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Scrutinando le pronunce depositate dalla Suprema Corte nel periodo intercorrente tra il 30 ottobre e il 6 novembre, si segnalano in particolare i seguenti arresti.

PROCEDURA CIVILE – I PRINCIPI IN SINTESI

ARBITRATOCassazione n. 24247

La decisione della Suprema corte ha cura di precisare che, in presenza di idonea clausola compromissoria, deve essere devoluta ad arbitrato societario la controversia relativa alla liquidazione del valore della partecipazione sociale spettante al socio che abbia esercitato il diritto di recesso.

IMPUGNAZIONI – Cassazione n. 24415

Nella pronuncia si afferma che, ai fini della valutazione della tardività dell’impugnazione per decorso del termine breve, la regola della prova rigorosa “per tabulas” può essere integrata dalla stessa ammissione del destinatario della notifica con esplicita dichiarazione o comunque per “facta concludentia”.

IMPUGNAZIONI – Cassazione n. 24417

La Suprema Corte ribadisce che l’attività di interpretazione della decisione esula dai limiti del procedimento di correzione, dovendosi ritenere rimessa la relativa questione al giudice dell’esecuzione.

IMPUGNAZIONI – Cassazione n. 24469

Esaminando una controversia insorta a seguito dell’opposizione proposta avverso una cartella di pagamento, la pronuncia riafferma che nel giudizio di cassazione deve essere cassata senza rinvio la sentenza emessa dal giudice di appello avverso la sentenza di prime cure rispetto alla quale l’impugnazione non poteva essere proposta.

SPESE PROCESSUALI – Cassazione n. 24481

L’ordinanza, valorizzando l’intrinseca diversità propria delle spese stragiudiziali rispetto alle spese processuali vere e proprie, censura, in quanto ingiustificata, la detrazione operata dai giudici di appello, dall’importo liquidato per spese di lite relative al primo grado di giudizio, delle somme già in precedenza ricevute dal danneggiato da parte di una compagnia di assicurazione a titolo di rimborso dei costi sostenuti per la difesa e l’assistenza stragiudiziale.

SPESE PROCESSUALI – Cassazione n. 24634

Nella decisione il giudice di legittimità ribadisce che, in sede di liquidazione delle spese processuali, l’eventualità che la parte vittoriosa, per la propria qualità personale, possa portare in detrazione l’I.V.A. dovuta al proprio difensore non incide sulla statuizione di condanna della parte soccombente, trattandosi di una questione rilevante solo in sede di esecuzione.

LITISCONSORZIO NECESSARIO – Cassazione n. 24639

Nella decisione la Suprema corte riafferma la nullità della sentenza, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado e quindi anche in sede di legittimità, ove, deceduta una parte nel corso del giudizio di primo grado, il giudice di appello abbia omesso l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi diversi dall’appellante.

OPPOSIZIONE DI TERZI – Cassazione n. 24945

La decisione della Corte di legittimità ha il pregio di procedere ad una efficace esegesi dello stringente regime della prova per testi previsto dal codice di rito nella disciplina dell’opposizione di terzi.

***

PROCEDURA CIVILE – IL MASSIMARIO

Arbitrato societario – Controversie compromettibili – Ambito applicativo – Domanda di liquidazione della quota spettante al socio receduto. (Cpc, articoli 806 e 808; Dlgs n. 5/2005, articolo 34)

Rientra nella competenza arbitrale la controversia avente ad oggetto la domanda di liquidazione della quota spettante al socio receduto ove lo statuto della società cooperativa contenga una clausola che, testualmente, devolva in arbitrato rituale «… secondo le disposizioni del d.lgs. n. 5/2003…», tra le altre, «a) tutte le controversie insorgenti tra soci o tra soci e Società che abbiano ad oggetto diritti disponibili, anche quando sia oggetto di controversia la qualità di socio…». (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione IV civile, ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3523; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 11 giugno 2019, n. 15697; Cassazione, sezione civile I, ordinanza 8 febbraio 2019, n. 3795; Cassazione, sezione civile I, ordinanza 30 aprile 2018, n. 10399).
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 2 novembre 2020, n. 24247 – Presidente Scaldaferri; Relatore Terrusi

