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La questione dell’usura nel contratto di mutuo o finanziamento (ma non solo) fa parte di quelle tematiche che di tanto in tanto spuntano nel panorama giuridico a causa di mutamenti degli indirizzi giurisprudenziali e delle norme, in un rincorrersi rocambolesco di colpi di scena.


Salvare il grande malato (il sistema bancario) permettendogli di fare ancora danni alle aziende ed alle famiglie, oppure applicare la legge n. 108 del 1996?


Le norme, in verità, sono sempre state chiare; tuttavia la Giurisprudenza, anche a causa di un’infausta influenza della Banca d’Italia ha subito, nel tempo, non pochi mutamenti.


La questione ultimamente sollevata dalla S.C., nella sentenza 325/13 e dalla sentenza gemella n. 602/13, trova fondamento nell’ovvio presupposto che il tasso di mora venga computato ai fini del calcolo del tasso effettivo globale medio annuo: l’usura, in quanto tale, trova sviluppo nel momento del bisogno e, dunque, è ovvio che l’interesse di mora vada computato ai fini dell’applicazione della legge sull’usura.


Questa ovvietà è stata in verità obiettata da numerosissime sentenze che hanno negato al tasso di mora, alle CMS, ecc., di poter rientrare nel calcolo del tasso usurario: questo per una sorta di sudditanza psicologica dall’ente che per eccellenza ha caratterizzato la massima espressione della competenza nella politica bancaria, senza tener conto che detta entità non può sostanzialmente essere indipendente a causa della sua composizione societaria.


Infatti, la Banca d’Italia è la Spa delle banche e nel ruolo dell’usura ha giocato un ruolo marcatamente filobancario: ci sono voluti 15 anni perché la S.C. se ne accorgesse.


La logica dei filobancari per escludere la rilevanza dell’interesse moratorio ai fini dell’usura era quella di considerare il tasso di mora come un interesse punitivo, legato all’inadempimento e, dunque, derivante dalla rottura dell’equilibrio sinallagmatico addebitabile ad un evento patologico legato alla sfera volontaria, o quantomeno consapevole, del cliente che non pagava la rata.


Le sentenze della Cassazione n. 325 e 602 del 2013, in verità, non rappresentano alcuna novità, ma consolidano la corrente di pensiero maturatasi nell’ultimo decennio.


Il tenore letterale della norma dell’art. 644, comma 4, c.p. induce chiaramente a ritenere compresi nel tasso gli interessi corrispettivi, quelli compensativi ed anche quelli risarcitori.


Ma, come si è detto, l’interpretazione proposta non è stata subito pacifica dopo l’entrata in vigore della legge: basti pensare che la Banca d’Italia ha creato tutti i presupposti per innalzare, in favore delle banche, il tetto del tasso di soglia, escludendo (contra legem) numerose voci di costo.


Ha isolato le CMS dal Teg, per poi (messa alle strette nel processo di Palmi) sostenere che, accanto all’usura sul tasso, ne esiste una differente sulle CMS.


Ha negato che il tasso moratorio rientrasse nel TEG.


Con questo andamento ondeggiante ha creato l’alibi al ceto bancario che si è visto assolto in tutti i processi perché si è operato senza alcun dolo.


Dubbi interpretativi sono, ovviamente, sorti a seguito dell’emanazione delle prime istruzioni, del 30 settembre 1996, che la Banca d’Italia ha indirizzato agli operatori economici del settore per la rilevazione dei tassi trimestrali (la prima rilevazione è del marzo 97, con prima applicazione dal 1° aprile 1997).


La Banca d’Italia ha indicato, sempre in palese violazione del testo di cui all’art. 2 della legge 108 del 7 marzo 1996, agli intermediari finanziari di escludere gli interessi di mora nel calcolo dei tassi praticati, da comunicare ai fini delle rilevazioni del TEGM.


L’equivocità e confusione è risultata accresciuta dalla circostanza che il decreto del MEF, relativo alla pubblicazione dei tassi d’usura, sposa (come ha sempre fatto in tutti gli anni) le decisioni contra legem della Banca d’Italia e riporta all’art. 3, comma 2: “Le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia.”. [….]


A partire dal marzo 2003 una disposizione contenuta nell’art. 3, comma 4, dei decreti del MEF ha riproposto dubbi interpretativi e incertezze sull’assoggettabilità degli interessi risarcitori al limite della legge.


