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Occhio alla sentenza 6780/2022 del 2 agosto scorso del Consiglio di
Stato perché di fatto è un compendio di svariate regole del Testo Unico
Edilizia, tra i quali l’agibilità, l’accertamento di conformità per la sanatoria, il condono edilizio.

Partiamo
quindi dall’inquadramento del ‘fatto’, un ricorso contro una sentenza
del 2017 con cui il Tar Puglia, sede di Lecce, ha rigettato il ricorso
di primo grado e i relativi motivi aggiunti, proposti (dagli odierni
appellanti) avverso i provvedimenti assunti dal Comune e dalle altre
Amministrazioni resistenti, riferiti a procedimenti di condono,
di agibilità, di accertamento di conformità, di compatibilità
paesaggistica, di demolizione, di sospensione dell’attività di
stabilimento balneare e di revoca delle autorizzazioni commerciali
,
nonché di determinazione dell’indennità di occupazione, aventi ad
oggetto lo svolgimento dell’attività di stabilimento balneare.

I motivi di appello

Secondo quanto dedotto in appello, in particolare, sono stati censurati in primo grado:

  • il diniego del rilascio dell’agibilità
    allo stabilimento balneare, assunto con provvedimento comunale,
    asseritamente illegittimo perché adottato in pendenza del procedimento
    di condono e, comunque, contraddittorio, risultando la struttura in
    possesso del nulla osta igienico sanitario e di tutte le certificazioni
    sulla sicurezza e conformità degli impianti;
  • il diniego di condono edilizio,
    intervenuto a distanza di oltre trenta anni dall’avvio del
    procedimento, incentrato su relazioni e pareri ritenuti erronei in
    ordine sia alla datazione dell’abuso, sia alla tipologia delle strutture
    esistenti;
  • il diniego di accertamento di conformità ex art. 36 DPR 380/2001, analogamente assunto sulla base di pareri generici e immotivati;
  • le ordinanze di demolizione,
    di sospensione dell’attività di stabilimento balneare e di revoca delle
    autorizzazioni commerciali, fondate sui pregressi provvedimenti,
    inficiate da vizi autonomi e di legittimità derivata;
  • gli atti
    prescrittivi del pagamento di indennizzi per occupazione abusiva del
    demanio, fondati sul presupposto – asseritamente erroneo – della
    parziale occupazione, da parte dell’appellante, di un’area demaniale.

Il certificato di agibilità presuppone la conformità delle opere al titolo abiltativo

Secondo i ricorrenti, non vi sarebbe identità di disciplina tra titolo abilitativo edilizio e certificato di agibilità,
tenuto conto che, da un lato, non potrebbe opporsi un diniego di
agibilità soltanto sulla base della supposta difformità dell’immobile
dal progetto approvato; dall’altro, il rilascio del certificato di
agibilità non potrebbe impedire l’esercizio del potere repressivo di
abusi edilizi in concreto riscontrati.

In ogni caso, il Tar
avrebbe dovuto accertare l’avvenuta formazione del silenzio assenso
sulla richiesta di parte, ai sensi di quanto previsto dall’art. 25, comma 4, Testo Unico Edilizia nella formulazione ratione temporis applicabile nella specie.

Per Palazzo spada la tesi non regge, visto che:

  • l’art. 24 del Testo Unico Edilizia, nella formulazione ratione temporis applicabile
    alla specie, tenuto conto della data di adozione del provvedimento di
    diniego impugnato in prime cure, prevedeva che: “Il certificato di
    agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
    salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli
    stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente
    “;
  • il successivo art. 25 poi, nell’elencare le declaratorie a corredo della richiesta, menzionava espressamente la “conformità dell’opera rispetto al progetto approvato“, e, dunque, la sua regolarità edilizia e, conseguentemente, urbanistica.

Il
D. Lgs. 222/2016, che ha ricondotto la certificazione al regime della
segnalazione certificata di inizio attività-SCIA, ha confermato la rilevanza del requisito della conformità edilizia ed urbanistica, prevedendo – nel sostituire l’art. 24 del dpr 380/01 – la conformità dell’opera al progetto presentato” tra quanto deve essere attestato dal tecnico asseverante all’atto della presentazione della dichiarazione.

