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Il concordato preventivo – giudizio di omologazione per Cross class cram down di una proposta di concordato in continuità indiretta, negato, per mancanza del surplus da continuità

Tribunale di Mantova, Ufficio procedure concorsuali, 14 marzo 2024

 

Abstract

Seguendo i passaggi contenuti nella sentenza in commento, sarà possibile ricostruire, dapprima, una breve disamina della disciplina del concordato preventivo, a partire dalla sua natura per poi definire le fasi principali, richiamando il dettato normativo a riguardo. Successivamente, ci si soffermerà maggiormente sullo strumento del cross class cram down ovvero della ristrutturazione trasversale ex art.112, co.2, lett. d) seconda parte. In particolare, dopo aver compreso le condizioni per accedervi, verrà verificato che, secondo l’orientamento del Tribunale per procedere con la ristrutturazione trasversale è necessaria la presenza di un surplus da continuità (eccedenza), nel quale non è possibile considerare l’apporto di finanza esterno, promesso da parte del cessionario dell’azienda. Infine si provvederà a chiarire il significato di classe “svantaggiata” servendosi di alcune sentenze.
 

1. Il caso di specie

Il caso proposto nella sentenza in esame, attiene al tema della ristrutturazione trasversale (o cross class cram down) ex art.112 co.2 lett.d), seconda parte (del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, d’ora in avanti CCII).

Nel caso specifico, si trattava di una società debitrice che, non raggiungendo il numero di voti richiesti ex art.109 co.5 CCII, per poter procedere all’approvazione del concordato preventivo, presentato in forma mista (liquidatorio e in continuità con cessione d’azienda ad un terzo che tuttavia com’è noto viene ritenuto in continuità indiretta), faceva istanza affinché fosse concessa la omologazione, pur in assenza del voto della maggioranza , ai sensi della disposizione di cui alla seconda parte dell’art.112 co.2, lett. d) CCII, mediante il c.d. cross class cram down.

Ciò che rende, ex multis, la pronuncia meritevole di analisi è proprio che il tribunale in sede di giudizio, negava l’omologazione, individuando come motivo, il solo mancato raggiungimento dei voti  ex art.109 co.5. Infatti, alla richiesta di accesso alla ristrutturazione trasversale dei debiti (ex art.112co.2 lett.d) CCII) per istanza del debitore, il tribunale non aveva ritenuto esistenti e soddisfatti tutti i requisiti richiesti per accedervi (ex art.112 co.2 CCII).

In particolare, nella disamina effettuata dal tribunale stesso, emergeva una complessa ricostruzione, che, ammettendo l’omologazione forzosa ex art.112 lett.d), seconda parte CCII, ricalcava perfettamente l’analisi già effettuata in precedenza dal Tribunale di Bergamo sulla presunta corretta interpretazione del dettato normativo europeo. Tuttavia, non mancava allo stesso tempo di prendere le distanze da tale orientamento, in particolare riguardo all’individuazione delle “classi svantaggiate”, restituendo, però, a sua volta, nella spiegazione dei motivi che avevano condotto a negare l’omologazione del concordato, un’illustrazione a tratti, forse, non del tutto coerente. Riteneva il giudicante che il surplus di valore generato dalla continuità fosse un requisito che dovesse sussistere per procedere all’omologazione, tanto che in assenza, secondo il tribunale, non vi sarebbe stata alcuna differenziazione tra i risultati derivanti dalla applicazione delle due regole distributive della Absolute Priority Rule e della Relative Priority Rule. Nel caso specifico, qualificando la somma che doveva erogare il cessionario d’azienda quale mero apporto di finanza esterno, il tribunale non aveva ritenuto verificato il requisito alla lettera d) dell’art.112 co.2 CCII.

 

2. Il concordato preventivo: la disciplina alla luce del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019 n.14)

Tenuto conto della difficoltà e della complessità della disciplina emersa, alla luce del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (breviter, CCII), riguardo al concordato preventivo, è opportuno procedere, dapprima, ad una sintetica ricostruzione dell’istituto. Si tratta di ripercorrere, servendosi della ricostruzione effettuata dal tribunale nella sentenza in esame, l’istituto del concordato preventivo nei suoi elementi più rilevanti, di interesse processuale, per cogliere in maniera corretta i momenti fondamentali, che hanno portato il tribunale a pronunciarsi in tal senso.

Innanzitutto, è opportuno partire da una definizione che permetta di avere contezza di ciò che si intende affrontare. In generale, è possibile ritenere il concordato preventivo una procedura concorsuale di stampo volontaristico, in cui il debitore provvede ad esprimere una proposta ai creditori, tramite la quale intende soddisfare i loro crediti con le forme, i tempi e le modalità da lui indicate nella stessa proposta.

Come si avrà modo di vedere, la proposta dovrà innanzitutto superare un controllo approfondito del tribunale volta a constatare la sua ammissibilità, comprendendo la verifica di conformità al dettato normativo e del contenuto, per poi essere votata dai creditori e infine, in caso di approvazione, venire sottoposta ad un ulteriore controllo, da parte del tribunale, sulla regolarità della procedura, nello specifico, non solo sulla proposta di concordato ma anche sul piano, al fine di ottenere l’omologazione. Allorquando occorra l’omologazione, la proposta sarà considerata obbligatoria e vincolante per tutti i creditori, che verranno soddisfatti in conformità e nei limiti di quanto offerto, sicché tramite l’adempimento di quanto sancito nel concordato, il debitore sarà – speratamente, previa emanazione del provvedimento di esdebitazione – libero da ogni debito pregresso.

Tralasciando in questa sede i dibattiti che hanno riguardato la natura del concordato preventivo, basti ricordare che sia emerso, ex multis, che oggi è possibile considerare tale procedura come “mista”, connotata sia da elementi negoziali (visto l’accordo tra debitore e creditori, formato dall’incontro tra proposta e accettazione tramite votazione da parte dei creditori) sia da elementi giudiziali (vista la presenza di fasi di controllo, sia da parte del tribunale, che da parte degli organi da lui nominati, per verificare il rispetto della legge e l’assenza di pregiudizio per i creditori).

Chiariti, in generale, gli aspetti preliminari, quasi ontologici, della procedura di concordato preventivo, è bene a questo punto concentrarsi, maggiormente, sui connotati processuali che caratterizzano tale strumento di regolazione della crisi (breviter, SRC).  

Ex art.84 CCII, il concordato può essere di due diverse tipologie: in continuità aziendale e liquidatorio.

Nel caso di concordato liquidatorio, il debitore provvede ad adempiere alle proprie obbligazioni concorsuali senza proseguire l’attività di impresa, liquidando, de facto, tutto il patrimonio, andando a soddisfare tutti i creditori con ciò che sarà il risultato utile della liquidazione.

Per quanto riguarda, il concordato in continuità, si distingue, a sua volta, secondo due sottocategorie, come precisato dal co.2 dello stesso art.84 a mente del quale « La continuità aziendale può essere diretta, con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo.».

Nello specifico, nella continuità diretta il debitore, in concreto, continua a gestire l’azienda, e, di conseguenza, metterà a disposizione dei creditori i flussi finanziari derivanti dalla continuazione dell’attività; al contrario, nel caso della continuità indiretta, il debitore non continua a gestire direttamente l’azienda, ma ciò che mette a disposizione dei creditori può essere o il prezzo di cessione dell’azienda (nel caso di cessione d’azienda ad un terzo), ovvero il canone nel caso di usufrutto o affitto, o infine, nel caso di conferimento in società, gli utili o il prezzo di vendita delle quote.

Posto che il legislatore – come si avrà modo di verificare dalla lettera della norma – delinea un netto favor per le forme di concordato in continuità è importante, per questa ragione, comprendere se si sia in presenza dell’una o dell’altra tipologia di concordato, in quanto, le norme che si applicano in alcuni tratti hanno discipline differenti.

Il tema diventa di particolare interesse nel momento in cui si preveda la possibilità di creare concordati cosiddetti misti. Nell’ipotesi in cui si rientri in tale evenienza, nella quale è prevista sia la prosecuzione dell’attività, sia la liquidazione di alcuni beni, in ogni caso il concordato verrà qualificato come in continuità aziendale anche se «i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta».

Quindi, applicando la disciplina di maggiore favor prevista dal legislatore del concordato in continuità (nel caso in esame indiretta), sarà opportuno analizzare funditus le fasi che antecedono il voto e il giudizio di omologazione, che risultano essere il sostanziale fulcro di discussione intorno al quale orbita la sentenza.

