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Cass. Civ., Sez. III, 6 marzo 2018, n. 5152

di Antonio Zurlo 

 


L’Istituto di credito non è responsabile, nei confronti del proprio correntista, per il ritardo o la mancata tempestiva esecuzione di una disposizione di bonifico, laddove nel patrimonio di quest’ultimo non si sia verificato alcun danno.

Lo ha recentemente stabilito la Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione[1].

Le circostanze fattuali

Un correntista aveva convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, l’Istituto di credito presso cui era titolare di un rapporto di conto corrente, per far accertare l’inadempimento contrattuale di quest’ultimo, con consequenziale richiesta di risarcimento danni patrimoniali e non patrimoniali. Nello specifico, l’attore aveva esposto di aver chiesto alla Banca convenuta di trasferire il saldo presente sul suo conto corrente su quello intestato alla moglie, intrattenuto presso un Istituto di credito tedesco e che, onde realizzare siffatta operazione, si era tempestivamente attivato per l’adempimento di tutte le procedure necessarie al trasferimento, anche recandosi personalmente presso la Filiale per disporre il bonifico finalizzato al trasferimento delle somme. L’Istituto di credito non aveva dato corso all’operazione, stante l’esecuzione di un pignoramento presso terzi, eseguito sul conto corrente dell’attore e posto a conoscenza dello stesso attore alcuni mesi prima. Tutto ciò premesso, il correntista aveva rappresentato il grave pregiudizio subito in conseguenza dell’omissione posta in essere dalla convenuta[2].  

Il Tribunale di Milano, accertato l’inadempimento della Banca, rigettava, al contempo, la domanda, rilevando come l’attore non avesse subito alcun danno ingiusto, dal momento che la finalità del risarcimento, così come rappresentata dallo stesso, sarebbe consistita nell’indennizzo dell’impossibilità di disporre delle proprie somme di denaro, causata, pur tuttavia, da un vincolo apposto a seguito di pignoramento: la disposizione di bonifico rappresentava, quindi, un’iniziativa indubbiamente finalizzata a depauperare le garanzie patrimoniali dei propri creditori.  

La Corte territoriale dichiarava l’appello inammissibile, ai sensi di quanto disposto dall’art. 348bis c.p.c.

Il correntista proponeva ricorso per Cassazione, formulando un unico motivo[3]; affermava, segnatamente, che il Tribunale, confondendo la responsabilità contrattuale, ex art. 1218 c.c., con quella extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., avesse errato nel accertare l’inadempimento e non condannare la Banca convenuta al risarcimento dei danni, dal momento che, peraltro, quest’ultima non aveva, comunque, addotto alcuna prova liberatoria relativamente alla propria responsabilità.

Le ragioni della decisione.

La censura così come formulata non è stata giudicata meritevole di accoglimento da parte della Terza Sezione, poiché infondata.

Nello specifico, il Collegio rileva come, sebbene, dalle risultanze processuali del procedimento di primo grado, risultasse che la procedura esecutiva (poi confluita nel pignoramento) fosse stata avviata in un momento successivo a quello dell’iniziale richiesta di trasferimento dei fondi, non possa tacersi la circostanza per cui lo stesso ricorrente fosse, comunque, già pienamente consapevole della sua personale e pregressa esposizione debitoria: il debito nei confronti del creditore agente in via esecutiva, con il pignoramento presso la Banca, era, difatti, già maturato prima della disposizione del bonifico. Tale circostanza è stata, ragionevolmente, interpreta dal giudice di prime cure come ragione fondamentale del trasferimento all’estero delle somme di denaro presenti sul conto corrente e , quindi, come presunzione della scientia damni in capo al correntista.  

Al momento della disposizione del bonifico, peraltro, non vi era un credito da tutelare, proprio perché nel patrimonio del ricorrente rientravano già i debiti maturati in epoca antecedente (alla disposizione del bonifico) e posti a oggetto della procedura esecutiva[4]. Non si è, consequenzialmente, verificato alcun danno al patrimonio del correntista, in conseguenza della mancata esecuzione tempestiva della disposizione del bonifico da parte della Banca resistente, poiché i debiti precedenti al bonifico, di fatto, già gravavano, negativamente, sul patrimonio del ricorrente.

[1] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. III, 6 marzo 2018, n. 5152.

[2] Il correntista, ove alleghi il danno subito a causa della mancata (o ritardata) esecuzione del bonifico, ha diritto al risarcimento. Tale diritto non spetta, parimenti, al terzo beneficiario, in considerazione del fatto che verso quest’ultimo non vi sia nessuna assunzione di obblighi da parte dell’Istituto di credito. Sul punto, Cass. Civ., Sez. III, 22 maggio 2015, n. 10545, per cui «proprio in quanto concretante delegatio solvendi, l’esecuzione dell’ordine di bonifico (come osservato anche dalla corte territoriale, la quale non ne ha però poi fatto discendere coerenti conseguenze nel caso pratico) non comporta l’assunzione da parte della banca di un’obbligazione autonoma (rispetto a quella del delegante) nei confronti del creditore delegatario».

[3] Il ricorrente si denunzia violazione dell’art. 1218 c.c. e violazione dell’art. 32 Cost., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.

[4] Gli ermellini evidenziano come tra i rapporti giuridici, che compongono il patrimonio, debbano rientrare tanto quelli attivi (diritti soggettivi, assoluti o relativi, del titolare), quanto quelli passivi (obblighi e, in particolare, debiti).

 

Qui la sentenza: Cass. Civ., Sez. III, 6 marzo 2018, n. 5152

 

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