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Con il decreto di riforma della riscossione, approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri del 3 luglio 2024 in attuazione della legge di delega fiscale (L. 111/2023), stando alla bozza circolata, viene ampliata la casistica in ordine alle ipotesi tassative di impugnazione del ruolo.
Tecnicamente si tratta dell’impugnazione della cartella di pagamento non validamente notificata conosciuta mediante l’estratto di ruolo, che è relegata alle ipotesi tassative previste dall’art. 12 comma 4-bis del DPR 602/73 (inserito dall’art. 3-bis comma 1 del DL 146/2021).

Nella versione in vigore della norma l’impugnazione del ruolo è subordinata alla dimostrazione che il carico può:
– pregiudicare la partecipazione a gare di appalti pubblici ai sensi dell’art. 80 comma 4 del DLgs. 50/2016;
– compromettere i pagamenti delle pubbliche amministrazioni mediante attivazione delle procedure di blocco (cfr. l’art. 48-bis del DPR 602/73);
– comportare la perdita di un beneficio nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.

A queste ipotesi relegate ai rapporti con la Pubblica Amministrazione si aggiungono nuove casistiche, che attengono a rapporti anche tra soggetti privati. Si tratta di un pregiudizio che al debitore possa derivare:
– nell’ambito delle procedure previste dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al DLgs. 14/2019;
– in relazione a operazioni di finanziamento da parte di soggetti autorizzati;
– nell’ambito della cessione dell’azienda, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 14 del DLgs. 472/97.
Quanto alla rilevanza delle procedure previste dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, rileverebbe astrattamente l’impugnazione del ruolo, ad esempio, a opera del curatore del fallimento onde escludere dal passivo carichi non notificati oppure rileverebbe il pregiudizio a ottenere un finanziamento per l’imprenditore gravato da un’iscrizione ipotecaria (in senso opposto cfr. Cass. 25 ottobre 2022 n. 31561).

Ancora, infine, rileverebbe l’impugnazione dell’estratto di ruolo in assenza della notifica delle cartelle di pagamento non solo per il cedente, ma anche per il cessionario dell’azienda, quale responsabile in solido per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti.

Sebbene l’ampliamento della casistica sia da salutare con favore le perplessità rimangono.

Dubbi sull’applicazione della norma

In primis perché rimane pur sempre una tutela relegata a casi specifici che, dunque, esclude altre fattispecie che ne avrebbero altrettanta dignità. Ad esempio, rimane sprovvisto di tutela il contribuente lavoratore dipendente nel privato che dovrà attendere un provvedimento impugnabile in mancanza della notifica della cartella di pagamento e, nelle more, subire gli effetti lesivi della riscossione coattiva (salvo dimostri che il ruolo inibisce l’ottenimento di finanziamenti bancari).

In secundis dubbi si profilano in ordine all’applicazione della norma ai processi pendenti. Infatti, stante la pronuncia delle Sezioni Unite n. 26283 del 6 settembre 2022, che ha sancito la retroattività del comma 4-bis dell’art. 12 del DPR 602/73 (introdotto dal DL 146/2021), censurando con l’inammissibilità tutti i ricorsi pendenti che si ponevano al di fuori della casistica di detto comma 4-bis, coesione vorrebbe che la novità del decreto riscossione si applicasse anche ai giudizi in corso, ma sarà tutto da vedere.

Ciò che desta maggiore perplessità è però, a parere di chi scrive, l’orientamento espresso dalla recente ordinanza della Cassazione n. 17606 del 26 giugno 2024, secondo cui ai fini dell’ammissibilità della diretta impugnazione della cartella di pagamento conosciuta mediante l’estratto di ruolo l’interesse ad agire va valutato in base a un pregiudizio concreto e attuale, ovvero da verificare nel momento in cui l’organo giudicante è chiamato a decidere.
Quindi, il pregiudizio potenziale non sarebbe comunque idoneo ai fini dell’impugnazione del ruolo, ma viene richiesta la sussistenza di un pregiudizio già verificatosi.

Di fatto, se questo orientamento si fa strada, la diminuzione di tutela che ne consegue è talmente rilevante che l’intervento normativo rischia di essere nei fatti già parzialmente vanificato.
Ciò con buona pace delle problematiche sinora evidenziate: infatti, diverrebbe, in taluni casi, superfluo stabilire se la nuova norma è retroattiva o meno se questa si applica solo a pregiudizio avvenuto e non al pregiudizio potenziale.

 

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