Alla
stregua del quadro normativo di riferimento, emerge che, sebbene il
permesso di costruire ed il certificato di agibilità svolgano
effettivamente funzioni differenti, mirando alla tutela di beni
giuridici non coincidenti – il certificato di agibilità, in particolare,
ha la funzione di accertare la realizzazione dell’immobile secondo le
norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo
edilizio è finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme
edilizie ed urbanistiche (Consiglio di Stato Sez. VI, 29 novembre 2019,
n. 8180) – il certificato di agibilità presuppone, comunque, la conformità delle opere realizzate al titolo edilizio abilitativo.

Ne
deriva che l’Amministrazione, in sede di rilascio del certificato di
agibilità, è chiamata a verificare (tra l’altro) la sussistenza della
conformità urbanistica ed edilizia delle opere oggetto dell’istanza di
parte, non potendo provvedere al suo accoglimento a fronte di beni
abusivi.

In definitiva, deve ritenersi che la conformità tra le opere realizzate e il titolo edilizio abilitativo:

  • ove
    erroneamente affermata in sede di rilascio del certificato di
    agibilità, anziché determinare una preclusione del potere di vigilanza
    in materia urbanistica ed edilizia – foriera di un’inammissibile
    sanatoria di opere abusive – non impedisca futuri interventi repressivi
    in relazione ad opere che dovessero risultare non regolarmente
    assentite;
  • ove correttamente esclusa nell’esaminare l’istanza di
    parte, tendente al rilascio del certificato di agibilità, impedisca il
    suo accoglimento, difettando un presupposto del provvedere, non
    potendosi dichiarare agibili immobili abusivi.

Nel caso di specie, una volta riscontrata l’abusività delle opere, prive di titolo edilizio abilitativo (anche in sanatoria), l’Amministrazione ha, dunque, correttamente rigettato l’istanza di parte, difettando un presupposto necessario per rilascio del certificato di agibilità.


La segnalazione certificata di agibilità (SCAgi)

Tutto
sulla Segnalazione Certificata di Agibilità: ambito di applicazione,
quando occorre presentala, quali sono i soggetti legittimati a
presentarla, tempistiche e documenti da allegare.

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L’agibilità e il silenzio assenso

In
merito alla presunta formazione del silenzio-assenso, invece, il
Consiglio di Stato sottolinea che alla stregua di quanto precisato in
materia di agibilità (sez. II, 17 maggio 2021, n. 3836), affinché possa
decorrere il termine per la maturazione del silenzio assenso è necessario che la domanda presentata sia completa delle indicazioni
previste dal comma 1 del medesimo art. 25 del D.P.R. n. 380 del 2001
(ratione temporis applicabile nella specie), ovvero, per quanto qui di
interesse, della declaratoria di conformità al progetto edilizio.

Pertanto,
affinché possa formarsi il silenzio assenso, non è sufficiente il mero
decorso del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia presa
in esame e sia intervenuta risposta dall’Amministrazione, ma occorre, anche, la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge,
ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce
l’avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso
non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia
conforme a quella normativamente prevista (tra gli altri, Consiglio di
Stato, sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 506).

Con riferimento alla materia in esame, alla stregua di quanto sopra osservato, il
potere di rilasciare il certificato di agibilità risultava attribuito
soltanto con riferimento ai beni conformi sul piano urbanistico ed
edilizio
: la presentazione dell’istanza di parte per ottenere
un certificato di agibilità in relazione ad immobili abusivi (perché non
assistiti da titolo edilizio e ancora non sanati con il rilascio del
condono), diversi da quelli previsti dalla disciplina positiva, non
consentiva, dunque, l’integrazione della fattispecie astratta per la
quale risultava ammissibile il rilascio del titolo provvedimentale
e, dunque, la formazione, in suo luogo, del silenzio assenso sull’istanza di parte.


avrebbe potuto argomentarsi diversamente sulla base del possesso del
nulla osta igienico sanitario, trattandosi, comunque, di atto inidoneo a
superare la carenza di (altro) requisito (relativo alla conformità
urbanistico ed edilizia) parimenti necessario per la formazione del
titolo per silentium.

