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Tutto il Sud Italia sarà un’unica Zes, o Zona economica speciale. L’ok all’Italia è arrivato ieri dalla Commissione europea, e il governo Meloni ne ha parlato come di un grande successo. Ecco cos’è una Zes, come funziona, a cosa serve e come cambieranno ora le cose nel Mezzogiorno.

La Commissione europea ha dato l’ok per creare una Zes, o Zona economica speciale, unica per tutto il Sud Italia. La notizia è arrivata ieri, quando il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha incontrato a Bruxelles la commissaria per la Concorrenza, Margrethe Vestager, per presentarle la proposta. La commissaria ha “accolto positivamente la proposta”, ha fatto sapere il ministero. Così saranno superate “le attuali 8 Zone economiche speciali già previste e istituite per rafforzare il sistema e sostenere la crescita e la competitività del Mezzogiorno”.

Messaggi di esultanza sono arrivati da diversi esponenti del governo. A partire da Giorgia Meloni, che ha scritto che “lo sviluppo dell’economia del Mezzogiorno è una priorità” per l’esecutivo, ma che questo va raggiunto “abbandonando la logica assistenziale”, con un evidente riferimento al reddito di cittadinanza, e invece “dando opportunità di lavoro e crescita e rendendo queste aree del Paese competitive e attrattive per investimenti ed imprese”. Ma in pratica, cos’è e come funziona una Zes?

Cos’è una Zes e a cosa serve

Una Zona economica speciale è, a grandi linee, un’area di uno Stato in cui ci sono procedure semplificate e regimi fiscali più vantaggiosi per le aziende. Ci sono tempi ridotti per le pratiche amministrative e per le autorizzazioni tecniche, oltre agevolazioni e crediti d’imposta, per le imprese del territorio (purché restino in zona per almeno sette anni dopo aver ricevuto gli aiuti).

Il sistema delle Zes esiste da decenni – la prima nacque in Irlanda nel 1959 – e non solo in Europa. Nella sua forma attuale, però, l’Unione europea ha previsto la possibilità di creare delle Zes dal 2013, e l’Italia si è adeguata con il decreto legge 91 del 2017, poi con un successivo regolamento nel 2018 e infine nel 2021 per tenere conto del Pnrr.

Nel primo dl, quello del 2017, è scritto che per Zes “si intende una zona geograficamente delimitata e chiaramente identificata” in cui “le aziende già operative e quelle che si insedieranno possono beneficiare di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementale degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa”. Uno dei criteri è anche che nella zona in questione ci sia almeno un’area portuale.

Una Zes deve anche avere un Comitato di indirizzo, che può essere presieduto da un commissario straordinario. Sarà compito del governo Meloni, quindi, indicare la persona che amministrerà l’interò sistema Zes del Sud Italia nei prossimi anni.

Come funzionavano finora le Zes in Italia

In Italia esiste già una Zes, anzi, più di una: tra il 2018 e il 2020 ne sono nate ben otto, concentrate nel Sud Italia. Si tratta di Abruzzo, Calabria, Campania, Ionica interragionale (Puglia-Basilicata), Adriatica interregionale (Puglia-Molise), Sicilia orientale, Sicilia occidentale e Sardegna. Fino a oggi, queste zone hanno proceduto in maniera autonoma, ciascuna con una sua organizzazione.

Ci sono già interventi come la riduzione dell’imposta sul reddito d’impresa (fino al 50%) e vari contratti di sviluppo (agevolazioni per gli investimenti) che valgono circa 250 milioni di euro in tutto. Ma nei primi anni di operatività, le otto Zes del Sud non hanno dato risultati entusiasmanti. Ci sono stati dei passi avanti, in termini di imprese e investimenti sul territorio, ma meno di quanto si fosse sperato.

Cosa cambia con una Zes unica per tutto il Sud

Ora che la Commissione europea ha dato l’ok, invece, nascerà un’unica Zes che comprenderà l’Abruzzo, la Campania, la Puglia, la Basilicata, il Molise, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna. Rispetto alla situazione attuale gli strumenti avranno “un orizzonte temporale più esteso” (una Zes può durare da sette a quattordici anni) e l’unificazione dovrebbe anche rendere più semplici gli aspetti burocratici.

In questo modo, ha annunciato il ministero per gli Affari europei, “le misure di semplificazione e accelerazione delle procedure approvative e autorizzative e di sostegno alle imprese” saranno estese a tutto il Mezzogiorno. Tra queste anche “l’autorizzazione unica per l’avvio delle attività produttive e la riduzione di un terzo dei termini di conclusione dei procedimenti”.

Tra le possibilità future, poi, c’è anche quella che il piano Decontribuzione Sud (l’agevolazione  fiscale europea nei confronti delle imprese del Sud Italia, che toglie il 30% dei contributi ai datori di lavoro privati) venga non solo esteso fino a fine 2023, come è già, ma diventi strutturale. Questo, però, è un altro tavolo di trattativa.



 

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