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Tutte le opere aggiuntive non autorizzate che
vengono conseguite su un immobile abusivo già
oggetto di istanza di condono, sono sempre
assoggettabili a sanzione demolitoria.

Difatti, fino a quando non sopraggiunga l’esito della richiesta,
il proprietario non può realizzare altri interventi – a prescindere
dall’entità degli stessi e dalla categoria alla quale appartengano
– in quanto si configurerebbero solo come una prosecuzione
dell’indebita attività edilizia pregressa, per la
quale il Comune è obbligato ad emettere il provvedimento di
ripristino dei luoghi.

Lavori abusivi post condono: demolibili a prescindere
dall’entità

A spiegarlo è il TAR Campania con la sentenza
del 27 febbraio 2024, n. 1298
, con cui ha rigettato il
ricorso per l’annullamento dell’ordine di demolizione emesso in
relazione ad opere edilizie conseguite su un immobile già oggetto
di istanza di condono ai sensi della Legge n. 326/2003 (c.d.
Terzo Condono Edilizio“).

Le opere in questione hanno comportato il completamento
e ampliamento
del manufatto abusivo, in particolare
con aggiunta delle rifiniture; costruzione di una tettoia di circa
50 mq e di un locale deposito di circa 25 mq; installazione di
cancelli in ferro; realizzazione di pavimentazione esterna in
battuto di cemento e pietra.

I giudici chiariscono innanzitutto che in seguito alla
presentazione dell’istanza di condono, l’immobile abusivo non può
essere oggetto di ulteriori lavori, con la sola eccezione di quanto
previsto dall’art. 35 della Legge n. 47/1985 (Primo Condono
Edilizio), che concede al proprietario – decorsi 120 giorni dal
deposito della richiesta e comunque in seguito al pagamento della
seconda rata di oblazione – la possibilità di conseguire meri
lavori di rifinitura e completamento sotto la propria
responsabilità. Anche in quel caso, tuttavia, la normativa impone
che l’interessato debba preventivamente notificare
al Comune le sue intenzioni – allegando perizia giurata o
documentazione che attesti data certa in ordine allo stato dei
lavori abusivi – e, solo dopo 30 giorni da tale notificazione, i
lavori possono essere avviati. 

Al di fuori di quanto stabilito dall’art. 35 citato, tutti gli
interventi che vengono realizzati su un fabbricato già oggetto di
istanza pendente sono considerati abusi al pari di quelli
originariamente realizzati, a prescindere dalla loro effettiva
entità e dalle categorie di interventi in cui si classificano ai
sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico
Edilizia).

Anche quando si dovesse trattare di lavori minimi o solo
pertinenziali, infatti, il proprietario starebbe proseguendo
l’indebita attività edilizia già messa in atto, ripetendo le
caratteristiche di illiceità dell’opera principale; condizione per
la quale l’Amministrazione non solo ha la facoltà, ma ha anche
l’obbligo, di disporre la demolizione delle opere.

Demolizione sospesa per condono: non si applica agli abusi
aggiuntivi

A nulla sono valse le ulteriori contestazioni del ricorrente,
relative alla mancata comunicazione dell’emissione del
provvedimento demolitorio e al fatto che l’ordine di demolizione
sia stato emesso prima che l’Amministrazione si pronunciasse
sull’istanza di condono.

A tal proposito, i giudici ribadiscono che la procedura di
ingiunzione alla demolizione di illeciti edilizi non richiede che
il soggetto interessato riceva alcuna comunicazione in proposito,
né prevede che egli sia coinvolto.

In quanto poi al secondo punto, si conferma che il procedimento
di repressione dell’abuso viene sospeso in presenza di un’istanza
di condono correttamente depositata, ma tale disposizione riguarda
esclusivamente le opere oggetto della richiesta,
mentre non si applica in alcun modo ad eventuali interventi
aggiuntivi che l’interessato decide di conseguire illecitamente
sull’immobile dopo aver presentato la domanda di sanatoria.

Il TAR condivide quindi l’operato del Comune, sottolineando
peraltro che le opere in questione sono state realizzate
all’interno di un’area sottoposta a vincoli paesaggistici e
ambientali ai sensi del D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio), in totale assenza di qualsiasi titolo
edilizio e di autorizzazione paesaggistica; accentuando
ulteriormente l’entità degli illeciti e l’efficacia del
provvedimento di ripristino. 

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