Si tratta della norma che menziona un’indagine campionaria effettuata dalla Banca d’Italia nel III trimestre 2001, secondo la quale la maggiorazione stabilita nei contratti per i casi di ritardato pagamento sarebbe uguale — nella media — a 2,1 punti percentuali.


Tale rilevazione – che illustra le condizioni di accesso e gestione del credito nella concreta realtà economica – non può autorizzare un’interpretazione in contrasto con la lettera della legge sui cardini della condotta illecita.


Su questa esclusione si è fondata un’interpretazione restrittiva della norma penale che escludeva gli interessi moratori dall’ambito di applicazione della norma penale.


La sentenza della Cass. n°5286/00[1] e quella della C. Cost. n° 29/2002[2] (gli interessi dei consumatori furono difesi da Adusbef) si sono pronunciate stabilendo che il tasso soglia comprende anche gli interessi moratori.


Tale interpretazione trova conforto normativo (dirimente e positivo):


  • nel tenore letterale della Legge 108/96 (secondo cui l’art. 644 fissa il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari) e dell’art. 644 c.p. (secondo cui nella determinazione del tasso in concreto applicato si tiene conto di commissioni, spese e remunerazione a qualunque titolo escluse imposte e tasse);

  • nel contenuto dell’art. 1 del D.L.394/00 “interpretazione autentica della L.108/96 contenente disposizioni in materia di usura” convertito in L. 24/2001 che riconduce alla nozione di interessi usurari quelli convenuti “a qualsiasi titolo“. Tale espressione deve intendersi comprensiva anche degli interessi moratori, come si desume dalla relazione governativa che accompagna il decreto che fa esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio.


Trova altresì conforto giurisprudenziale:


  • nelle citate sentenze della Cass. n°5286/00 e della C. Cost. 29 del 25 febbraio 2002;

  • nella sentenza della Suprema Corte n° 12028 del 2010 (Gallo) in cui si afferma che la legge — art. 644 c.p. e L. 108/96 — è l’unica fonte legittimata all’individuazione e descrizione degli elementi costitutivi del reato e che la fonte normativa secondaria integra il precetto per la sola quantificazione – in senso strettamente economico – dell’entità della soglia;

  • nella sentenza n. 325 del 9 gennaio 2013 (Relat. Cons. Didone) testualmente i giudici di legittimità affermano che: “Quanto al profilo sub b) (usurarietà dei tassi) va rilevato che parte ricorrente deduce che l’interesse pattuito (inizialmente fisso e poi variabile) era del 10.5%, in contrasto con quanto è previsto dal D.M. 27/3/1998 che indica il tasso praticabile per il mutuo nella misura dell’8.29%. Tale tasso dovrebbe ritenersi usurario a norma dell’art. 1 comma 4 della L. 108/96 tanto più ove si consideri che fu richiesto per l’acquisto di un bene primario quale la casa di abitazione e che dovrebbe tenersi conto della prevista maggiorazione di 3 punti in caso di mora. La censura sub b), nella parte in cui ripete l’assunto – già correttamente disatteso dalla Corte di merito – secondo cui la natura usuraria discenderebbe dalla finalità del mutuo, contratto per l’acquisto della propria casa, è infondata in quanto, ai sensi del nuovo testo dell’art. 644, comma 3, c.p. sono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge ovvero “gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”. E, a tale scopo, non è sufficiente dedurre che il mutuo è stato stipulato per l’acquisto di un’abitazione. La stessa censura (sub b), invece, è fondata in relazione al tasso usurario perché dalla trascrizione dell’atto di appello risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte Cost. 25 febbraio 2002 n. 29: “il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”; Cass., n. 5324/2003).


Ciò posto, le fonti secondarie non possono prevalere sull’interpretazione letterale della norma della legge (limite oltre il quale gli interessi sono SEMPRE usurari) ribadita dalla legge interpretativa del 2000 (DL 394/00 conv. L. 24/2001).


La norma penale rinvia ai decreti MEF perché intende ancorare il tasso soglia ad un indicatore fisiologico del mercato del credito che riproduca il più fedelmente possibile le condizioni reali di accesso al credito.