La sanatoria negata e la dimostrazione dei lavori prima del 1967

L’appellante
deduce che il diniego di condono sarebbe illegittimo per violazione
della L. n. 47/85, in quanto, facendosi questione di vincoli posti
successivamente all’intervento edilizio e non risultando carenze nella
produzione documentale, si sarebbe perfezionato il silenzio assenso ai
sensi dell’art. 35 L. n. 47/85.

L’appellante sostiene, inoltre, di avere documentato l’anteriorità delle opere rispetto alla data del 1967, all’uopo invocando “l’unico dato certo esistente più prossimo alla data di realizzazione dei manufatti”, costituito da un’aerofotogrammetria risalente al 1979, attestante la consistenza dei manufatti.

Anche sotto questo aspetto, il ricorso è da respingere, visto che la prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie è posta sul privato e non sull’amministrazione, atteso che solo
il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone)
inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in
grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione
del manufatto
; mentre l’Amministrazione non può, di solito,
materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo
territorio (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 06 febbraio 2019, n.
903).

Tale prova deve, inoltre, essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, “dovendosi,
tra l’altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto
di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non
suscettibili di essere verificate (Cons. Stato, Sez. VI, 4/3/2019, n.
1476; 9/7/2018, n. 4168; Sez. IV, 30/3/2018, n. 2020)
” (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 aprile 2020, n. 2524).

Ne deriva che i
documenti valorizzati dal ricorrente non siano idonei a dimostrare
l’anteriorità delle opere de quibus rispetto alla data del 1967
.

In particolare, l’aerofotogrammetria
del 1979 cristallizza lo stato dell’edificazione esistente alla data
del 1979, ma non consente di presumere che tale stato fosse identico a
quello risalente ad oltre dieci anni prima, in particolare al periodo
anteriore al 1967
.

Il rilevante iato temporale esistente
tra la data valorizzata dall’appellante (1967) e l’aerofotogrammetria
posta a base dell’atto di appello (1979) rende certamente possibile che
le opere fotografate alla data del 1979 (a prescindere dalla loro
coincidenza con le opere rilevanti nell’odierno giudizio) fossero state
edificate nel periodo compreso tra il 1967 e il 1979, con conseguente
inidoneità di tale documento a provare l’anteriorità delle opere in
contestazione rispetto al 1967.

In definitiva, il complessivo
quadro probatorio evidenzia non solo che il ricorrente ha omesso di
dimostrare l’anteriorità al 1967 delle opere oggetto della domanda di
condono – il che già basterebbe per il rigetto delle censure – ma anche
che alla data del 1967 non vi erano opere edili sul fondo nella
disponibilità del ricorrente stesso, risultando acquisiti al giudizio
atti incompatibili con un’attività edilizia a tale data già esaurita.

Tali
considerazioni conducono al rigetto del secondo motivo di appello, sia
nella parte in cui deduce l’anteriorità delle opere de quibus rispetto
al 1967, sia in quella in cui tende a censurare l’illegittimità di una
delle autonome rationes decidendi alla base del diniego di condono, data
dalla violazione della fascia di rispetto stradale imposta con D.M. n.
1404/68.

Il vincolo di inedificabilità assoluta

Difatti,
non risultando dimostrata la datazione delle opere oggetto della
domanda di condono, non risulta comprovata neppure la loro anteriorità
rispetto all’imposizione del vincolo di cui al D.M. n. 1404/68, avente
natura di inedificabilità assoluta e, dunque, ostativo alla sanatoria
delle opere edificate in sua violazione.

Il vincolo
d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha
carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell’opera
realizzata.

Il divieto di costruzione sancito dal D.M. 1º aprile
1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente, al solo scopo di
prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire,
per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza
del traffico e all’incolumità delle persone, ma è correlato alla più
ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei
cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.

Pertanto,
le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che
non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere
sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato,
sez. VI, 30 novembre 2011, n.7975).