 

Impugnazioni – Appello – Termine breve – Notifica pronuncia – Prova relativa – Comportamento concludente del destinatario. (Cpc, articoli 149, 170, 285, 325, 326 e 327; Cc, articolo 2697)

In tema di appello, il giudice, tenuto a verificare anche d’ufficio l’ammissibilità dell’impugnazione, deve considerare che la relata di notifica e l’eventuale avviso di ricevimento (in caso di notifica a mezzo posta) sono le uniche prove documentali dalle quali si può trarre la prova che la sentenza assoggettata ad impugnazione sia stata realmente notificata: elemento, questo, che determina l’applicabilità del solo termine breve per l’impugnazione (articolo 325 del codice di procedura civile). Con la conseguenza che la mancata produzione di tale documento impone di valutare la tempestività dell’impugnazione facendo applicazione del termine lungo (articolo 327 del codice di procedura civile). Tuttavia, una deroga alla regola della prova rigorosa “per tabulas” opera in caso di ammissione della stessa parte impugnante dell’avvenuta notifica nei modi e nei termini utili a determinare l’inammissibilità del gravame. Infatti, ove sia lo stesso destinatario della notifica della sentenza ad ammettere, con una esplicita dichiarazione o comunque per “facta concludentia”, che la notificazione è avvenuta nella data indicata dalla controparte, la prova documentale può essere sostituita da simile comportamento (Nel caso di specie, rigettando il ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la pronuncia gravata con la quale la corte del merito, nel dichiarare l’inammissibilità dell’appello, aveva osservato che nessuna contestazione era stata mossa alla notifica della sentenza di primo grado circa la data, avendo, al contrario, gli odierni ricorrenti solo sostenuto l’inidoneità di quella notifica in quanto avvenuta con consegna di una sola copia al difensore in luogo di tante copie quante erano le parti). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 7 dicembre 2016, n. 25062; Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 14 giugno 2016, n. 12177; Cassazione, sezione I civile, sentenza 28 marzo 1990, n. 2543).

Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 3 novembre 2020, n. 24415 -Presidente Amendola; Relatore Cirillo

Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Interpretazione dispositivo della pronuncia – Procedimento di correzione degli errori materiali – Esclusione. (Cpc, articolo 391-bis)

L’attività di specificazione o di interpretazione di una sentenza di Cassazione non può essere oggetto né del procedimento di correzione di errore materiale, né di quello per revocazione, a norma dell’articolo 391-bis del codice di procedura civile, con conseguente inammissibilità del relativo ricorso (Nel caso di specie, la Suprema Corte, in applicazione dell’enunciato principio, ha dichiarato inammissibile ricorso con cui parte ricorrente, dolendosi che nel dispositivo dell’ordinanza della Corte era stata condannata alla rifusione della metà delle spese processuali liquidate “per ciascuna parte controricorrente”, aveva chiesto che la correzione fosse disposta al fine di specificare che per parte controricorrente dovesse intendersi ogni parte processuale, in quanto assistita dal medesimo difensore). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 6 marzo 2017, n. 5595; Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 30 luglio 2014, n. 17418; Cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 23 dicembre 2009, n. 27218)
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 3 novembre 2020, n. 24417 -Presidente Amendola; Relatore Cirillo

Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Sentenza di primo grado – Improponibilità dell’atto di appello – Cassazione senza rinvio. (Cost. articolo 111: Cpc, articoli 382, 617 e 618)

