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Sovraindebitamento, legge n. 3 del 2012: se non c’è l’omologa del giudice sul piano del consumatore si può chiedere il consenso ai creditori.

Crisi da sovraindebitamento: se il giudice nega l’omologa sul “piano del consumatore” (la procedura che consente il taglio dei debiti con il semplice “nulla osta” del tribunale), perché non lo ritiene meritevole o fattibile, l’indebitato può sempre convertire l’istanza nella procedura del cosiddetto “accordo con i creditori” e ottenere così una seconda chance con il consenso – questa volta – del 60% dei creditori. È quanto chiarito dal Tribunale di Cagliari con una recente ordinanza [1]. Procediamo con ordine.

La legge salvasuicidi

La legge sul

sovraindebitamento del consumatore, anche detta “salvasuicidi”, consente a chi abbia contratto debiti, non per propria colpa, cui non è in grado di far fronte sulla base del proprio reddito e patrimonio attuale, di ottenere una decurtazione a patto, però, che nei cinque anni precedenti non abbia già fatto ricorso alla medesima procedura. Tale procedura si applica solo a coloro che non rientrano nei limiti di fallibilità (quindi consumatori, piccoli imprenditori, artigiani, agricoltori).

Il taglio del debito si può ottenere tramite tre diverse procedure:

  • piano del consumatore
  • accordo con i creditori
  • liquidazione dei beni.

I requisiti di ammissione sono comuni ma solo per la proposta di piano del consumatore è prevista anche la verifica della meritevolezza.

Cosa si intende con “piano del consumatore”

Con il piano del consumatore, l’interessato si rivolge al giudice e, dopo aver presentato un apposito programma di rientro nelle morosità, chiede al giudice la decurtazione di una percentuale del debito: percentuale che può arrivare anche al 70-80% nei casi più gravi. La si può presentare anche se il creditore è uno solo (ad es., Equitalia o la banca). Il giudice valuta la fattibilità del piano e, soprattutto, la

meritevolezza del debitore (il quale non deve aver determinato colpevolmente il proprio sovraindebitamento, assumendo oneri con la consapevolezza di non poterli adempiere). Se sussistono tali presupposti il magistrato omologa il piano.

In particolare, il giudice può omologare il piano del consumatore solo se «esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali».

Questa opzione è possibile solo quando i debiti non si riferiscono ad attività commerciale (secondo una recente interpretazione è possibile anche in presenza di debiti commerciali, purché in minima parte).

Cosa si intende per “accordo con i creditori”

A differenza della precedente opzione, l’accordo con i creditori non richiede il nulla osta del giudice – a cui, comunque, l’istanza va sempre presentata – ma il voto favorevole del 60% dei creditori. Qualora vi sia l’intesa, il giudice non può rigettare l’omologa presentata dal consumatore.

L’accordo coi creditori può essere utilizzato anche per debiti derivanti da attività economiche dell’interessato.

Se il piano del consumatore non viene omologato

Il provvedimento in commento chiarisce un aspetto molto importante che consente una doppia chance di uscita dal debito per i cittadini: l’istanza presentata dal sovraindebitato, mediante la procedura relativa al piano del consumatore, può contenere la richiesta al giudice, in caso di rigetto di omologa, di conversione della stessa nella proposta per l’accordo con i creditori.

Così, se il giudice ritiene di respingere il piano del consumatore perché – ad esempio – il debitore ha determinato colpevolmente il proprio stato di dissesto o comunque lo ha aggravato per aver contratto debiti senza la prospettiva di poterli adempiere, se sussiste il consenso del 60% dei creditori l’istanza può essere approvata ai sensi della diversa procedura del piano del consumatore. Insomma, il debitore si salva in “zona cesarini”.

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