Il diniego di accertamento di conformità

Iniziando la disamina dal diniego di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/01, Palazzo Spada ribadisce che l‘onere
nella prova di dimostrare il ricorrere delle circostanze previste dalla
legge per l’accoglimento dell’istanza di sanatoria verte in capo al
richiedente
: “Tale principio è, peraltro, confermato da
granitica giurisprudenza per quanto riguarda specificamente la prova
della data di realizzazione degli abusi al fine dell’applicabilità del
regime di sanatoria, sia esso quello inerente all’ “ordinario”
accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, già
art. 13 della L. n. 47 del 1985, sia esso quello delle “sanatorie
eccezionali” disposte con apposite legge di c.d. condono edilizio
” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2022, n. 358).

Con
particolare riferimento al procedimento di accertamento di conformità
ex art. 36 DPR n. 380/01, l’individuazione puntuale della data di
realizzazione dell’immobile concorre a delineare la fattispecie
costitutiva della sanatoria, occorrendo verificare se le opere
in concreto edificate siano conformi rispetto alla disciplina
urbanistica ed edilizia di riferimento vigente non soltanto al momento
di presentazione della domanda, ma anche al momento dell’edificazione
delle relative opere
.

Come sopra osservato, l’esatta
datazione delle opere non è stata provata dalla parte ricorrente,
invocando la stessa documenti inidonei a dimostrare l’epoca
dell’edificazione.

Tali considerazioni sono sufficienti per
confermare la legittimità del diniego di accertamento di conformità,
tenuto conto che, non avendo la parte istante dimostrato l’esatta
datazione delle opere de quibus, il Comune non avrebbe potuto verificare
(per causa imputabile all’istante) la ricorrenza di un presupposto,
dato dalla conformità delle opere rispetto alla disciplina vigente al
momento della loro realizzazione, necessario per l’accoglimento
dell’istanza di parte.

In ogni caso, l’insussistenza dei
presupposti per la sanatoria delle opere abusive (straordinaria, ai
sensi della disciplina condonistica, nonché ordinaria, ai sensi
dell’art. 36 DPR n. 380/01) esclude ogni interesse dell’appellante a
contestare ipotetiche illegittimità inficianti la valutazione negativa
di compatibilità paesaggistica, non potendo, comunque, provvedersi,
stante l’insanabilità sul piano edilizio ed urbanistico, alla
conservazione delle opere per cui è causa (pure ove, in ipotesi,
compatibili con le esigenze di tutela sottese all’imposizione del
vincolo paesaggistico).

Ordine di demolizione: a chi può essere notificato?

Ai sensi dell’art. 31 dpr 380/01, l’ordinanza di demolizione
non deve essere notificata esclusivamente all’attuale proprietario,
essendo tenuto al ripristino anche il responsabile dell’abuso
.

Nella
specie, l’ordinanza di demolizione è stata notificata al ricorrente “in
qualilo stesso avesse trasferito – alla data di notificazione
dell’ordinanza – la titolarità dei beni de quibus, lo stesso avrebbe
comunque dovuto ritenersi passivamente legittimato a ricevere la
comunicazione del provvedimento amministrativo in qualità di
responsabile dell’abuso, essendo in tale veste parimenti tenuto al
ripristino dello stato dei luoghi antecedente alla commissione
dell’illecito edilizio.

Né potrebbe ritenersi che l’omessa
notificazione dell’ordine di demolizione (anche) al soggetto
proprietario influisca sulla legittimità del provvedimento repressivo,
facendosi questione di circostanza afferente al solo piano
dell’efficacia e, in particolare, alla idoneità dell’ordine di
demolizione a produrre effetti nei confronti di soggetti che, sebbene
passivamente legittimati, non abbiano ricevuto la comunicazione del
provvedimento sanzionatorio (Consiglio di Stato, sez. VI, 24 luglio
2020, n. 4745).

L’omessa notificazione dell’ordine di demolizione
al proprietario, in particolare, impedirebbe all’Amministrazione di
invocare nei confronti del titolare un atto allo stesso non indirizzato,
ma non potrebbe tradursi in un vizio di legittimità del provvedimento
sanzionatorio assunto nei confronti del responsabile dell’abuso.

 

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