L’ultima parola sulla vicenda Embraco la scrive il giudice Roberta Cosentino con una sentenza che accoglie l’accordo raggiunto tra Procura e difesa per un patteggiamento a 4 anni. La pena, che in base alla riforma Cartabia potrà essere scontata con misure alternative al carcere, non prevede l’obbligo di risarcimento alle vittime. E in questo caso le vittime sono gli operai che per anni hanno creduto invano nel rilancio dell’azienda di Riva di Chieri. Gli imputati sono i vertici di Ventures, la società che nel 2018 avrebbe dovuto salvare il polo industriale e che in realtà lo hanno lasciato morire.
La fabbrica
L’inchiesta del procuratore aggiunto Marco Gianoglio è la parabola negativa della fabbrica dove un tempo si realizzavano gli elettrodomestici Whirlpool. Nel 2018 venne dismessa dalla casa madre e ceduta a una nuova società, la Ventures. Gli imprenditori avevano a disposizione un finanziamento di 20 milioni di euro (garantito da Embraco Europe) con il quale avrebbero dovuto rilanciare la fabbrica attraverso la produzione di pannelli fotovoltaici. I progetti, sulla carta, apparivano concreti e l’intera operazione ebbe il benestare del Mise e della Regione Piemonte. Nei mesi successivi, però, la realtà si manifestò in tutta la sua crudezza.
Le attese degli operai
Mentre i lavoratori attendevano di veder decollare un piano industriale (che avrebbe dovuto garantire anche i livelli occupazionali), gli amministratori di Ventures acquistavano auto di lusso e cannibalizzavano i conti correnti della società. E sono questi gli imprenditori (difesi dall’avvocato Ivan Colgiago) a processo: il presidente di Ventures Gaetano Di Bari, i figli Alessandra e Luigi, il consulente Carlo Noseda. L’accusa è di bancarotta fraudolenta. Inizialmente la proposta di patteggiamento era a tre anni, ma poi è stata innalzata a 4. Grazie anche alle proteste dei lavoratori di parte civile, che non otterranno alcun risarcimento economico. Ma solo morale.
Le reazioni
«In una scelta unilaterale degli imputati rispetto alla quale non abbiamo poteri di veto, le nostre rivendicazioni hanno trovato comunque riscontro da parte del giudice, che non ha accettato l’originaria proposta del minimo della pena», affermano il segretario organizzativo Uilm Torino, Vito Benevento, e l’avvocato della Uilm, Andrea De Carlo. «È un segnale importante per questo Paese – sottolineano Benevento e De Carlo – anche se il giudice ha accettato il patteggiamento. I furbetti che pensano di trattare i lavoratori con disprezzo, prendendoli in giro, sottraendo loro le speranze, la dignità e i sogni di un nuovo lavoro, devono sapere che troveranno la Uilm a difenderli sempre insieme con le loro famiglie. Il governo deve sostenere le procedure di transizione green anche per le nuove reindustrializzazioni, per le quali ci auguriamo che fatti del genere non accadano più», concludono Benevento e De Carlo.
«La vicenda Embraco rappresenta il fallimento del nostro Paese nell’affrontare le crisi industriali: piani di reindustrializzazione privi di fondamento e presentati da soggetti che consapevolmente li affossano per trarne profitti indebiti si stanno ripetendo in Italia». Così Ugo Bolognesi, Fiom Torino. «Nonostante la normativa non attribuisca alle parti civili nessun potere di incidere sulla decisione del Tribunale – prosegue il sindacato- abbiamo di nuovo illustrato, come già avevamo fatto alla scorsa udienza, il nostro dissenso alla concessione del patteggiamento in assenza di un qualsiasi riconoscimento dei gravissimi danni che i reati commessi dagli imputati hanno prodotto ai lavoratori e alle loro organizzazioni e per questo motivo non possiamo dirci soddisfatti della sentenza. Valuteremo eventuali ulteriori azioni».
Il quinto indagato
Nella prima fase investigativa compariva un quinto indagato, un imprenditore israeliano che poi si era reso irreperibile. Ora è stato rintracciato e la Procura gli notificherà un avviso di chiusura indagini. Per lui si procederà separatamente.
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