l’intreccio con il primo filone dei soldi spariti dai conti della filiale. Per quello, Morandi è stato condannato in via definitiva a 3 anni e 2 mesi, potrà scontarli con la messa alla prova. È stato invece assolto dall’accusa di furto di due milioni e mezzo dal conto dell’allora amico Gianfranco Gamba, che rispetto al crac della Mountain avrebbe voluto costituirsi parte civile ma non è stato ammesso dal gup.
È un intreccio nell’intreccio che riassume l’avvocato Capelli, sintetizzando la linea difensiva tracciata nel solco del primo verdetto: «Partiamo dai fatti accertati con la sentenza in cui Morandi è stato assolto, rispetto ai rapporti con Gamba». Sono inclusi anche i conti della moglie e della figlia di Gamba cointestati con lui, mentre nella condanna è rimasta la parte dei conti delle sole due donne. «Questo processo — riassume ancora Capelli — riguarda l’ipotesi di bancarotta della società Mountain Security, di cui Gamba era proprietario delle quote al 100% e che per altro era la socia controllante della Stl con il 58% delle quote». Stringi stringi, il ragionamento è: come poteva il proprietario non sapere del passaggio di denaro? Denaro che — sempre nell’ottica difensiva — non fu distratto ma versato da parte del socio. Per altro, ai fini della prescrizione oltre che della gravità del reato, un conto è la bancarotta semplice e un conto è la bancarotta fraudolenta (15 anni). Ora bisognerà vedere le «armi» che affilerà il pm.

È evidente che la difesa di Morandi giocherà la carta dell’assoluzione. Gamba disse che l’amico fu il manovratore alle sue spalle e disconobbe le deleghe ad agire nel Cda e nell’assemblea della Mountain (cosa smentita dalla sentenza). In «una vicenda segnata da forti ambiguità» i giudici d’Appello sentirono anche Gamba. Ma conclusero, tra l’altro: «In simile quadro, attraversato da ricordi, talora inafferrabili, sorretti da una traballante logica interna e collidenti con plurime emergenze probatorie aliunde acquisite, va qui confermato il giudizio di non credibilità delle dichiarazioni rese sul punto da Gamba Gianfranco, dovendosi ritenere che egli, pur non avendo alcun ruolo attivo nel governo delle due società, fosse consapevole della sua qualità di socio». Resta da chiedersi a che punto sia il filone del fallimento della Stl, che ha preso una strada propria.

 

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