Innanzitutto, la procedura di concordato preventivo, ex art.37 co.1 CCII, si apre solamente su istanza del debitore e non anche di altri soggetti.In particolare, la domanda di accesso è proposta (ex art.40 CCII) con ricorso al tribunale competente, sottoscritto dal difensore munito di procura, con indicazione dell’ufficio giudiziario, dell’oggetto, delle ragioni della domanda e delle conclusioni. Rispetto alla figura del debitore, tuttavia, fin da subito è opportuno precisare che, nel caso in cui lo stesso sia un imprenditore collettivo ex art.40 co.2 CCII (ed è proprio il caso della sentenza), la domanda di accesso al concordato preventivo può essere determinata solo dagli amministratori, unitamente sia al contenuto della proposta e alle condizioni del piano (art.120-bis co.1). Di conseguenza, i soci della società debitrice non hanno alcun potere di domandare l’accesso a tale procedura, né tantomeno, può essere limitato dallo statuto ovvero da una qualche delibera assembleare, l’esercizio di tale potere da parte degli amministratori. Si aggiunge inoltre, che è fatto divieto per i soci di impedire l’attuazione del concordato preventivo ed in ragione di questo l’art.120-bis co.2 CCII precisa che «ai fini del buon esito della ristrutturazione il piano può prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni.»

I presupposti, affinché possa sussistere la legittimazione attiva ai fini della presentazione della domanda del debitore, sono essenzialmente due: uno soggettivo ed uno oggettivo, e per entrambi sarà onere del tribunale verificare la loro presenza.

Il primo presupposto attiene alla sussistenza della qualifica di imprenditore che è soggetto a liquidazione giudiziale. L’art.84 co.1 CCII richiama lo stesso art.121 CCII e quindi si prevede che per potere accedere al concordato è necessario:

  1. Essere imprenditore individuale o collettivo (secondo quanto previsto dall’art.2082 c.c.)
  2. Possedere la natura di imprenditore commerciale (secondo l’opinione prevalente sono commerciali coloro che non sono imprenditori agricoli ex art.2135 c.c. essendo quest’ultimi esclusi, di conseguenza, dall’accesso alle procedure di concordato)
  3. Avere natura privata (non essere quindi né lo Stato, né altri enti pubblici)
  4. Non essere un “impresa minore” intendendo con tale espressione coloro che presentano congiuntamente tali requisiti ex art.2, co.1, lett. d):
  • «un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
  • ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
  • un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila»

A differenza della liquidazione giudiziale, tuttavia, al concordato preventivo possono avere accesso anche le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa (ex art. 296 CCII) ed anche quelle soggette all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (art.36 del decreto legislativo 270 del 1999).

Il secondo requisito, di tipo oggettivo, è rappresentato dallo stato di crisi o di insolvenza. Con stato di crisi (il meno grave) si intende secondo l’art.2 co.1 lett. a), «lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi». In altre parole, si tratta di uno stato di pericolo di insolvenza, in cui la verifica dello stato di crisi comporta una proiezione sull’evoluzione della situazione finanziaria e sull’abilità dell’imprenditore, sempre in proiezione, di soddisfare in maniera regolare le obbligazioni di cui si è fatto carico, anche quelle non ancora assunte ma che probabilmente nasceranno, tutto questo per un periodo pari ai dodici mesi successivi.

Al contrario per stato di insolvenza, limitandosi per ragioni di spazio, in tale sede, a darne una definizione priva delle precisazioni, anche dottrinali, opportune, è da intendersi in adesione a quanto stabilito alla lett. b) del co.2 dell’art.2 CCII: «lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fattori esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». In particolare, si tratta di una definizione di tipo finanziario, essendo basata sulla constatazione dell’esistenza delle condizioni di liquidità e della conseguente capacità del debitore di adempiere in modo regolare le proprie obbligazioni.

Quindi, se entrambi i presupposti, oggettivo e soggettivo, sono soddisfatti dal debitore, questi ha la possibilità di effettuare la domanda di accesso al tribunale competente.

Una volta depositata la domanda, oltre ad essere trasmessa al pubblico ministero, obbliga il giorno successivo, il cancelliere, a comunicarla al registro delle imprese, il quale ha il dovere di provvedere all’iscrizione. Tuttavia, affinché la domanda sia completa, è necessario che, in allegato, vengano anche aggiunti una serie di documenti.

Prima di vedere nello specifico quali siano i documenti da presentare, è interessante notare che la domanda effettuata nella sentenza in esame si inserisce in un’ipotesi particolare. Spesso, in ragione di un ottenimento anticipato degli effetti di protezione del patrimonio del debitore, che seguono la domanda di accesso, si richiede che la domanda venga ammessa con riserva di deposito della documentazione. Si tratta di un ipotesi contemplata, in maniera identica, per tutti gli strumenti di regolazione della crisi, dall’art.44 CCII, il quale prevede proprio che, anche in mancanza della proposta, del piano (entrambi documenti che, come si avrà modo di vedere fra poco, nel concordato preventivo, devono essere allegati alla domanda) e dell’accordo, si consente al debitore di presentare domanda di accesso alla procedura (come previsto ex art.39 co.3 CCII), insieme, unicamente, ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi o, per le imprese non soggette all’obbligo di redazione del bilancio, le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni IRAP concernenti i tre esercizi precedenti. In aggiunta, si deve presentare l’elenco nominativo dei creditori indicando i rispettivi crediti e cause di prelazione, oltre che il loro domicilio digitale, se ne sono muniti.

Il tribunale – una volta verificata la sussistenza dei requisiti minimi formali imposti dalla legge e la propria competenza territoriale – fissa, secondo i termini previsti dalla lettera a) dell’art.44, co.1 CCII, la data entro la quale deve avvenire il deposito della proposta di concordato, del piano, dell’attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e dell’ulteriore documentazione. Infine, è disposto e quindi ordinato al debitore di versare, entro un termine perentorio non superiore a dieci giorni, una somma per le spese della procedura, nella misura necessaria fino alla scadenza del termine fissato.

Tanto premesso, tornando alla documentazione richiesta da allegare alla domanda di concordato, il Codice individua quei documenti che permettano, dapprima al tribunale, ma anche ai creditori, di percepire correttamente quali siano state le cause che hanno prodotto lo stato di crisi e, in aggiunta, avere contezza dell’ammontare dello stato passivo e dell’attivo, oltre che del contenuto dell’offerta e delle modalità con cui il debitore ha intenzione di adempiere alla stessa.

Di conseguenza, in unione con la domanda di accesso, il co.1, dell’art.39 CCII, prevede di presentare: «presso il tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ovvero l’intera esistenza dell’impresa o dell’attività economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata, le dichiarazioni IRAP e le dichiarazioni annuali IVA relative ai medesimi periodi, i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi. Deve inoltre depositare, anche in formato digitale, una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata, uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività, un’idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi, l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione nonché l’elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l’indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto. Tali elenchi devono contenere l’indicazione del domicilio digitale dei creditori e dei titolari di diritti reali e personali che ne sono muniti.»                                                                                                                                    

Con la precisazione al secondo comma che «il debitore deve depositare una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione di cui all’articolo 94, comma 2, compiuti nel quinquennio anteriore, anche in formato digitale.»

In allegato alla domanda va poi presentato anche un piano. Si tratta di un documento nel quale il debitore inserisce, in maniera specifica, le modalità e i tempi di adempimento della proposta (della quale si dirà dopo).

Il piano deve contenere una serie di requisiti, stabiliti per legge all’art.87 CCII, che, limitandosi a indicare quelli che devono essere contenuti nel caso di concordato in continuità indiretta, per la loro importanza è bene precisare: 

  1. indicazione del debitore, oltre che delle eventuali parti correlate, delle attività e passività, dello stesso, nel momento della presentazione del piano e la descrizione della situazione economico- finanziaria dell’impresa e della posizione dei lavoratori;
  2. una descrizione sia delle cause, che dell’entità dello stato di crisi o insolvenza in cui si trova il debitore e l’indicazione delle strategie di intervento;
  3. il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale;
  4. devono essere poi indicate le modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti, attraverso qualsiasi forma, compresa la cessione dei beni, l’accollo e le altre operazioni straordinarie, compresa l’attribuzione ai creditori o a società da questi partecipate, di azioni quote od obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari. Inoltre è necessaria anche la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della stessa;
  5. eventuali apporti di finanza nuova e le ragioni per i quali essi sono necessari per l’attuazione del piano;
  6. le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, o le azioni che, eventualmente, sono proponibili nel caso esclusivo di apertura della procedura di liquidazione giudiziale, oltre che le prospettive di realizzo;
  7. le iniziative da adottare qualora si verifichi uno scostamento dagli obiettivi pianificati;
  8. le parti interessate dal piano, indicate individualmente o descritte per categorie di debiti, e l’ammontare dei relativi crediti e interessi, con indicazione dell’ammontare eventualmente contestato;
  9. le classi in cui le parti interessate sono state suddivise ai fini del voto, con indicazione dei criteri di formazione utilizzati, del valore dei rispettivi crediti e degli interessi di ciascuna classe;
  10. le eventuali parti non interessate dal piano, indicate individualmente o descritte per categorie di debiti unitamente a una descrizione dei motivi per i quali non sono interessate;
  11. le modalità di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori, nonché gli effetti della ristrutturazione sui rapporti di lavoro, sulla loro organizzazione o sulle modalità di svolgimento delle prestazioni;
  12. l’indicazione del commissario giudiziale, se già nominato.