Nel giudizio di cassazione, deve essere cassata senza rinvio la sentenza emessa dal giudice di appello avverso la sentenza di prime cure rispetto alla quale l’impugnazione non poteva essere proposta. L’inammissibilità – che nel caso di specie va declinata come improponibilità dell’appello – non rilevata dal giudice del gravame, è rilevabile “ex officio” anche in sede di legittimità, in quanto si risolve nella omessa impugnazione della sentenza di prime cure, sulla quale, pertanto, si è formato il giudicato. La Corte di cassazione può, infatti, rilevare d’ufficio una causa di inammissibilità/improponibilità dell’appello che il giudice di merito non abbia riscontrato, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado, non potendosi riconoscere al gravame inammissibilmente spiegato alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione e venendo, nella specie, in questione un fatto processuale impeditivo dell’esercizio della “potestas judicandi”, essendo fatto divieto al giudice del merito (“ne bis in idem”) di pronunciare nuovamente, con effetti modificativi di situazioni giuridiche ormai consolidate dalla definitività ed irrevocabilità dell’accertamento giudiziale (Nel caso di specie, non avendo il giudice di secondo grado rilevato l’inappellabilità della sentenza emessa dal giudice di prime cure su opposizione agli atti esecutivi, rispetto alla quale è esperibile solo il rimedio del ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost., la Suprema Corte, rilevato il vizio “ex officio”, ha cassato senza rinvio la sentenza di appello impugnata in quanto il gravame non poteva essere proposto ai sensi dell’art. 618, comma 3, del codice di rito. (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione II civile, ordinanza 19 ottobre 2018, n. 26525; Cassazione, sezione I civile, sentenza 7 luglio 2017, n. 16863; Cassazione, sezione III civile, sentenza 27 novembre 2014, n. 25209; Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 30 ottobre 2008, n. 26019).
Cassazione, sezione III civile, ordinanza 4 novembre 2020, n. 24469 – Presidente Armano; Relatore Olivieri

Spese giudiziali – Spese di assistenza stragiudiziale – Natura di danno emergente – Liquidazione – Presupposti. (Cpc, articoli 91 e 92; Cc, articoli 1223 e 2043)

Il rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale ha natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l’attività svolta da un legale in tale fase pre-contenziosa e l’utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di porlo a carico del danneggiante, deve essere valutata ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’esito futuro del giudizio. Ne consegue che, se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, essa resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova secondo l’ordinaria scansione processuale, al pari delle altre voci di danno emergente, comportando che la corrispondente spesa sostenuta non è configurabile a tale titolo e non può, pertanto, essere riversata sul danneggiante quando sia, ad esempio, superflua ai fini di una più pronta definizione del contenzioso, non avendo avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità (Nel caso di specie, la Suprema Corte, accogliendo il motivo di ricorso, ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata ritenendo ingiustificata la compensazione operata dalla corte d’appello tra quanto già ricevuto dalla parte danneggiata per rimborso delle spese legali relative alla fase stragiudiziale e quanto invece liquidato dal tribunale per spese giudiziali relative alle successive prestazioni di patrocinio in giudizio). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 10 luglio 2017, n. 16990; Cassazione, sezione III civile, sentenza 13 aprile 2017, n. 9548).
Cassazione, sezione III civile, ordinanza 4 novembre 2020, n. 24481 – Presidente Armano; Relatore Iannello

