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La Suprema Corte (Pres. Ceccherini, Rel. Didone) si è pronunciata sul rapporto, ratione temporis, tra l’esdebitazione ex art. 142 l. fall. e la c.d. riabilitazione civile prevista in via originaria dallo stesso articolo, sancendo che «l’istituto dell’esdebitazione […] trova applicazione, secondo quanto disposto dalla disciplina transitoria, quanto alle procedure aperte anteriormente all’entrata in vigore del D. lgs. n. 5 del 2006, purché ancora pendenti a quella data (16 luglio 2006), e tra queste a quelle chiuse nel periodo intermedio, vale a dire sino all’entrata in vigore del D. lgs. n. 169 del 2007 (1 gennaio 2008), purché, in quest’ultimo caso, la relativa domanda venga presentata entro un anno dall’entrata in vigore di detto ultimo decreto»: «ne consegue che non è ammissibile l’esdebitazione per i fallimenti dichiarati chiusi in epoca antecedente all’entrata in vigore del D. lgs. n. 5 del 2006». In ogni caso, «[sin dalla data di chiusura del fallimento], avvenuta con decreto anteriore all’entrata in vigore del D. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 […], si determina il venir meno delle incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento, in virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2008».

Nel caso di specie, un socio di s.n.c., dichiarato fallito insieme alla società, aveva formulato richiesta di esdebitazione: la domanda veniva rigettata dal Tribunale, sul presupposto che non potesse essere applicata la normativa introdotta dal D. lgs. 5/2006, poiché la procedura fallimentare era stata chiusa con decreto il 9 settembre 2005, prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 142 l. fall. Anche in sede di reclamo l’istanza veniva respinta. Il ricorrente denunciava, infine, nel ricorso per cassazione – con unico motivo – la violazione di norme di diritto, formulando, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (ancora applicabile al caso di specie), il quesito «circa l’applicabilità o meno del disposto di cui all’art. 19 del d.lgs. 12.9.07 n. 169 anche a quei fallimenti chiusi nei 5 anni antecedenti la data di entrata in vigore del d.lgs. 9.1.2006 n. 5, ovvero chiusi successivamente al 16.7.2001, e comunque nei 5 anni antecedenti l’entrata in vigore del d.lgs. 12.9.2007 n. 169 ovvero chiusi successivamente al 1.1.2003». Secondo il ricorrente, l’interpretazione accolta dai giudici di merito avrebbe avuto quale conseguenza la privazione, nei confronti di chi aveva acquisito il diritto di chiedere la riabilitazione in base all’abrogata disciplina, del beneficio di quest’ultima nonché dell’esdebitazione introdotta nel 2006.

I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso, ritenendo che nel caso di specie, anche alla luce della giurisprudenza costante della Cassazione, non potesse applicarsi – ratione temporis – la disciplina dell’esdebitazione. Neppure sarebbe stato possibile, in proposito, invocare l’illegittimità costituzionale della normativa menzionata ex art. 3 Cost., dal momento che la scelta del legislatore, imponendo un discrimine temporale di applicazione, non è arbitraria («il fluire del tempo [costituisce] valido elemento diversificatore di situazioni giuridiche»). Ciononostante, ad avviso della Suprema Corte – con riferimento alla domanda del ricorrente – dall’orientamento della Corte Costituzionale (cfr. la sentenza 39/2008) è possibile dedurre che, sin dall’emanazione del decreto di chiusura del fallimento anteriore all’emanazione del D. lgs. 5/2006, «si [verifichi la cessazione] delle incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento». Pertanto, con la chiusura del fallimento del ricorrente (avvenuta nel 2005) sono venuti meno sia «gli effetti del fallimento stesso sul patrimonio del fallito» sia «le incapacità personali che lo avevano colpito per effetto della sentenza dichiarativa di fallimento».

 

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