Va poi aggiunto che, nel caso di piano di concordato in continuità, è necessario prevedere un piano industriale, nel quale siano indicati gli effetti sul piano finanziario e i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria, secondo quanto previsto dall’art.87 co.1 lett. e) CCII. Infine l’art.87 co.3 CCII richiede che, in aggiunta al piano vada compreso anche «la relazione di un professionista indipendente, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano e, in caso di continuità aziendale, che il piano è atto a impedire o superare l’insolvenza del debitore, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa e a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale.»

Dopo aver predisposto un piano, sulla base di questo, il debitore formula la proposta di soddisfacimento dei crediti. Essa, da un punto di vista formale, può sia costituire un allegato alla domanda di concordato sia essere inclusa nella domanda stessa, pur tuttavia rimanendo altro da sé tanto dalla domanda quanto dal piano. Infatti, va chiarito che, mentre la proposta si configura nel contenuto negoziale del concordato, il piano, al contrario, ha la funzione di illustrare la descrizione analitica delle modalità e dei tempi con cui verrà adempiuta la proposta. In altri termini, è possibile affermare che la proposta costituisce il contenuto dell’obbligazione concordataria e quindi l’offerta del debitore di pagamento o soddisfacimento, rivolta ai creditori.

In generale, si può affermare che il legislatore lasci ampia libertà al debitore nel valutare quale debba essere il contenuto della proposta, tuttavia impone allo stesso tempo delle limitazioni.

Di particolare interesse, sono quelle riguardanti la suddivisione dei creditori in classi ex art.85 CCII. Si tratta di un’ipotesi, aggiunta dal legislatore, nell’intenzione di garantire la massima flessibilità di composizione della proposta, proponendo trattamenti differenziati ai creditori appartenenti a classi diverse. Tuttavia, a differenza delle altre tipologie di concordato, secondo quanto previsto dal comma 5 dello stesso articolo 85, per il concordato in continuità aziendale, tale suddivisione risulta essere obbligatoria.

È opportuno, quindi, valutare nello specifico quali siano le regole da seguire per effettuare una tale suddivisone. Innanzitutto, affinché i creditori possano essere inseriti nella stessa classe, è necessario che vengano soddisfatti due requisiti, che debbono sussistere congiuntamente nei confronti dei creditori oggetto della suddivisione medesima:

  • interesse economico: sulla base della specifica posizione del creditore all’interno della procedura di concordato, si vengono a creare dei parametri che possono essere imputabili sia all’ammontare del credito, sia alla natura del creditore (per esempio al fatto se il creditore sia un lavoratore oppure una banca), sia alla fonte del credito e tanti altri;
  • posizione giuridica: riguarda il rango prededucibile, privilegiato, chirografario o postergato del credito.

Tra le varie classi, come anticipato, è possibile all’interno della proposta, nel rispetto del principio sancito all’art.84 co.1 CCII, prevedere trattamenti differenziati, che, in ragione delle caratteristiche dei creditori appartenenti a una determinata classe permettano, al debitore, di proporre un’offerta adeguata, che possa esser apprezzata da tali creditori.  Tuttavia, rimane comunque impossibile offrire trattamenti differenziati ai creditori presenti all’interno di una stessa classe, nel rispetto del principio della par condicio creditorum.

A fronte delle varie possibilità con cui, il debitore, può decidere di trattare, in base alle classi create, ogni creditore, vi sono tuttavia degli obblighi dei quali egli deve tenere conto nel momento in cui procede a determinare le classi creditorie.

Innanzitutto, obbligatorio è l’inserimento, secondo l’art.85 co.2, in una classe separata (vista la presunzione ex lege della non omogeneità della loro posizione), dei creditori titolari di crediti tributati e previdenziali, dei quali non sia previsto l’integrale pagamento. Si aggiungono anche i creditori titolari di garanzie prestate da terzi, i creditori che vengono soddisfatti, anche in parte, con utilità diverse dal denaro ed infine i creditori proponenti il concordato e le parti ad essi correlate.

Nei concordati in continuità vige, tra le altre, anche l’obbligo, ex art.85 co.3 CCII, di inserire in classi separate i creditori privilegiati, per i quali la proposta non prevede la soddisfazione in denaro, integrale ed entro 180 giorni dall’omologazione, che si riducono a 30, nel caso di creditori titolari di crediti di lavoro secondo l’art.2751-bis, n.1, c.c., e che in ragione di questo vengono ammessi al voto ex art.109, co.5 CCII. Si prevede, in aggiunta, che anche le imprese minori (ex art.2, co.1, lett. d) CCII), titolari di crediti chirografari derivanti dalla fornitura di beni e servizi, siano inserite in una classe separata.

Volgendo la mente al caso di specie, le condizioni ut supra delineate erano correttamente soddisfatte tanto che era precisato che «la differenziazione prospettata tra le varie classi trova ragionevole giustificazione nella omogeneità della posizione e degli interessi degli appartenenti alla medesima classe, per cui deve ritenersi che siano stati correttamente utilizzati i criteri di formazione delle diverse classi secondo quanto previsto dall’art. 85 CCI»

È possibile, infine, anche prevedere, nella proposta, in adesione al co.5 dell’art. 84 CCII, che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca vengano soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti, sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. Da ciò ne discende il corollario per cui la quota residua, rectius insoddisfatta, sia da intendere quale credito chirografario e, in ragione di ciò, legittimato alla votazione.

Sul contenuto della proposta, a fronte della libertà concessa anche riguardo alle percentuali di soddisfazione dei creditori nelle classi, il debitore deve, comunque rispettare un importante principio, ovvero l’ordine delle cause di prelazione. Si tratta di una regola che, ad oggi, si suddivide in due versioni Absolute priority rule (o regola della priorità assoluta) e Relative priority rule (o regola della priorità relativa), che, tuttavia, visto il richiamo che sarà necessario effettuare successivamente, in relazione al concetto di eccedenza, punto cruciale della sentenza, è opportuno trattarlo in tale sede.

Ciononostante, qui, è opportuno puntualizzare che vincoli specifici di distribuzione, limitandosi ad accennarli solo per completezza, sussistono per i crediti tributari e contributivi, ex art.88 CCII. Seguendo il testo della norma, si prevede, innanzitutto, che per tali creditori, è possibile, all’interno della proposta, includere, il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori, ma solo a condizione che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista indipendente ( che, relativamente ai crediti fiscali e previdenziali, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore). Si tratta, fino a questo punto, di una semplice dichiarazione delle regole generali sul trattamento dei crediti privilegiati, tuttavia, è prevista una specificazione anche della distinta regola dell’ordine delle cause di prelazione. Infatti, se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie. Se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, anche a seguito di degradazione per incapienza, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei crediti rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole.

A questo punto, riprendendo quanto sopra accennato, allorché occorrano i presupposti ed i requisiti per poter procedere all’apertura della procedura, sarà necessario, per il debitore, ovviamente, sottoporsi ad un (ulteriore) controllo approfondito del tribunale. In altri termini, una volta che siano stati depositati tutti e tre i documenti de quibus si attiva una fase di controlli da parte del tribunale.

Per quanto riguarda l’ipotesi in cui si tratti di concordato in continuità, rimane compito del tribunale anche svolgere una verifica sulla ritualità della proposta e la non manifesta inidoneità del piano alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali.

Come correttamente esposto in sentenza, si tratta di condizioni che il tribunale riteneva esistenti nel caso di specie, come elencato punto per punto, così da comportare l’apertura della procedura.