 Spese giudiziali – Condanna alle spese – Liquidazione – Parte soccombente – Rimborso al vincitore della somma dovuta al difensore a titolo di imposta sul valore aggiunto.  (Cpc, articolo 91; d.P.R. n. 633/1972, articoli 18 e 19)
Tra le spese processuali che la parte soccombente deve essere condannata a rimborsare al vincitore rientra anche la somma dovuta da quest’ultimo al proprio difensore a titolo di I.V.A., costituendo tale imposta una voce accessoria, di natura fiscale, del corrispettivo dovuto per prestazioni professionali relative alla difesa in giudizio. L’eventualità che la parte vittoriosa, per la propria qualità personale, possa portare in detrazione l’I.V.A. dovuta al proprio difensore non incide su detta condanna della parte soccombente, trattandosi di una questione rilevante solo in sede di esecuzione, poiché la condanna al pagamento dell’I.V.A. in aggiunta ad una data somma dovuta dal soccombente per rimborso di diritti e di onorari deve intendersi in ogni caso sottoposta alla condizione della effettiva doverosità di tale prestazione aggiuntiva (ovvero “se dovuta”) (Nel caso di specie, il giudice di legittimità, in applicazione dell’enunciato principio, ha ritenuto infondato il motivo di ricorso dedotto da una amministrazione comunale la quale aveva censurato la sentenza di condanna al pagamento anche dell’I.V.A. versata in via di rivalsa al difensore della controparte vittoriosa, in quanto quest’ultima, quale società commerciale, avrebbe potuto portare in detrazione il tributo corrisposto). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione II civile, sentenza 23 febbraio 2017, n. 4674; Cassazione, sezione III civile, sentenza 19 febbraio 2014, n. 3968; Cassazione, sezione II civile, sentenza 23 gennaio 2007, n. 1406).
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 5 novembre 2020, n. 24634 -Presidente Amendola; Relatore Positano

Impugnazioni – Appello – Morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado – Litisconsorzio processuale necessario fra gli eredi. (Cpc, articoli 102, 110, 331)
Poiché la morte di una parte nel corso del giudizio di primo grado determina la trasmissione della sua legittimazione processuale attiva e passiva agli eredi, questi vengono a trovarsi nella posizione di litisconsorti necessari per ragioni processuali (indipendentemente, cioè, dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale), sicché in fase di appello deve essere ordinata d’ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti di ciascuno di essi; in mancanza, il procedimento di appello e la sentenza che lo definisce sono affetti da nullità assoluta rilevabile di ufficio in ogni stato e grado e quindi anche in sede di legittimità ove la non integrità del contraddittorio emerga “ex se” dagli atti senza necessità di nuovi accertamenti (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte, dichiaratane la nullità per violazione dell’art. 331 cod. proc. civ., ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale la corte del merito aveva rigettato l’impugnazione sul presupposto che l’appellante, erede unitamente ad altre due sorelle della parte deceduta dopo il primo grado di giudizio, non avesse provato la titolarità dell’intero rapporto debitorio dedotto in giudizio). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione I civile, sentenza 17 settembre 2008, n. 23765; Cassazione, sezione II civile, sentenza 28 ottobre 2004, n. 20874).

C assazione, sezione VI civile, ordinanza 5 novembre 2020, n. 24639 – Presidente Amendola; Relatore Positano

 

Esecuzione – Opposizioni – Opposizione di terzi – Limiti alla prova testimoniale. (Cpc, articolo 621)

 Nell’opposizione di terzi, giusta il disposto dell’art. 621 cod. proc. civ., il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore, tranne che “…l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore…”. Nell’utilizzare tale ultima espressione, non si richiede necessariamente che terzo e debitore debbano svolgere due diverse attività, essendo sufficiente che intercorra tra gli stessi un rapporto qualificato riconducibile alla professione o al commercio da entrambi esercitato (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio il decreto impugnato con il quale il giudice del merito aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo proposta dalle ricorrenti per l’accertamento in capo alle stesse dei diritti di proprietà su determinare opere d’arte – proprietà loro derivata mortis causa dal padre, amministratore unico della società sottoposta a procedura concorsuale – il quale aveva deciso di arredare la sede disponendo nei vari locali le opere medesime; la prova testimoniale. nella fattispecie concreta, si giustificava, a giudizio della Corte, in virtù del rapporto lavorativo intercorrente tra il dante causa delle ricorrenti ed il debitore (la società), rapporto che rendeva verosimile in astratto – salvo verificare in concreto a seguito dello svolgimento dell’istruttoria – che l’amministratore predetto, per suo diletto personale, avesse inteso collocare le opere di sua proprietà all’interno dei locali ove prestava la sua attività). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione III civile, sentenza 16 giugno 2003, n. 9627).
Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 6 novembre 2020, n. 24945 – Presidente Acierno; Relatore Fidanzia
 

 

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