Infine, sulla valenza delle fonti secondarie e, segnatamente, sul valore delle Circolari della Banca d’Italia, vale la pena di riportare le parole delle S.C. 46669/2011 ed il ruolo effettivamente svolto dalla Banca d’Italia nell’affare usura: “Quindi, come peraltro rilevato sia dal Tribunale[3]e dalla Corte territoriale[4], anche la CMS deve essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, essendo rilevanti ai fini della determinazione del tasso usurario, tutti gli oneri che l’utente sopporta in relazione all’utilizzo del credito, indipendentemente dalle istruzioni o direttive della Banca d’Italia (circolare della Banca d’Italia 30.9.1996 e successive) in cui si prevedeva che la CMS non dovesse essere valutata ai fini della determinazione del tasso effettivo globale degli interessi, traducendosi in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Le circolari e le istruzioni della Banca d’Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d’Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell’elemento oggettivo. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell’ambiente del commercio che non presenta in se particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito.”


Pertanto, essendo l’usura un reato istantaneo (cfr. Consulta n. 29/2002), va detto che il reato si perfeziona al momento della sottoscrizione del contratto di mutuo; pertanto, con riferimento a questo momento storico, va valutato se il tasso corrispettivo o quello di mora sia superiore o meno al tasso di soglia rilevato dai bollettini trimestrali del Ministero del Tesoro a quella data.


D’altro canto, gli interessi, che al momento della stipula del contratto che li contempla non sono usurari, non possono in alcuno modo divenirlo in un momento successivo.


Ciò si evince chiaramente anche dal disposto dell’art. 1815, 2° comma, cod. civ., che commina la nullità, originaria, della clausola con cui sono convenuti interessi usurari.


L’indagine deve, quindi, essere condotta verificando la legittimità degli interessi che erano stati stipulati nel contratto.


Il reato di usura, dunque, sussisterà nel momento in cui le parti sottoscriveranno un contratto usurario: la legge, sia penale che civile, punisce il semplice fatto (giuridico) della conclusione (stipula) del contratto con cui si chiedono interessi usurari, cioè dei corrispettivi per il finanziamento concesso superiori al tasso di soglia.


Questi interessi, ai quali vanno sommate le commissioni, le remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese connesse (escluse solo imposte e tasse), ma anche gli interessi di mora (che ,pur essendo in un certo senso risarcitori o sanzionatori, non perdono la funzione remuneratoria dell’interesse che va ad arricchire – in maniera sproporzionata – la banca), sono (o possono essere) usurari quando complessivamente sono (o possono essere) superiori al limite di legge (tasso soglia) oppure inferiori, ma sproporzionati rispetto alla controprestazione e considerati i tassi medi.


Va posto il problema della figura del Notaio, sotto il profilo del concorso e/o del favoreggiamento, nel processo di formazione ed in quello della consumazione del reato (sottoscrizione ed autentica delle firme) relativamente ai mutui usurari, relativamente alla fattispecie in cui lo stesso abbia formulato l’atto, sottoposto al suo vaglio professionale, tenuto anche conto che nella prassi il Notaio viene indicato dalla Banca e non scelto dal cliente.


Per completezza sul punto si segnala che con d.m. 27 maggio 2013 il Ministero della Giustizia ha approvato le delibere del Consiglio nazionale del notariato n. 5 – 98 dell’11 gennaio 2013 e 2 – 110 del 9 maggio 2013, relative al Fondo di garanzia per il ristoro dei danni derivanti da reato commesso dal notaio nell’esercizio della sua professione. ll patrimonio del Fondo è destinato al ristoro dei danni derivanti da reato commesso dal notaio nell’esercizio della sua attività professionale, non coperti da polizze assicurative ed accertati ai sensi dell’articolo 22, commi 3 e 4 della legge 16 febbraio 1913, n. 89.


Al di là del profilo penalistico, civilmente ci troviamo di fronte ad una sanzione prevista della legge ex art. 1815, comma 2, c.c., secondo cui “Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” (Il presente comma è stato così sostituito dall’ art. 4 L. 07.03.1996, n. 108 in vigore dal 24.03.1996 che sostituisce il testo previgente secondo il quale “Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale”, pertanto improponibile sarà la riduzione del tasso nei limiti di quello di soglia, propugnato da taluna Giurisprudenza).


Il cliente eccependo il mutuo usurario chiederà la dichiarazione di nullità parziale del negozio, ex art. 1419, comma 2, cc. che statuisce come: “ La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative (1339, 1354, 1500 e seguente, 1679, 1815, 1932, 2066, 2077, 2115).”


Va sottolineato come il contratto di apercredito, a differenza di quello di mutuo, è sottoposto allo ius variandi della banca (cfr. art. 118 TUb), cioè al diritto di modificare unilateralmente e durante lo svolgersi del rapporto le competenze economiche spettanti alla banca, l’unica a “tenere il conto” in detto rapporto contrattuale.