A fronte di questo il tribunale provvede ad emanare il decreto di apertura della procedura di concordato preventivo. Conseguentemente, ex art.47 co.2. CCII, una volta:

  1. nominato il giudice delegato;
  2. nominato, ovvero confermato il commissario giudiziale (infatti, nel caso di deposito con riserva della domanda, come visto poco sopra, il commissario giudiziale era già stato nominato);
  3. stabilito, in relazione al numero dei creditori, alla entità del passivo e alla necessità di assicurare la tempestività e l’efficacia della procedura, la data iniziale e finale per l’espressione del voto dei creditori, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi, e fissa il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori;
  4. fissato il termine perentorio, non superiore a quindici giorni, entro il quale il debitore deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma, ulteriore rispetto a quella versata ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera d), pari al 50 per cento delle spese che si presumono necessarie per l’intera procedura ovvero la diversa minor somma, non inferiore al 20 per cento di tali spese, che sia determinata dal tribunale;

comunica il decreto di apertura prima di tutto al debitore, poi al commissario giudiziale, ed eventualmente, ai soli creditori che abbiano fatto domanda di apertura della liquidazione giudiziale. Infine, tale decreto viene iscritto nel registro delle imprese.

In seguito all’apertura, si aggiungono, nella fase precedente al voto, che, come anticipato, rappresenta il vero perno intorno al quale ruota la sentenza. anche una serie di attività che devono essere compiute dal commissario giudiziale. Si tratta di attività, sia di tipo informativo, per assicurare ai creditori un’informazione completa per l’esercizio del diritto di voto, che di controllo, per verificare se continuano ad essere ancora presenti le condizioni di ammissibilità al concordato, già vagliate.

Il commissario, a seguito del decreto di apertura del procedimento:

  • produce un’annotazione sotto all’ultima scrittura dei libri presentati e provvede a restituirli al debitore, il quale dovrà comunque tenerli a disposizione del giudice delegato e del commissario giudiziale, come previsto dall’art.103 CCII;
  • deve procedere, ex art.104 CCII, alla verifica dell’elenco dei creditori e dei debitori sulla scorta delle scritture contabili, apportando le necessarie rettifiche. Inoltre, provvede a comunicare ai creditori il piano e un avviso contenente la data iniziale e finale del voto dei creditori, la proposta del debitore, il decreto di apertura, il suo indirizzo di posta elettronica certificata, l’invito ad indicare un indirizzo di posta elettronica certificata oppure un servizio elettronico di recapito certificato qualificato;
  • Deve proseguire con una verifica dei dati aziendali del debitore, della fattibilità del piano e del contenuto della proposta. Nell’effettuare tale controllo, il commissario redige l’inventario del patrimonio e provvede ad esaminare sia la documentazione allegata alla domanda di concordato, sia l’ulteriore documentazione che ritenga opportuno consultare.

In conclusione a tali controlli, secondo quanto dispone l’art.105 CCII, il commissario procederà a redigere una relazione particolareggiata avendo riguardo sia alle cause che hanno comportato la situazione di crisi o di insolvenza sia alla condotta del debitore, oltre che sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori. Dopodiché, deposita la relazione in cancelleria almeno quarantacinque giorni prima della data iniziale stabilita per il voto dei creditori. Copia della relazione è trasmessa al pubblico ministero. Di fondamentale importanza è che, nella relazione, il commissario, illustri anche le utilità che, in caso di liquidazione giudiziale, potrebbero essere apportate dalle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie che potrebbero essere promosse nei confronti di terzi.

Solo per completezza, prima di passare alla fase di precipuo interesse, è opportuno anche ricordare l’istituto della modifica della proposta che può essere posta in essere dal debitore, il quale ha facoltà di modificare il piano o la proposta concordatari.

Tuttavia, la facoltà non è sine die, in quanto, a mente dell’art.90 co.8 CCII, le proposte possono essere modificate fino a venti giorni prima della votazione dei creditori. In conseguenza di tale modifica, dovranno essere effettuati nuovamente sia la relazione di attestazione del professionista indipendente come indicato dall’art.87 co.3 CCII, sia un nuovo controllo da parte del tribunale, che dovrà ritenere quindi ammissibile anche la stessa modifica. In aggiunta a questo, nel caso in cui la proposta o il piano siano oggetto di modifica a seguito della relazione del commissario giudiziale, esposta poco sopra, egli dovrà redigere e comunicare ai creditori una relazione integrativa, sia pure limitata ai soli profili oggetto di modifica.

 

3. Il procedimento di voto per l’approvazione della proposta

Una volta superate le varie fasi obbligatorie per l’emanazione del decreto di apertura del concordato preventivo, si delinea la fase del voto che consente ai creditori di manifestare la loro adesione o meno alla proposta di concordato e quindi sulla base degli esiti procedere, o meno, al giudizio di omologazione.

L’ultima fase, affinché si possa raggiungere l’omologazione, quindi, è la votazione dei creditori e, in ragione di questo, risulta necessario comprendere quali siano le soglie entro cui la proposta possa ritenersi accettata.

Innanzitutto, si parte da una prima fase preparatoria al voto, volta sia a garantire la massima informazione possibile per i creditori, che consentire il confronto e il contradditorio tra tutti i soggetti interessati in ordine all’ammissibilità e convenienza della proposta ed alle eventuali contestazioni sui crediti ammessi. Di fondamentale importanza, all’interno di questa fase, è la relazione del commissario giudiziale ex art.107, co.3 CCII. Si prescrive che, almeno quindici giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, il commissario giudiziale sia onerato di illustrare la sua relazione e le proposte definitive del debitore (e quelle eventualmente presentate dai creditori) con comunicazione inviata ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati e poi depositata nella cancelleria del giudice delegato.

Alla relazione è allegato, ai soli fini della votazione, l’elenco dei creditori legittimati al voto con indicazione dell’ammontare per cui sono ammessi. Non essendo presente nessuna fase di accertamento del passivo nella quale accertare e decidere l’ammontare e il rango di tutti i crediti, al fine della partecipazione al concorso (come, invece, segnatamente prescritto nel caso della liquidazione giudiziale), permane comunque, ad opera del commissario giudiziale, un, pur sommario, giudizio di accertamento sull’ammontare e sul rango dei crediti che tuttavia, si ripete, ha valenza solo ai fini del voto. Tale relazione assume il carattere di definitività, in un’accezione strettamente procedurale ex art. 107 co.6 CCII, tenuto conto delle eventuali osservazioni e contestazioni, dei creditori, sull’ammissibilità della proposta o sui crediti concorrenti, e comunicata almeno sette giorni prima della data iniziale per il voto. Si tratta di una relazione nella quale saranno contenute le valutazioni sulla proposta del debitore (o su eventuali proposte concorrenti) e dovrà essere nuovamente allegato l’elenco dei creditori legittimati al voto, eventualmente aggiornato al netto delle contestazioni, con l’indicazione dei crediti per cui sono ammessi.

Si giunge, così, alla votazione. Concentrandosi sul caso specifico del concordato in continuità aziendale, appare preliminare una verifica volta ad accertare la sussistenza di una serie di regole, ictu oculi non facilmente intellegibili, prescritte ai fini dell’ottenimento delle maggioranze di legge. Nello specifico, affinché possa ritenersi approvato il concordato, in sostanza, il legislatore prevede tre regole, una base e due da applicare, eventualmente, in subordine:

  1. Secondo la regola “standard” ex art.109 co.5 CCII, è necessario che vi sia l’approvazione unanime di tutte le classi che sono state ammesse al voto. All’interno di ogni classe per ottenere l’approvazione è necessaria la maggioranza, tuttavia è considerata raggiunta solo se hanno votato favorevolmente la maggioranza dei crediti ammessi al voto, in alternativa, nel caso in cui non venga ottenuta in questo modo, subentra un criterio sussidiario, secondo il quale, la proposta viene approvata, se hanno votato favorevolmente i 2/3 dei crediti dei creditori votanti, a patto che abbiano votato i creditori titolari di almeno metà del totale dei crediti della medesima classe.
  2. Nel caso in cui, con la regola di cui sopra, non si sia ottenuta l’approvazione, è possibile procedere, comunque, alla successiva fase dell’omologazione, su richiesta del debitore, per mezzo dell’approvazione, da parte della maggioranza delle classi, a condizione che almeno una di queste classi sia composta da creditori titolari di diritti di prelazione (art.112, co.2, lett. d) Prima parte). Chiaramente, all’interno delle singole classi, la maggioranza viene calcolata allo stesso modo di quanto spiegato poco sopra al punto uno: tramite il criterio principale oppure, in alternativa, quello sussidiario.
  3. In estremo subordine, se neanche in quest’ultimo modo si ottiene l’approvazione si prospetta un’ultima possibilità. Sempre su richiesta del debitore è possibile procedere con la fase dell’omologazione se la proposta è stata approvata da parte di una minoranza delle classi, purché, tra queste vi sia il voto favorevole di almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione. (art.112, co.2, lett.d) Seconda parte).  Anche in questa estrema ipotesi, all’interno delle singole classi, per il calcolo della maggioranza si seguono le regole esposte in precedenza, secondo il criterio principale o quello sussidiario.

