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Era stata spacciata come un’emergenza nazionale. Tant’è che fu proprio Giorgia Meloni a voler introdurre un nuovo reato per “dare un segnale” ed evitare che l’Italia “fosse maglia nera in tutta Europa” in materia di sicurezza. Pugno duro: pene da 3 a 6 anni e multe da mille a dieci mila euro. Eppure adesso il governo Meloni, a un anno e mezzo di distanza, ammette che il primo decreto del suo mandato per combattere i rave-party non solo non era urgente ma è servito per colpire pochissime persone: nel 2023, 50 sono finite sotto indagine e solo 8 di queste oggi sono a processo con l’accusa di “invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica”, il nuovo reato anti-rave.

Ad ammetterlo non sono le associazioni per i diritti civili, ma lo stesso governo con una risposta del ministro della Giustizia Carlo Nordio a un’interrogazione di Alleanza Verdi e Sinistra in commissione Giustizia alla Camera, a prima firma del deputato Devis Dori. Quest’ultimo, specificando che alcuni gruppi di opposizione avevano denunciato le finalità “meramente politiche” del decreto, chiedeva al Guardasigilli di indicare quante persone siano state denunciate o imputate dall’entrata in vigore del nuovo articolo 633-bis del codice penale.

La risposta di Nordio, che Il Fatto ha letto, è arrivata mercoledì in forma scritta. Il Guardasigilli spiega che la Direzione Generale di Statistica e Analisi Organizzativa del ministero ha raccolto i dati di 118 procure in tutta Italia e le statistiche parlano chiaro: nel 2023 sono stati aperti 21 procedimenti (cioè fascicoli) con il nuovo reato. Di questi, 18 sono stati “definiti”: 6 con l’inizio dell’azione penale che ha portato a 8 persone imputate, cioè sotto processo o su cui pende la richiesta di rinvio a giudizio. Gli altri casi sono stati archiviati, ma il ministero non specifica di quante persone stiamo parlando. Ad ogni modo, continua Nordio, “allo stato gli indagati sono 50”. Dati molto bassi che dimostrano la mancanza di urgenza di introdurre un nuovo reato contro i rave-party, tanto più con un decreto legge.

La risposta di Nordio non solo è significativa sui numeri ma smentisce il governo anche sull’esistenza stessa dei rave party, cioè manifestazioni non autorizzate in cui si trovano giovani da tutta l’Europa. Negli ultimi mesi diversi esponenti di governo – da Matteo Salvini ad Andrea Delmastro – avevano spiegato che in Italia i rave party erano stati “azzerati” con l’introduzione del nuovo decreto. Dopo il primo anno di governo, lo “stop” ai rave era stato rivenduto come un grande risultato in un opuscolo di Fratelli d’Italia proprio in quanto misura simbolo. Ma ad ottobre scorso il sito di fact-checking Pagella Politica ne aveva contati almeno 8 nel 2023 in tutta Italia e i dati sui fascicoli aperti del ministero della Giustizia lo confermano, altrimenti non sarebbero stati aperti 21 fascicoli.

Statistiche che fanno aumentare le perplessità nei confronti del governo sull’introduzione del nuovo reato: spesso il garantista Nordio viene accusato di aver introdotto nuovi reati per lo più inutili e i numeri del ministero della Giustizia sembrano confermare questa ipotesi. L’opposizione, quindi, protesta contro il governo: “Dopo l’approvazione di quel decreto monstre da subito denunciammo il fatto che l’unico scopo del governo fosse quello di creare un nuovo nemico a tavolino col solo scopo di mostrare i muscoli – spiega oggi il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Dori –. Ora abbiamo le prove che quel decreto fosse solo uno spot di inizio legislatura: i numeri sui procedimenti penali attivati in forza del nuovo 633-bis sono veramente risibili. Il Governo è rimasto imbrigliato nel proprio panpenalismo e il Parlamento è stato costretto a investire tempo ed energie su un provvedimento inutile”.

 

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