Quindi la modifica delle competenze non viene con una pattuizione originaria, ma avviene nel corso del rapporto: ecco perché un rapporto originariamente legale, può diventare in itinere usurario a causa dell’autonomo incremento delle competenze bancarie decise unilateralmente dalla banca: pertanto ad ogni comunicazione unilaterale della banca potrà verificarsi lo sforamento del tasso di soglia.


Quasi coeva alla sentenza della S.C. del 9 gennaio 2013 n. 325 è quella dell’11 gennaio 2013 n. 602, redatta dal Consigliere Dogliotti, il quale analizza l’ipotesi dei c.d. mutui usurari stipulati prima della legge 108 del 1996: “giurisprudenza ormai consolidata (da ultimo Cass. N. 25182 del 2010) precisa che, con riferimento a fattispecie anteriore (come – pacificamente – nel caso che ci occupa) alla L. 108 del 1996 (disciplina “anti – usura”), in mancanza di una previsione di retroattività, la pattuizione di interessi ultralegali non è viziata da nullità, essendo consentito alle parti di determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purché ciò avvenga in forma scritta: l’illiceità si ravvisa soltanto ove sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p.: vantaggio usurario, stato di bisogno del soggetto passivo, approfittamento di tale stato da parte dell’autore del reato. Valide dunque le predette clausole contrattuali, è esclusa l’automatica sostituzione del tasso originariamente determinato con quello legale. Al contrario, trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell’entrata in vigore della L. n. 108 (con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va richiamato la L. n. 108 del 1996, art. 1 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti ministeriali), al di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori, ulteriormente maturati, vanno considerati usurari (al riguardo, Cass. n. 5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi dell’art. 1419 c.c., comma 2 e art. 1319 c.c., circa l’inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia.”


La stessa sentenza, conferma che il tasso di mora rientra nel calcolo del tasso utile per la verifica del superamento del tasso di soglia usurario: “il CTU, sulla base della documentazione prodotta, con ragionamento immune da errori e vizi logici ha accertato che la Banca ha applicato interessi moratori superiori a quanto pattuito nonché al tasso soglia di cui alla L. n. 108 del 1996, e ha effettuato i relativi conteggi, che vengono ampiamente richiamati”.


Infine, la sentenza contiene la conferma dell’illegittimità dei piani di ammortamento contenenti la previsione di restituzione degli interessi sul capitale maggiorati da capitalizzazione composta: “Quanto al primo motivo del ricorso principale, va precisato che la Corte di Appello esclude, nella specie, l’esistenza di anatocismo: non vi sarebbero illegittime forme di capitalizzazione degli interessi, trattandosi di contratto di finanziamento, nel quale la restituzione di singole rate di mutuo costituirebbe l’adempimento di un’unica obbligazione, determinata fin dall’inizio sia nel capitale che negli interessi, secondo il piano di ammortamento contrattualmente stabilito. L’argomentazione non ha pregio: a nulla rileva l’eventuale “ammortamento” comprendente capitale ed interessi. In qualsiasi contratto di mutuo o finanziamento, è sempre possibile distinguere capitale ed interessi corrispettivi. Il divieto di produzione di interessi su interessi è fissato dall’art. 1283 c.c., ai sensi del quale è ammesso soltanto dal giorno della domanda giudiziale o per l’effetto di convenzione posteriore alla scadenza degli interessi stessi (sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi) salvo usi contrari (ma dovrà trattarsi di usi normativi, e non negoziali o interpretativi). Il motivo è dunque fondato e va accolto”.


Il tema specifico, relativamente nuovo per la S.C., era già stato affrontato in egual senso dalla Giurisprudenza di merito: Tribunale Bari, sez. Rutigliano, sentenza n. 113 del 29 ottobre 2008 (edita in www.studiotanza.it) e Tribunale di Larino, Sez. Termoli, Sentenza n. 119 del 17 aprile 2012.