La suddivisione, esposta in questo modo, riprende un orientamento dottrinale, che risulta essere lo stesso seguito anche dalla sentenza in esame. Nello specifico, nella sentenza, il debitore, chiedeva di poter procedere ugualmente – pur non avendo ottenuto le maggioranze richieste dall’art.109 co.5 CCII (regola base) – al giudizio di omologazione. Tuttavia prima di esporre le ragioni dell’aspro dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ancora in corso, sulla lettura della (infelice) norma, è opportuno concludere esponendo i tratti salienti della disciplina comune relativa al giudizio di omologazione.

 

4. Il focus sul giudizio di omologazione nel caso specifico del concordato in continuità indiretta

Rispetto al procedimento di omologazione è necessario premettere che, a seguito del d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, che dà attuazione in Italia alla Direttiva Insolvency (Direttiva (UE) 2019/1023), è stata profondamente innovata la disciplina dell’omologazione del concordato preventivo, disciplina che ad oggi è contenuta sia nell’art.48 CCII che nell’art.112 CCII.

Riprendendo quanto detto al capitolo precedente, all’ottenimento, secondo una delle tre modalità indicate, dei voti richiesti per poter procedere all’omologazione, si apre il relativo giudizio.

Innanzitutto, secondo quanto previsto dall’art. 48 CCII, dopo che il commissario giudiziale predispone la propria relazione sull’esito della votazione ed il giudice delegato ne riferisce al tribunale, quest’ultimo provvede a fissare l’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale.

Successivamente, il commissario giudiziale, in qualità di litisconsorte necessario, avrà l’obbligo di depositare, almeno cinque giorni prima dell’udienza, il proprio parere motivato sulla convenienza ed opportunità di procedere o meno alla omologazione della procedura. Inoltre, al fine di permettere il contradditorio, viene consentito al debitore di depositare proprie memorie fino a due giorni prima dell’udienza.

A questo punto il tribunale, in sede di giudizio di omologazione, provvede ad effettuare una serie di controlli riguardanti la procedura e, in particolare, tanto il piano quanto la proposta. Dapprima, sia per il concordato liquidatorio che per il concordato in continuità, provvede a effettuare una serie di verifiche comuni che sono indicate dall’art.112 co.1 CCII:

    1. la regolarità della procedura: intesa come verifica sull’adesione alle norme che disciplinano la procedura di concordato preventivo, dal deposito della domanda fino all’omologazione;
    2. l’esito della votazione;
    3. l’ammissibilità della proposta;
    4. la corretta formazione delle classi: se è stato rispettato il requisito della doppia omogeneità, ovvero della posizione giuridica e degli interessi economici al momento della suddivisione in classi;
    5. la parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe: verificata del rispetto della par condicio creditorum tra creditori della stessa classe.

Seguono, poi, una serie di verifiche specifiche per il concordato in continuità, anche indiretta: in particolare sempre secondo l’art.112 co.1, CCII si verifica «che tutte le classi abbiano votato favorevolmente, che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori».

Normalmente, allorquando i controlli dovessero dare esito positivo, a seguito di un voto unanime della massa creditoria che ha approvato la proposta, si dovrebbe procedere, all’esito del giudizio, ad emanare la sentenza di omologazione.

Tuttavia, a ben vedere, il caso in esame, si inserisce in una casistica differente. In mancanza del voto unanime delle classi, il tribunale, su richiesta del debitore, aveva provveduto, comunque, a fissare l’udienza di comparizione (ex art. 48 CCII), sulla base della regola contenuta nell’art.112 co.2, lett. d) seconda parte, che disciplina il c.d. cross class cram down o ristrutturazione trasversale nei concordati in continuità aziendale.

Si tratta, in altri termini, di un’ipotesi specifica, nella quale, di fronte al voto favorevole di almeno una delle classi e al ricorrere di precise condizioni, delle quali si dirà al paragrafo successivo, sia possibile giungere, ugualmente, sempre che i controlli, di cui sopra, abbiano dato esito positivo, all’emanazione di una sentenza di omologazione.

 

4.1. L’art. 112 co.2 CCII e il cross class cram down ai sensi dell’art.112 co.2 lett. d) seconda parte

Secondo l’art.112 co.2 CCII si prevede che il tribunale possa procedere all’omologazione solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

    1. «il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;
    2. il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7;
    3. nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito;
    4. la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.»

Si tratta di una disciplina che è stata introdotta con l’avvento della direttiva Insolvency n. 1023/2019 del 20/6/2019 il cui art.11, come riporta anche lo stesso tribunale, viene trasposto nello stesso art.112 co.2 CCII. Quello che, tuttavia, in tale sede, è opportuno precisare sono le condizioni che permettono di accedere a tale meccanismo. Nello specifico, proprio in merito a questo articolo non sono stati pochi i dubbi interpretativi, che giova analizzare, al fine di cercare di comprendere quale possa essere l’interpretazione adeguata.

In conclusione del terzo paragrafo, si era accennato al fatto che sia possibile accedere all’omologazione anche in mancanza dell’unanimità di voti. Nel momento in cui, le ipotesi contenute all’art.112 co.2 lett.d), si ritengono diverse e alternative, distinguendo quindi la possibilità di procedere avendo ottenuto il voto della maggioranza oppure in presenza del voto di una sola minoranza di classi consenzienti, significa aderire ad un orientamento specifico che ammette, appunto, la possibilità di procedere all’omologazione anche nell’estrema ipotesi in cui manchi una maggioranza di voti di approvazione della proposta. Riprendendo, quindi, quanto accennato, è possibile nel caso in esame, notare che il debitore abbia manifestato la sua volontà di procedere con l’omologazione, sostenendo vi fosse la sussistenza della condizione contenuta nella seconda parte della lettera d), dando così per scontato il fatto che l’espressione “in mancanza”, ivi contenuta, distingua due ipotesi alternative, nel caso in cui non si ottenga l’unanimità ex art.109 co.5 CCII.

Tuttavia, come anticipato, in dottrina persistono tuttora dubbi interpretativi in merito al termine “in mancanza”, non essendo chiaro, nel testo della norma, a che cosa sia riferito. «Due, pertanto, pare che siano le possibili interpretazioni: (i) se la locuzione si riferisce alla mancanza dell’approvazione da parte della maggioranza delle classi, allora sarà sufficiente il voto favorevole di una sola classe, seppure con le caratteristiche indicate nel periodo finale del comma secondo; (ii) se la locuzione si riferisce alla classe formata da creditori titolari di diritti di prelazione, allora il voto favorevole della maggioranza delle classi dovrà comunque essere raggiunto».

Non sono mancati in dottrina autori che hanno appoggiato la posizione (ii), tuttavia il tribunale, nel caso in esame, ha mostrato di aderire alla parte di dottrina autorevole che ha interpretato tale nozione secondo l’ipotesi (i). In quest’ultimo senso si è imposto anche l’ultimo degli orientamenti giurisprudenziali: la sentenza del tribunale di Bergamo dell’11 aprile 2023. L’interpretazione seguita, ovvero quella prevista dall’ipotesi (i), come ribadito anche in dottrina «si impone con ancora maggiore evidenza se si tiene conto che l’art. 112, comma 2, lett. d), CCII costituisce attuazione della Direttiva UE 1023/2019, e precisamente dell’art. 11, comma 1, lett. b), Direttiva UE 1023/2019. Quest’ultima norma dispone che, ai fini della ristrutturazione trasversale sia necessario che il piano sia stato approvato “i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate,..; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate ..”. Qui, l’uso del punto e virgola prima della locuzione “in mancanza” rende certo ed inconfutabile che la previsione di cui al romanino (ii) (ossia, approvazione di almeno una classe) sia alternativa rispetto alla previsione di cui all’intero romanino (i) (ossia, approvazione da parte della maggioranza delle classi), come peraltro esplicitato anche dal considerando n. 54. Anche senza voler richiamare il canone ermeneutico dell’obbligo di interpretazione conforme al diritto UE, che già di per sé sarebbe dirimente, la chiara similitudine tra la struttura ed il testo dell’art. 112, comma 2, lett. d), CCII (“la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi …, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe …”) e quella dell’art. 11, comma 1, lett. b), Direttiva UE 1023/2019 (“è stato approvato i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, ..; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate ..”) impone un analogo approdo interpretativo, che non può che essere quello della possibilità di approvare la proposta anche con il voto favorevole di una sola classe, o comunque di una minoranza di classi»

Con l’ultima sentenza del tribunale di Mantova in esame, che nella ricostruzione ricalca i motivi appena espressi riguardanti l’interpretazione dell’art.112 co.2 lett.d) CCII alla luce della normativa europea,  recuperando in particolare quanto già detto dal tribunale di Bergamo, risulta essere, ancora più chiaro, l’orientamento che si intende privilegiare in merito a tale dubbio, a fronte anche delle complicazioni per le quali non sembra possa essere accolta l’interpretazione opposta, secondo cui la proposta deve essere obbligatoriamente approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione oppure, da creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Chiariti i dubbi, rispetto all’esistenza della condizione contenuta alla lettera d) dell’art.112 co.2 CCII, posto che l’analisi del contenuto verrà analizzata insieme alle problematiche sorte in sentenza, per quanto riguarda le altre condizioni di cui alle lettere a), b) e c), è utile dapprima riprendere due concetti, la cui esistenza è stata solo in precedenza accennata.

