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A Beirut apre una banca intitolata al prestito per i poveri previsto dal Corano. Ma dietro c’è Hezbollah. E l’innovazione che ha portato Mohammad Yunus al Premio Nobel rivela i rischi legati alle sue radici religiose. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale arabo-islamica

Cosa c’è di più buono del microcredito? Cosa può fare di male la forma di prestito ai poveri che è valsa il premio Nobel per la pace al bengalese Mohammad Yunus? Ci sono rischi anche qui: almeno quando l’iniziativa è direttamente legata al mondo islamico.

 

Siamo a Beirut, martoriata capitale libanese che un tempo era il paradiso di banche e banchieri. Qui nei giorni scorsi, una banca araba ha aperto una nuova filiale. La banca si chiama “al-Qard al-hasan”, che è il nome tecnico di una forma di elemosina molto simile al microcredito prevista dalla tradizione islamica.

 

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La novità è stata accolta con allarme da chi conosce bene la situazione locale: a partire da “L’Orient-Le jour”, il più noto quotidiano libanese. Il problema è che quella banca è legata a Hezbollah, organizzazione paramilitare sciita potentissima non solo in Libano ma in gran parte del Medio Oriente. Attraverso il microcredito, secondo il giornale libanese Hezbollah approfitta della crisi sempre più grave per cercare di allargare la sua influenza in quartieri di Beirut che sono ancora fuori dal suo controllo.

 

La notizia offre lo spunto per parlare della versione islamica del microcredito. “Al qard al hasan”, “il bel prestito”, è una forma di “elemosina costruttiva” prevista dal Corano: non è un dono ma un aiuto dato a poveri e bisognosi, e destinato a essere restituito in breve tempo e senza interessi. Certo, il Corano non vieta che chi ha ricevuto il dono possa a sua volta aumentare la somma restituita, some segno di riconoscenza. Ma questo non deve essere assolutamente richiesto, né previsto dal contratto iniziale. Gli interessi, in arabo “riba”, sono vietati dalla finanza islamica: e questo differenzia il “qard al hasan” dal microcredito, che invece prevede interessi che permettono di coprire le spese e i rischi di chi presta i soldi.

 

È facile pensare che sia venuta anche da qui l’ispirazione della Grameen Bank, la centrale di microprestiti fondata nel 1976 da Yunus (che, ricordiamolo, porta il nome del Profeta). Anche se lui non ne ha mai parlato e ha spiegato semplicemente: «Abbiamo visto come si comportavano le banche, e abbiamo fatto il contrario». Hanno prestato i soldi ai poveri e non ai ricchi, a chi non trovava nessun ascolto in banca invece che ai finanzieri di lungo corso.

 

Oggi la banca ha oltre due milioni di clienti in quasi quarantamila villaggi del Bangladesh, e vanta due record: il 98 per cento dei prestiti viene restituito, e il 94 per cento delle persone alle quali viene accordato il prestito sono donne. E non si limita a procurare soldi, ma richiede dai clienti l’adesione a una serie di regole, le “Sedici decisioni”, che portano a un miglioramento delle condizioni di vita: dalla cura delle abitazioni e degli orti al controllo delle nascite, dall’istruzione per i figli al rifiuto della “maledizione della dote” e delle “spose bambine”, dall’attenzione all’acqua potabile alla costruzione di latrine igieniche. Un modello che ha ispirato una quantità di iniziative da parte di associazioni e onlus in tutto il mondo, e corsi e cattedre anche a Firenze e Bologna.

 

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