(Altalex, 14 giugno 2013. Articolo di Antonio Tanza)


________________


[1]“ L’art. 1 della legge 7 marzo 1396, n. 108 (“Disposizioni in materia di usura”, pubbl. su G.U. n. 58 del 9 marzo 1996, suppl. ord.), nel sostituire l’art. 644 c. p., ha previsto che “la legge stabilisca il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” (3° comma); l’art. 2, 4° comma, ha individuato la soglia usuraria nel “tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella gazzetta ufficiale ai sensi del comma 1, relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà”; l’art. 4, infine, ha sostituito il secondo comma dell’articolo 1815 c.c., nel senso che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. Va subito detto che, proprio con riferimento a tale ultima disposizione, la non copiosa, giurisprudenza di merito e la dottrina si sono occupate essenzialmente del problema delle conseguenze sui contratti di mutuo già stipulati alla data di entrata in vigore della nuova normativa in altri termini, con esclusivo riguardo alla natura compensativa degli interessi pattuiti. Tuttavia, non v’è ragione per escluderne l’applicabilità anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori, risultati di gran lunga accedenti lo stesso tasso soglia: va rilevato, infatti, che la legge n. 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell’art. 1, 3° comma, ha valore assoluto in tal senso) e che nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dell’art. 1224, 1° comma, c.c., nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, “gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura”. Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge. Ciò premesso, va anche precisato che una pattuizione di interessi intervenuta prima della entrata in vigore della legge n. 108/96 non può, stante il principio di cui all’art. 25, 2° comrna, Costituzione, essere ritenuto penalmente rilevante sol perché detti interessi risultino superiori alla soglia fissata: ove il ricorrente (pur nella non chiara prospettazione del motivo sul punto) abbia inteso lamentarsi per la mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, della natura criminosa della pretesa della banca, per questo aspetto la censura non potrebbe trovare accoglimento”.Cass. n°5286/00.


[2]“[….] Il difetto di una specifica motivazione in ordine alla applicabilità anche agli interessi moratori dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ. risulta ininfluente nella specie, in quanto il credito azionato, essendo costituito da rate di mutuo, è comunque comprensivo anche di interessi corrispettivi, pur essi eccedenti il tasso soglia, rispetto ai quali la rilevanza della questione è assolutamente pacifica. Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi «a qualunque titolo convenuti» rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori. La dichiarata adesione, da parte del rimettente, all’indirizzo interpretativo seguito dalla Corte di Cassazione è infine sufficiente a giustificare l’opzione ermeneutica – da cui il rimettente muove – secondo la quale, in mancanza della norma impugnata, le clausole di interessi eccedenti il tasso soglia sarebbero colpite dalla sanzione di nullità di cui al citato art. 1815, secondo comma, cod. civ., pur se originariamente lecite in quanto contenute in contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996. […] occorre muovere dalla constatazione che la ratto della legge n. 108 del 1996, quale risulta con chiarezza dai lavori preparatori, è quella di contrastare nella maniera più incisiva il fenomeno usurario. Siffatta finalità è stata essenzialmente perseguita, per ciò che interessa il presente giudizio, da un lato rendendo più agevole l’accertamento del reato, attraverso l’individuazione di un tasso obiettivamente usurario e la trasformazione dell’approfittamento dello stato di bisogno, di difficile prova, da elemento costitutivo del reato a circostanza aggravante, dall’altro inasprendo le sanzioni penali e civili connesse alla condotta illecita (artt. 1 e 4 della legge). Assodato, dunque, che la legge di cui si tratta risulta dettata dall’esclusivo e dichiarato intento di reprimere una specifica fattispecie di illecito, non può non rilevarsi come fosse sorto – in giurisprudenza ed in dottrina – il dubbio (risolto con esiti interpretativi diversi) circa gli effetti, ai fini penali e civili, da riconnettere all’ipotesi in cui, nel corso del rapporto, il tasso soglia discenda al di sotto del tasso di interessi convenzionale originariamente pattuito. La norma denunciata trova giustificazione, sotto il profilo della ragionevolezza, nell’esistenza di tale o­biettivo dubbio ermeneutico sul significato delle espressioni “si fa dare […] interessi […] usurari” e “fa­cendo dare […] un compenso usurario” di cui all’art. 644 cod.pen., in rapporto al tenore dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ. (“se sono convenuti interessi usurari”) ed agli effetti correlativi sul rapporto di mutuo”.C. Cost. n°2/09, rel. Annibale Marini, Scialpi Stefano (avv.ti Inzitari e Tanza) c/ BNL + altri (avv. Baldassarre).


[3] Tribunale di Palmi, Sentenza n. 1732 del 27 novembre 2007.


[4]Corte d’Appello di Palmi, Sentenza n. 10971 del 2 luglio 2010.

 

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