In primo luogo, appare opportuno vagliare la regola del rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, che si divide, alla luce del nuovo codice della crisi, nelle sue due versioni ovvero l’absolute priority rule e la relative priority rule, nelle quali si introduce anche il valore di liquidazione e valore eccedente quest’ultimo.

In generale, secondo la prima versione della regola del rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, l’Absolute priority rule, è concesso al debitore di soddisfare i creditori di rango successivo, solo qualora siano stati soddisfatti integralmente quelli di rango precedente. L’effetto che ne deriva comporta che, se per esempio, la proposta prevede il solo pagamento parziale dei creditori privilegiati, non può essere di conseguenza offerto alcunché ai creditori postergati o chirografari.

Al contrario, una seconda versione della regola, la c.d. regola della priorità relativa (Relative priority rule), permette al debitore di soddisfare i creditori di rango inferiore, anche in mancanza di una soddisfazione integrale dei creditori di rango superiore, nel rispetto della sola condizione per cui tale soddisfazione dei creditori di rango inferiore, sia di misura inferiore rispetto al pagamento di quest’ultimi. In altre parole, si consente di predisporre una proposta in cui vi sia un pagamento non integrale dei creditori privilegiati, e allo stesso tempo la possibilità di soddisfare i creditori chirografari, a condizione che i primi siano pagati in guisa migliore rispetto ai secondi.

In ragione di questo, mentre per il concordato preventivo di tipo liquidatorio vale sempre la regola della priorità assoluta, al contrario la situazione si complica, come nel caso in esame, nel concordato in continuità, infatti all’art.84, co.6 CCII, si prevede che:

  1. «il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione»;
  2. «per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore.»

In altre parole, nel concordato in continuità, si sancisce l’applicazione di entrambe le versioni della regola del rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, distinguendo, il valore di liquidazione, la cui distribuzione segue la absolute priority rule, da tutto ciò che eccede il valore di liquidazione che rende possibile per il debitore, distribuire nel rispetto della relative priority rule.

Per “valore di liquidazione” riprendendo dottrina autorevole, «deve intendersi il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale, da indicarsi nel piano, ai sensi dell’art. 87, comma 1, lt. c) CCII. Tale identificazione, infatti, non pare dubitabile non soltanto per la corrispondenza terminologica, bensì anche per la coerenza della disposizione con il principio sancito dal primo comma dell’art. 84, secondo cui il trattamento dei creditori non può essere inferiore a quello realizzabile nella liquidazione giudiziale».

Al contrario, per quanto riguarda l’identificazione del “valore eccedente quello di liquidazione”, in generale, è possibile affermare che tale valore «sia rappresentato da quanto realizzabile nel concordato dopo la presentazione della relativa domanda per effetto della prosecuzione dell’attività, al netto degli oneri e costi inerenti a tale attività. Si tratta, in altre parole, del c.d. surplus da continuità, che si aggiunge al patrimonio concordatario del debitore staticamente fotografato alla data della domanda di concordato.»[40]

Di qui, tralasciando la lettera c) di cui l’interpretazione emerge direttamente dalla lettura del testo, è possibile trarre il significato delle lettere a) e b) dell’art.112 co.2 CCII.

Nello specifico, la lettera a) è di facile comprensione: sancisce che sia rispettata la versione rigorosa della regola sulla parità di trattamento e sulla graduazione delle garanzie per l’attivo disponibile in sede di liquidazione giudiziale (criterio della absolute priority rule), come delineato poco sopra. Invece per quanto riguarda la lettera b) dell’art.112 co.2 CCII è utile riprendere il testo: «il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7.»

In altre parole, questa condizione consente di contrapporre il voto dissenziente al (solo) voto di approvazione, entrambi espressi da creditori collocabili sullo stesso piano di trattamento secondo la regola del concorso, quindi è necessario operare una puntuale verifica del rispetto dei diritti anche per i creditori dissenzienti; suddetto meccanismo, tra le altre, consente inoltre di verificare l’applicazione, per il valore eccedente quello di liquidazione della regola del concorso, nella versione meno rigorosa accolta per questo tipo di concordato (criterio della relative priority rule).

Quanto oggetto di trattazione, fino a tale momento, attiene all’interpretazione comune che viene data all’art.112 co.2, nel caso specifico dell’omologazione per ristrutturazione trasversale. Tuttavia, alla luce di quanto detto, è opportuno a questo punto entrare nello specifico della lettera d) per appurare quali siano i criteri per individuare la classe o le classi il cui voto permetta di soddisfare tale condizione. Per effettuare tale operazione ci si concentrerà quindi sui i due temi che il tribunale mantovano ha elevato a motivi di rigetto dell’omologazione del concordato. Quindi, i temi sui quali ci si soffermerà, in ragione della loro novità e delle possibili critiche che possono essere mosse, attengono sia al concetto di eccedenza (e la sua necessaria presenza ai fini dell’omologazione per ristrutturazione trasversale) che all’interpretazione corretta che deve essere data alla lettera d) dell’art.112 co.2 CCII per quanto riguarda il concetto di “classe svantaggiata”, ovvero della «classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione».

 

4.2. L’eccedenza al valore di liquidazione ai sensi della lett. b) dell’art.112 co.2 CCII

Riprendendo le parole testuali della sentenza, nel motivo di rigetto, il tribunale sancisce che «non essendovi un plusvalore da continuità da distribuire non può operare la regola di cui all’art. 112 co. 2 lett. d) CCI come evidenziato dal Commissario Giudiziale non potendo sussistere una differenziazione tra i risultati derivanti dalla applicazione delle due regole distributive della APR e della RPR».

Impostato in questi termini, non vi sono dubbi come nel caso in esame, sul fatto che il tribunale ritenesse obbligatorio per poter procedere all’omologazione di un concordato, mediante il tool del c.d. cross class cram down, l’esistenza di un’eccedenza o meglio di un surplus da continuità definito quale «misura in cui la prosecuzione dell’attività imprenditoriale generi risorse aggiuntive rispetto al valore di liquidazione dei beni».

Prima di procedere ad analizzare i termini in cui si pone il problema, è opportuno soffermarsi sulla scelta del tribunale di valutare la finanza esterna, imputabile al cessionario di azienda, altro da sé rispetto al concetto di “eccedenza” ut supra delineato. Infatti, riferisce che «non è menzionato alcun tipo di collegamento tra lo svolgimento dell’attività imprenditoriale della società cessionaria dell’azienda (e, quindi, in ordine all’andamento dei flussi attesi) e la messa a disposizione della somma di € 200.000,00 la cui erogazione è stata unicamente condizionata alla omologazione del concordato mentre non è stato neppure allegato un business plan che illustri i possibili risultati economici della gestione imprenditoriale dell’azienda ceduta in vista del promesso adempimento di quanto verrà da essa versato in favore dei creditori».

In generale, è possibile affermare che, sulla qualifica da attribuire alla finanza esterna, sono molteplici gli orientamenti giurisprudenziali che, a seguito dell’entrata in vigore della regola della relative priority rule, si sono pronunciati nel senso di includerla o meno nel concetto di eccedenza.

Il tribunale di Mantova sceglie di aderire all’orientamento che non ammette, nel concetto di eccedenza, la finanza esterna, qualificandola, piuttosto, come apporto di finanza esterno da distribuire in deroga ai principi di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c.

In particolare, intendendo l’eccedenza secondo la definizione esposta poco sopra e in adesione a quanto chiarito al paragrafo precedente sulla definizione di surplus da continuità, aderisce all’orientamento, già mantenuto originariamente dal tribunale di Roma del 24 ottobre 2023, che ritiene unicamente l’eccedenza collegata ai soli flussi di continuità, proprio quelli che, secondo la ricostruzione del fabbisogno concordatario, effettuata nella sentenza in esame, risultano mancanti. Da ultimo, anche la sentenza richiamata, del tribunale di Massa del 16 gennaio 2024, si pone in questi termini, tanto da restituire una ricostruzione del concetto di finanza esterna, molto precisa. Si individuano, in particolare, una serie di requisiti che, per completezza, è utile riportare. Si deve trattare di risorse che:

  • «provengano da un soggetto terzo diverso rispetto al debitore;
  • siano destinate direttamente ai creditori, senza transitare dal patrimonio del debitore;
  • non generino, in conseguenza dell’erogazione effettuata, un credito restitutorio verso l’imprenditore in concordato;
  • che possono essere distribuite in deroga ai principi di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c.».

