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L’avviso ai creditori

Le modalità e i contenuti dell’avviso che il curatore deve “senza indugio” inviare ai creditori e agli altri interessati sono disciplinati dall’art. 200 CCII, che costituisce la trasposizione nel Codice dell’art. 92 l.f., con alcune modifiche.

I destinatari della comunicazione restano “coloro che […] risultano creditori o titolari di diritti reali o personali su beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del debitore compresi nella liquidazione giudiziale”, ma l’inciso “esaminate le scritture dell’imprenditore ed altre fonti di informazione” viene sostituito dall’inciso “sulla base della documentazione in suo possesso o delle informazioni raccolte”.

Questa nuova formulazione è connessa all’ampliamento delle fonti informative alle quali il curatore ha accesso già al momento dell’accettazione dell’incarico, disponendo egli sin da subito dei “dati e i documenti relativi al debitore individuati all’articolo 367” (dati e documenti che la cancelleria acquisisce, ai sensi dell’art. 42 CCII, già durante il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale), ed essendo egli autorizzato dal Tribunale, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, ad accedere alle banche dati e ad acquisire i documenti elencati dalla lett. f) del comma 3 dell’art. 49 CCII.
Le fonti informative possono essere ulteriormente ampliate nelle ipotesi contemplata dall’art. 130, comma 2, CCII, ossia “se il debitore o gli amministratori non ottemperano agli obblighi di deposito di cui all’articolo 49, comma 3, lettera c), e se il debitore non ottempera agli obblighi di cui all’articolo 198, comma 2” o “quando le scritture contabili sono incomplete o comunque risultano inattendibili”, potendo in tali ipotesi il curatore chiedere al giudice delegato di essere autorizzato “con riguardo alle operazioni compiute dal debitore nei cinque anni anteriori alla presentazione della domanda cui sia seguita l’apertura della liquidazione giudiziale […] ad accedere a banche dati, ulteriori rispetto a quelle di cui all’articolo 49 e specificamente indicate nell’istanza di autorizzazione”.

È importante evidenziare che l’omissione dolosa o colposa dell’avviso previsto dalla norma in esame può esporre il curatore a responsabilità nei confronti degli aventi diritto a tale avviso, laddove questi ultimi provino di aver subito un danno in conseguenza della predetta omissione (v. Cass., sez. I, 7 dicembre 2007, n. 25624), ragion per cui va raccomandata ai curatori la massima diligenza nell’inviare senza indugio la comunicazione prevista dall’art. 200 CCII a tutti gli interessati individuabili in base alle suindicate fonti informative.

Anche in merito alle modalità della comunicazione, da un lato non è più presente il riferimento (contenuto nel comma 1 dell’art. 92 l.f.) alla possibilità di inviare l’avviso a mezzo telefax – in alternativa al mezzo della lettera raccomandata – nel caso in cui il destinatario non sia munito di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal Registro delle imprese dall’INIPEC, e, dall’altro, si prevede che tale raccomandata può essere indirizzata anche al domicilio del destinatario, in alternativa alla residenza.

Inoltre, in merito al contenuto dell’avviso, si è aggiunto che lo stesso deve recare anche:

  • la precisazione che la domanda può essere presentata anche senza l’assistenza di un difensore;
  • l’indicazione anche dell’ora e del luogo – oltre che della data – dell’udienza di verifica;
  • l’avvertimento che i creditori possono chiedere l’assegnazione delle somme non riscosse dagli aventi diritto e i relativi interessi ai sensi del comma 4 dell’art. 232 CCII.

La domanda di ammissione al passivo

Il comma 1 dell’art. 201 CCII stabilisce che nel procedimento di verifica confluiscono – mediante ricorso da trasmettere almeno 30 giorni prima dell’udienza, a norma del comma seguente, all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato dal curatore nell’avviso di cui all’articolo precedente – non solo le domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, ma anche “le domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui”.

Il legislatore del Codice ha così inteso risolvere (in attuazione dell’espressa direttiva contenuta nella Legge delega n. 155/2017 all’art. 7, comma 8, lett. f), secondo cui avrebbero dovuto essere adottate misure volte a “chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca”) una problematica che, con riferimento alla disciplina dettata dalla Legge fallimentare, ha generato un vivace dibattito in dottrina e in giurisprudenza: quella relativa all’onere (o meno) della presentazione della domanda di ammissione al passivo da parte di coloro che vantano un’ipoteca su un bene del fallito ma non sono creditori di quest’ultimo, situazione che viene a determinarsi quando il fallito sia terzo datore di ipoteca.

Nel comma 3 dell’art. 201 CCII vi è poi un’altra novità che riguarda il contenuto necessario della domanda di ammissione al passivo, che deve ora includere, per espressa previsione della lett. a) del comma in questione, anche l’indicazione del codice fiscale del ricorrente, nonché “le coordinate bancarie dell’istante o la dichiarazione di voler essere pagato con modalità, diversa dall’accredito in conto corrente bancario, stabilita dal giudice delegato ai sensi dell’articolo 230, comma 1”.

Inoltre, in base al comma 4 del medesimo articolo (a norma del quale “il ricorso è inammissibile se è omesso o assolutamente incerto uno dei requisiti di cui alle lettere a), b), o c) del comma 3”), la mancata ottemperanza del creditore al suddetto onere di indicazione comporta l’inammissibilità della sua domanda, fermo restando che si tratta di un’omissione che ben può essere sanata nel corso del procedimento di verifica, anche sulla scorta dei rilievi che il curatore può e deve effettuare al riguardo nel progetto di stato passivo.

Un’ultima innovazione risiede nella disposizione del comma 10 dell’art. 201 CCII in base alla quale (in deroga alla regola generale dettata dall’art. 9, comma 1, CCII secondo cui “la sospensione feriale dei termini di cui all’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 non si applica ai procedimenti disciplinati dal presente codice, salvo che esso non disponga diversamente”) “il procedimento introdotto dalla domanda di cui al comma 1 è soggetto alla sospensione feriale dei termini di cui all’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742”, disposizione ripresa poi dal comma 16 dell’art. 207 CCII anche per le impugnazioni.

Le domande tardive

Con l’art. 208, comma 1, CCII viene abbreviato in modo consistente il termine per la presentazione delle domande tardive: non più 12 mesi (prorogabili fino a 18 dal Tribunale, in caso di particolare complessità della procedura, con la sentenza dichiarativa di fallimento) dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, come previsto dall’art. 101 l.f., ma 6 mesi (prorogabili, con le medesime modalità, fino a 12) dal medesimo deposito.

Riferimenti normativi:

 

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