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Breve analisi delle criticità che caratterizzano la fattispecie afferente al cambio di destinazione d’uso senza opere all’interno della stessa categoria funzionale e la rilevanza della disciplina vigente a livello comunale che, alla luce delle novità introdotte dal decreto Salva Casa, può contenere delle limitazioni specifiche ed ulteriori, rispetto alla normativa vigente a livello nazionale.

Cambio di destinazione d’uso senza opere: introduzione e categorie funzionali

Il cambio di destinazione d’uso di un immobile può essere definito come la pratica amministrativa che è necessario istruire al fine di conseguire il mutamento della destinazione urbanistica del medesimo, ossia della funzione che ad esso è assegnata sulla base delle caratteristiche strutturali che lo connotano.

Della fattispecie si occupa espressamente l’articolo 23 ter del d.P.R. 380/01, introdotto dall’art. 17, comma 1, lettera n), legge n. 164 del 2014, che, fatte salve le previsioni eventualmente differenti contenute nelle leggi regionali, indica come mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti quelli che interessano l’immobile nel suo complesso, o le singole unità immobiliari che lo compongono, indipendentemente dall’esecuzione di opere edilizie, e che ne determinano il passaggio da una delle categorie funzionali espressamente previste dal TU dell’edilizia ad un’altra.

Ai sensi del primo comma dell’articolo in questione, le categorie funzionali rilevanti ai fini della nostra analisi sono:

  • (a) residenziale;
  • (a-bis) turistico-ricettiva;
  • (b) produttiva e direzionale;
  • (c) commerciale;
  • (d) rurale.

Ovviamente, è necessario fare due precisazioni:

  • la destinazione d’uso urbanisticamente rilevante non è quella che si ricava dai dati catastali, ma è quella che si ricostruisce per effetto delle pratiche che definiscono lo stato legittimo dell’immobile, come chiaramente evidenzia il numero 2) dell’articolo 23 ter del d.P.R. 380/01;
  • la variazione urbanisticamente rilevante non coincide necessariamente con un incremento di volumi e/o di superfici dell’immobile oggetto di trasformazione (più o meno intensa), ma, piuttosto, si determina ogniqualvolta muta la qualità e/o la quantità dei servizi collegati all’immobile medesimo, e dei suoi fruitori, tanto che la destinazione originaria non sarebbe più adeguata a soddisfarli appieno.

Il cambio di destinazione d’uso con opere o senza opere

Premessa la difficoltà logica e concettuale di immaginare un intervento che determini il mutamento di destinazione d’uso di un immobile in assenza totale di opere edilizie, ed evidenziando che sul punto il Legislatore avrebbe probabilmente potuto essere più chiaro, dando dei parametri di riferimento maggiormente precisi, distinguiamo comunque due tipologie di mutamento d’uso: con o senza opere.

Il primo (mutamento di destinazione d’uso con opere) si verifica quando l’immobile è oggetto di un intervento invasivo di ristrutturazione o di ampliamento, che ne determina il passaggio da una categoria funzionale all’altra e presuppone l’ottenimento dei necessari permessi edilizi dalle competenti autorità (da locale commerciale a residenza).
Il secondo, viceversa, (mutamento d’uso senza opere), si verifica quando l’immobile viene si modificato, ma senza che ad esso siano apportati cambiamenti strutturali o edilizi rilevanti, restando, generalmente, all’interno della medesima categoria funzionale (si pensi, ad esempio, da studio professionale ad abitazione).

Il cambio d’uso senza opere e la nuova disciplina introdotta dal DL 69/2024

Il Legislatore è intervenuto in proposito inserendo nel previgente testo dell’articolo 23 ter del d.P.R. 380/01 ben quattro commi, di seguito riportati, ai fini di una più completa analisi, attraverso l’art. 1, comma 1, lettera c), numero 1), del decreto-legge n. 69 del 2024:

“1-bis. Il mutamento della destinazione d’uso della singola unità immobiliare senza opere all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito, nel rispetto delle normative di settore, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni.

1-ter. Sono altresì sempre ammessi il mutamento di destinazione d’uso senza opere tra le categorie funzionali di cui al comma 1, lettere a), a-bis), b) e c) di una singola unità immobiliare ubicata in immobili ricompresi nelle zone A), B) e C) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, ovvero nelle zone equipollenti come definite dalle leggi regionali in materia, nel rispetto delle condizioni di cui al comma 1-quater e delle normative di settore e ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni.