Nel caso di specie non pareva che l’apporto de quo potesse essere qualificato quale somma in “eccedenza”.
Non sono mancate, comunque, opinioni discordanti sulla accezione da attribuire al concetto di finanza esterna. Tra questi, per esempio, in un orientamento di pochi giorni prima della sentenza del Tribunale di Massa, il tribunale di Treviso,
in sede di omologazione di un concordato in continuità, aveva affermato che «in applicazione dell’art. 84, comma 6, CCII, possano essere distribuite secondo la regola della c.d. Relative Priority Rule tutte le somme eccedenti quelle ricavabili dalla liquidazione dei beni, ivi compresa la finanza endogena, trattandosi in ogni caso di importi esorbitanti rispetto all’ammontare ritraibile dal valore di realizzo dei cespiti della Società, difatti, nel mutato contesto normativo del Codice della Crisi, il dato scriminante della neutralità dell’apporto del terzo rispetto al patrimonio della società debitrice, cruciale per distribuire la somma in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. sotto la vigenza della legge fallimentare, mantiene rilevanza nel solo concordato liquidatorio, sicché è indifferente ai fini della tenuta del piano presentato la diversa qualificazione operata dalla Società in termini di “finanza esterna” dell’apporto di capitale». Si tratta di un orientamento che è possibile ritrovare anche nella sentenza del tribunale di Lucca del 27 luglio 2023, n.66. Per questo motivo, nel persistente dubbio inerente a tale concetto, risulta difficile prendere una posizione certa, tuttavia, basandosi sul dato normativo, qualificare la finanza esterna come apporto di risorse esterne ai sensi dell’art.84 co.4 CCII, che fa riferimento esclusivo al concordato di tipo liquidatorio, stride chiaramente all’interno del quadro di un concordato qualificato come in continuità indiretta, come nel caso di specie. Sarebbe maggiormente plausibile orientarsi, vista l’incertezza dei termini di “valore di liquidazione” e “eccedenza”, mancandone una definizione normativa precisa, verso l’ipotesi delineata poco sopra dal tribunale di Treviso, che sembrerebbe molto più aderente al dettato legislativo.

Tuttavia, il punto nodale su cui è opportuno soffermarsi non sembra tanto il (solo) significato di eccedenza ovvero la qualifica dell’apporto di finanza esterno, ma piuttosto sul valore ontologico dell’istituto tra i presupposti necessari onde procedere (o meno) con l’omologazione forzosa ex art.112 co.2 lett d).

Innanzitutto, è bene chiarire un primo dubbio: sorge spontaneo, parlando di eccedenza, pensare che il riferimento diretto sia alla lettera b) dell’art.112 co.2 CCII. Tale lettera, su un piano prettamente letterale, come emerge anche dalla lettura di alcuni autori, si limita a sancire come requisito per l’accesso alla ristrutturazione trasversale, il solo mero rispetto, oltre che dei diritti dei creditori dissenzienti, dei soli criteri di distribuzione dell’eccedenza, secondo quanto sancito dall’art.84 co.6 CCII. Di conseguenza, la condizione di cui alla lettera b) va verificata e deve essere soddisfatta nel solo caso in cui l’eccedenza esista ed abbia a formarsi, mentre, in assenza, problema non persiste e nessuna verifica deve essere effettuata in tal senso.

Il tribunale, nella valutazione effettuata, tuttavia, non sembrava fare riferimento a tale lettera, o comunque non direttamente, riferendosi piuttosto, alla lettera d). In altre parole, ragionando sul dato normativo, nella validità di tale interpretazione della lettera b), l’unico riferimento, dal quale fosse possibile scorgere la presenza obbligatoria di eccedenza, poteva essere, esclusivamente, la seconda parte della lettera d).  

L’organo giudicante, nello specifico, per poter procedere con l’omologazione, riteneva necessaria la presenza obbligatoria di eccedenza, in quanto, altrimenti, non sarebbe stato possibile effettuare la corretta applicazione e distinzione tra Absolute priority rule e Relative priority rule. Una distinzione utile per permettere il calcolo richiesto ai fini della verifica, in concreto, di quale fosse la classe svantaggiata, applicando il criterio della APR anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Il caso di specie costituisce in realtà un primus, visto che fino a tale pronuncia, non si erano presentati casi simili nei quali, in mancanza di un’eccedenza, fosse stata negata l’omologazione. Difficile, di conseguenza, comprendere quale possa essere l’interpretazione più vicina alla voluntas legis, mancando anche orientamenti dottrinali in tal senso. Come già detto, basandosi sul dato letterale, oggettivamente, sembrerebbe ipotizzabile una sorta di necessaria presenza di un’eccedenza per poter procedere a verificare la condizione alla lett.d), al fine di individuare la classe svantaggiata di cui si dirà in seguito, tanto da ritenere valido tale approccio. Tuttavia, nell’incertezza della correttezza di un tale orientamento, un primo intervento giurisprudenziale sul tema giunge in soccorso, in termini opposti, con la sentenza del tribunale di Bari dell’8 aprile 2024, la quale, esprimendosi sempre nell’alveo di un concordato preventivo in continuità aziendale, riteneva non necessario il requisito dell’eccedenza onde applicare il cross class cram down. In particolare, il giudice barese statuiva che «la carenza di valore eccedente la liquidazione non può ritenersi ostativa alla possibilità di ristrutturazione trasversale, prevista dal secondo comma dell’art.112 CCII, recettiva della citata direttiva UE, posto che la disposizione in esame impone la condizione concorrente della distribuzione di tale valore secondo i criteri ivi indicati, ove esistente, ma non sembra imporre l’effettiva distribuzione di tal risorsa aggiuntiva a pena di inammissibilità del cross cram down, ove non disponibile, come nella specie per parità dei valori di liquidazione e di cessione a terzi del complesso aziendale». Si ribadisce così, la conclusione alla quale si è giunti nell’analisi precedente sulla lettera b) dell’art.112 co.2. Riguardo poi alla lettera d) viene precisato che: «quanto ai valori distribuibili, in forza del rilievo innanzi svolto in ordine alla non necessità della sussistenza di surplus ai fini della ristrutturazione trasversale, la seconda parte della disposizione in esame, nel richiedere l’approvazione da parte di almeno una classe svantaggiata, non può che fare riferimento semplicemente al voto favorevole di una classe maltrattata, che non necessariamente deve essere costituita da creditori privilegiati, sia perché nella disposizione in esame non vi è tale specifico riferimento, e sia perché l’art.11 della citata direttiva europea, recepito dall’art.112 comma 2, CCII, al corrispondente punto ii) non contiene alcun riferimento a prelazione o garanzia. In sintesi, in forza della seconda parte della lett. d), in assenza di classi di creditori privilegiati, tale modalità di omologazione può trovare applicazione in caso di approvazione da parte di una classe di creditori chirografari che, secondo la graduazione delle cause legittime di prelazione, riceverebbe un trattamento migliore di quello concordatario». Da questa affermazione, quindi, emerge che l’obbligatorietà del surplus non si trae nemmeno dalla lettera d), sebbene, tuttavia sarà necessario attendere ulteriori conferme (o smentite) in tal senso.

 

4.3. Il significato e l’individuazione della classe “svantaggiata” alla luce di alcune pronunce

Il percorso di ricostruzione appena effettuato ha permesso di recepire, nello specifico, quali siano alcune delle condizioni da soddisfare per poter accedere alla ristrutturazione trasversale ex art.112 co.2 lett.d) CCII. Tuttavia, non si è (ancora) approfondito quali siano le modalità con cui deve avvenire l’individuazione della classe “svantaggiata”. Si tratta di una nozione di particolare importanza per definire la “classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”, il cui voto come chiarito sopra, risulta essere determinante per verificare l’accesso al cross class cram down, insieme con le altre condizioni già viste.

Questa classe di creditori, alla quale il Codice fa riferimento, risulta essere una classe nella quale il creditore, benché “maltrattato” nel concordato, vota a favore. Un voto, dal quale il legislatore deduce che il concordato può essere, comunque, omologato pur contro la volontà espressa (e non presunta dal silenzio) della maggioranza, sempre che ricorrano le altre condizioni di cui al comma 2, lett. a), b) e c) dell’art. 112.

La giurisprudenza ha sicuramente reso maggiormente agevole l’interpretazione di tale lettera d), per questo è opportuno ricostruire il significato sulla base delle pronunce che ne hanno trattato. Uno dei primi casi interessanti che hanno riguardato il tema, richiamato anche dalla sentenza in esame, è stato quello del tribunale di Bergamo dell’11 aprile 2023. In tale sentenza veniva chiarito che, il concordato potesse essere omologato allorché la proposta fosse stata approvata da almeno una classe di creditori che, nel concordato, venisse trattata in maniera deteriore, in termini di pregiudizio, rispetto alla soddisfazione che avrebbe ottenuto nell’ipotesi della liquidazione giudiziale, rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione,  con la precisazione che, tale classe dovesse essere diversa da quella composta solo da creditori chirografari, che non avrebbe ricevuto alcun pagamento, sia nell’ipotesi di prosecuzione dell’impresa in crisi, che in quella alternativa della liquidazione giudiziale. Di conseguenza, per ottenere l’omologa del concordato, era necessario l’intervento una classe che, utilizzando le parole del tribunale di Bergamo, poi riprese similmente nella sentenza in esame, «sia per così dire “maltrattata” nella proposta concordataria e pur tuttavia sia fiduciosa nella bontà della proposta di “rilancio” dell’impresa».

In definitiva, nel caso deciso dalla Cortelombarda, la classe individuata come svantaggiata doveva essere una classe di creditori che fosse di rango maggiore rispetto ai chirografari, cui la proposta avesse offerto un trattamento economico svantaggioso, rispetto al trattamento che sarebbe loro spettato distribuendo – in base alle cause legittime di prelazione – l’intero attivo concordatario e che, infine, nonostante il palese trattamento deteriore, la detta classe avesse scelto di votare favorevolmente alla proposta.

Già dai primi commenti si era sottolineato che l’orientamento, assunto dal tribunale di Bergamo, non fosse propriamente convincente, evidenziando come mal si conciliasse con il rispetto congiunto dell’ art. 112, 2º comma, lett. a), C.C.I.I. «talché sia fattualmente (e giuridicamente) impossibile immaginare un campo di esistenza ove, contemporaneamente, da un lato, il debitore abbia a proporre un piano in cui ‘‘il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione’’ e, dall’altro, imporre una ristrutturazione trasversale alla occorrenza del voto di una classe con cui, inequivocabilmente, sia sancita una lesione, pur volontaria, della par condicio.»

D’altronde, ritenendo il cross class cram down applicabile solo ai creditori privilegiati, nel momento in cui l’art. 112, lett. d), seconda parte, non effettua nessun tipo di riferimento alla natura privilegiata dei crediti inseriti nella classe considerata “svantaggiata”, il cui voto è necessario ai fini dell’omologa del concordato in continuità (come è, invece, chiarito nella prima parte), evidenziava una prima notevole difformità.

In aggiunta a questo si addiverrebbe, come già indicato, all’impossibilità, sempre e comunque, di procedere alla applicazione dell’art. 112 co. 2in quanto, una proposta di concordato che prevedesse, anche solo per alcuni creditori, un trattamento pregiudizievole rispetto a quello conseguibile all’esito della liquidazione giudiziale, non sarebbe neppure ammissibile ai sensi dell’art. 87 CCII.

Sulla consapevolezza, probabilmente, di tali critiche, il tribunale di Mantova, pur scegliendo di seguire tale orientamento, allo stesso tempo ne prende le distanze. Dalla sentenza emerge che sia possibile procedere all’«omologazione del concordato ove esso abbia ottenuto l’approvazione di una classe di creditori interessata e cioè almeno di quella che, in caso di omologazione del concordato (senza quindi alcuna comparazione con l’ipotesi della liquidazione giudiziale a cui non fa cenno né la norma nazionale né quella unionale), percepirebbe meno di quanto otterrebbe nell’ipotesi della distribuzione del valore nel rigoroso rispetto della graduazione anche sul surplus di continuità».

In sostanza, si contrappone all’orientamento del tribunale di Bergamo addivenendo alla conclusione, che viene condivisa anche da parte della dottrina, tale per cui, il termine di riferimento per valutare se i creditori della classe siano considerati “svantaggiati” o meno, non debba essere quello dell’alternativa della liquidazione giudiziale, ma quello del concordato preventivo in continuità aziendale con applicazione della regola della priorità assoluta su tutto il valore.

Tra i motivi che in dottrina, riassumendo, hanno portato a sostenere una tale teoria, ribadita nella sentenza in esame, vi si può collocare:

  • il fatto che la liquidazione giudiziale non sia mai citata all’interno dell’art. 112, comma 2, lett. d), CCII. A maggior ragione, tenuto conto che il CCII dove aveva intenzione di farlo, ha indicato la liquidazione giudiziale o l’alternativa liquidatoria come termine di comparazione ai fini del trattamento del creditore come nei casi, ex multis, ex artt. 87, comma 3; 88, comma 2 bis; 112, comma 3, CCII;
  • si parla espressamente di “valore eccedente quello di liquidazione” tale per cui si prevede obbligatoriamente, di considerare quel plusvalore della continuità, che il concordato preventivo consente di acquisire a differenza della liquidazione giudiziale;
  • riprendendo l’art. 11, comma 1, Dir. UE 1023/2019, dalla quale sorge la stessa ristrutturazione trasversale, si sancisce, esplicitamente, che il voto favorevole va necessariamente espresso dalla classe “diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale”.

L’alternativa, che la Direttiva sottopone alla scelta del legislatore nazionale è la comparazione basata sul debitore “in regime di continuità aziendale” oppure “il normale grado di priorità di liquidazione”. In Italia si è optato per la prima ipotesi.

In conclusione, sembrerebbe essere questo l’orientamento, quello dei giudici mantovani, attualmente, maggioritario e, forse, più coerente con il dettato unionale. A conferma di ciò, anche la recente sentenza del tribunale di Bari pare aver confermato, come già anticipato in conclusione del paragrafo precedente, tale ultimo orientamento. Sono comunque rari i provvedimenti che abbiano affrontato tale tema. Vale la pena ricordare, quanto sostenuto da Larino che, pur indirettamente, statuisce, rispetto alla lettera d) dell’art.112 CCII che «risultano soddisfatte entrambe le condizioni alternativamente richieste dalla norma, atteso che la proposta risulta approvata sia da una maggioranza di classi contenente, al suo interno, una classe titolare di diritti di prelazione (rappresentata, nel caso di specie, dalla classe n. 4 “Creditori previdenziali privilegiati”) e sia dalla classe n. 7 “Tributi locali privilegiati degradati al chirografo”, la quale è una classe di creditori che è parzialmente soddisfatta, nel rispetto delle cause legittime di prelazione, sul valore eccedente quello di €. 4.660.586,51 (ossia il valore di liquidazione, attribuito, come detto, alle classi 1, 2, 3, e 4 e in parte alla classe n. 5)». Tale affermazione testimonia, in ragione della corretta suddivisione delle due alternative indicate dalla lettera d), di aderire all’interpretazione del tribunale di Mantova, in quanto il riferimento da una parte è al rispetto della maggioranza con il voto di almeno di una classe privilegiata dall’altro, all’ottenimento dell’approvazione di una classe che sarebbe almeno parzialmente soddisfatta, rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione: una classe che risulta essere diversa e distinta da quella titolare di diritti di prelazione.

 

5. Conclusioni

La sentenza, in conclusione, mostra notevoli caratteri di novità riguardanti il cross class cram down ex art.112 co.2 lett. d). Nello specifico, ribadire le due possibilità con cui sia possibile accedere all’omologazione in assenza di unanimità, nel caso di concordato in continuità, ha sicuramente consolidato l’orientamento maggioritario oltre che aver, forse, reso più agevole l’accesso a tale strumento. Anche l’interpretazione fornita sul concetto di eccedenza, pur avendo riscontrato subito orientamenti di segno opposto, ha affrontato da vicino un problema di particolare rilevanza e ne ha avviato il dibattito, nell’attesa di ulteriori orientamenti per prendere una posizione certa. Al contrario, sull’individuazione delle classi svantaggiate, il giudice mantovano ha avviato un orientamento conforme a quello di stampo dottrinale, che sta trovando ulteriori conferme con nel caso riportato ad esemplificazione, poco sopra.

Quello che, sicuramente, dà valore a tale pronuncia è che, nell’incertezza relazionata alle novità introdotte con il codice della crisi, abbia sicuramente contribuito a restituire una ricostruzione alquanto puntuale dell’istituto.

 

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