1-quater. Per le singole unità immobiliari, il mutamento di destinazione d’uso di cui al comma 1-ter è sempre consentito, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, qualora il mutamento sia finalizzato alla forma di utilizzo dell’unità immobiliare conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile. Il mutamento non è assoggettato all’obbligo di reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale previsto dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e dalle disposizioni di legge regionale, né al vincolo della dotazione minima obbligatoria dei parcheggi previsto dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150. Per le unità immobiliari poste al primo piano fuori terra il passaggio alla destinazione residenziale è ammesso nei soli casi espressamente previsti dal piano urbanistico e dal regolamento edilizio.

1-quinquies. Ai fini di cui ai commi 1-bis e 1-ter, il mutamento di destinazione d’uso è soggetto alla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ferme restando le leggi regionali più favorevoli. Restano ferme le disposizioni del presente testo unico nel caso in cui siano previste opere edilizie”.

Come si può intuire, si tratta di un intervento tutt’altro che generico e dall’efficacia genericamente sanante, nel senso che intanto il mutamento d’uso in assenza di interventi edilizi, all’interno di una medesima categoria funzionale è sempre consentito, in quanto siano osservate precise e rigide condizioni.

Le prescrizioni del decreto Salva Casa

La prima riflessione che sorge spontanea riguarda l’importanza che la nuova versione dell’articolo 23 ter del d.P.R. 380/01, come modificato dal DL 69/204, attribuisce alla potestà normativa dei Comuni.

L’articolo in oggetto, infatti, nell’affermare il principio della libertà del cambio di destinazione d’uso all’interno della medesima categoria funzionale senza la realizzazione di opere edilizie, non solo presuppone il rispetto della normativa di settore (con ciò ribadendo implicitamente la necessità di attenersi al contenuto inderogabile di tutte le disposizioni aventi incidenza diretta in materia), ma riconosce espressamente la possibilità, per gli strumenti urbanistici comunali, di contenere disposizioni integrative o sostitutive rispetto alla disciplina prevista a livello statale.

Con le disposizioni regolamentari vigenti a livello territoriale, dunque, ci si dovrà confrontare in via del tutto preliminare, prima di procedere al mutamento d’uso in commento.

Altrettanto interessanti, sono, poi, gli ulteriori tre elementi, che limitano la possibilità di effettuare liberamente il cambio di destinazione d’uso senza opere:

  1. all’interno delle categorie funzionali di tipo residenziale, turistico-ricettivo, produttivo/direzionale e commerciale, alle (sole) singole unità immobiliari ubicate nei centri storici e residenziali, di cui al DM 1444/68, ovvero alle zone equivalenti, individuate nella legislazione regionale o comunale
  2. alle singole unità immobiliari ubicate all’interno di un determinato edificio
  3. per le unità poste al primo piano fuori terra, alla specifica previsione contenuta in tal senso negli strumenti urbanistici comunali.

La rilevanza della destinazione prevalente ed il regime amministrativo richiesto

Ancora, di difficile interpretazione, l’assunto contenuto nel numero 1) quater dell’articolo 23 ter del d.P.R. 380/01, per il quale il mutamento in oggetto, può avvenire liberamente solo qualora esso sia finalizzato a trasformare l’immobile sul quale si interviene in maniera conforme alla destinazione prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’edificio (in realtà, la norma, con una infelice formulazione, parla letteralmente di “(…) unità immobiliari presenti nell’immobile”), in quanto, evidentemente e per ciò stesso, si pone un limite alla modifica, che, dunque, non è più libera, atteso che nella destinazione prevalente delle altre unità si individua un paletto non superabile.

Infine, un ultimo cenno (solo per esigenze di sintesi) merita la novità introdotta dal numero 1) quinquies della norma in commento, posto che, verificato rigorosamente il rispetto di tutte le condizioni richiamate, prima fra tutte l’osservanza della normativa di settore e di quella vigente a livello comunale, il mutamento di destinazione d’uso è soggetto alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

Osservazioni conclusive

In conclusione, ferma restando la perplessità che suscita questo nuovo intervento del Legislatore nel suo complesso, due ulteriori notazioni:

  • Non è corretto pensare di legittimare mansarde, sottotetti, soppalchi o verande, rendendoli abitabili ricorrendo all’istituto previsto e disciplinato dall’articolo 23 ter del d.P.R. 380/01, nella versione aggiornata dal Salva Casa, in quanto ogni volta che si trasformano delle superfici accessorie in superfici utili, occorre il titolo abilitativo (permesso di costruire);
  • Altrettanto errato presentare una SCIA, attestando il cambio di destinazione d’uso senza opere, realizzarle comunque e, solo successivamente, presentare – per i soli interventi effettuati, ad esempio ristrutturazione di un bagno o rifacimento dell’impianto elettrico – una nuova pratica amministrativa, in quanto si tratterebbe di un’elusione sostanziale della norma, che non potrebbe che condurre alla realizzazione di un abuso, come tale perseguibile.

 

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