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È nullo per inesigibilità il debito erariale se il contribuente ha ottenuto l’omologa della esdebitazione da parte del Tribunale.

Questo è quanto stabilito alla C.T.P. di La Spezia con le sentenze gemelle n. 311/19 e n. 312/19 (testi in calce).

La Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia ha annullato il debito erariale di complessivi €. 968.000,00, imputato rispettivamente ai due contribuenti, i quali, a titolo di ex soci di una Snc fallita, avevano ottenuto – in precedenza – l’accoglimento dell’istanza di esdebitazione con conseguente “inesigibilità, anche da parte dell’Agenzia delle Entrate, dei debiti concorsuali non integralmente soddisfatti” (art. 143 Legge Fallimentare).

I fatti del processo

L’Agenzia delle Entrate – Riscossione notificava intimazioni di pagamento a due contribuenti, per redditi di partecipazione (art. 5, Tuir[1]) riguardanti gli anni di imposta 2008/2009; la pretesa trovava la propria legittimità nella notifica di cartelle esattoriali ed avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate; tali atti esattivi ed impositivi erano stati inviati ai contribuenti nell’arco temporale compreso tra il 2013 ed il 2015.

In particolare, i destinatari delle citate ingiunzioni di pagamento avevano rivestito la qualifica di soci di una S.n.c., dichiarata fallita dal Tribunale di La Spezia nel 2010.

La chiave di volta di tutta la linea difensiva adottata dai contribuenti verteva sull’illegittimità delle intimazioni di pagamento e, conseguentemente, degli atti presupposti per inesistenza giuridica del debito (rectius: inesigibilità della pretesa erariale) a mente dell’intervenuto accoglimento dell’istanza di esdebitazione del 17.07.2017[2].

Da tale scenario, secondo la tesi sostenuta dai ricorrenti, conseguiva l’estinzione del credito tributario, a mente dell’art. 143 L.F., in virtù del quale viene stabilito che “il tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l’anno successivo, verificate le condizioni di cui all’articolo 142 e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente”.

Come già anticipato precedentemente, i contribuenti ricoprivano la qualità di soci in un’azienda dichiarata fallita nel 2010.

Successivamente, gli interessati presentavano istanza di esdebitazione (R.D. n° 267/1942, art. 142) in data 21.06.2017 e, per effetto di ciò, in data 17.07.2017, il Tribunale “dichiarava inesigibili nei confronti” della ricorrente “i debiti concorsuali non integralmente soddisfatti”.

Nello stesso decreto si legge infatti che i giudici hanno “ritenuto la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 142, comma 1, L.F. per concedere il richiesto decreto di esdebitazione”, dato che “i creditori concorsuali sono stati soddisfatti in totale adempimento del concordato fallimentare omologato”.

Da un punto di vista processuale, in effetti, l’art. 143, comma 1, L.F. prevede che, con il procedimento di esdebitazione, “il tribunale dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente”.

In particolare, un creditore non soddisfatto totalmente, alla luce della propria pretesa, può presentare reclamo (art. 143, comma 2, L.F.): circostanza non avvenuta nel caso in commento, dunque la inesigibilità risultava fatto storico immodificabile.

Orbene: con la concessione dell’esdebitazione al debitore, il creditore concorsuale non potrà più rivendicare alcun diritto, stante l’intervenuta estinzione del credito con l’impossibilità a promuovere qualsivoglia richiesta formale (ad esempio mediante la notifica di un’intimazione di pagamento[3]), né iniziare alcuna azione esecutiva (pignoramento[4]) nei confronti dell’esdebitato (persona fisica).

Proprio su tale questione, del tutto dirimente per l’accoglimento del ricorso, la Corte di Cassazione con l’ordinanza n° 9440/19, peraltro in corretta conformità ad una precedente Sezioni Unite n° 4779/87), osservava che “l’obbligazione tributaria sorge con il verificarsi del presupposto di fatto al quale è ricollegata l’emersione del tributo, a fronte della quale la successiva attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria attiene all’esercizio del diritto di credito e ha funzione ad essa strumentale”.

In breve, “ove il presupposto impositivo si sia verificato prima dell’apertura del concordato preventivo del debitore, i crediti medesimi devono ritenersi anteriori al concordato, ai sensi della L. Fall., artt. 168 e 184, (Cass., Sez. U., 28 maggio 1987, n. 4779; Cass., Sez. I, 10 agosto 2007, n. 17637)”.

Dunque, “la natura concorsuale del credito rinviene, pertanto, dalla mera circostanza che il credito tributario si ricolleghi a un presupposto di fatto verificatosi in epoca precedente l’apertura di una procedura concorsuale. Ne consegue che risulta irrilevante, al riguardo, la circostanza che, all’atto dell’apertura del concorso, non sia ancora intervenuto alcun accertamento in ordine ai suddetti crediti”.

Alla luce di quanto esposto, i ricorrenti chiedevano al Collegio adito, a mente dell’intervenuta inesigibilità del credito, la dichiarazione di estinzione del credito vantato dall’Ente della Riscossione, al fine di ottenere una pronuncia che investisse per l’intero la pretesa erariale, rappresentata dagli atti prodromici richiamati nelle intimazioni di pagamento.

In breve, l’obiettivo del contribuente era costituito dal conseguimento di una decisione giurisdizionale estesa anche ai provvedimenti pregressi (avviso di accertamento e cartella esattoriale), come confermato dalle pronunce della Suprema Corte, n° 1144/18[5] e n° 18111/18.

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La decisione del Collegio

La C.T.P. di La Spezia accoglieva dunque la linea di pensiero dedotta dai contribuenti, poiché il principio di inesigibilità del credito vantato dall’Ente della Riscossione (ai danni dei ricorrenti) era pacificamente applicabile nella fattispecie in discussione, dato che il fallimento fu dichiarato nel 2010, mentre la pretesa in esame era imputabile limitatamente al biennio 2008 – 2009, pertanto in un periodo antecedente all’apertura della richiamata procedura concorsuale.

Peraltro, ad ulteriore chiarimento di quanto illustrato, tutti gli atti tributari richiamati nelle intimazioni di pagamento erano stati tutti notificati dal 2013 al 2015, dunque ben prima della chiusura del procedimento di esdebitazione, avvenuta – come diffusamente anticipato – nel 2017.

CTP LA SPEZIA, SENTENZA N. 311/2019 >> SCARICA IL TESTO PDF

CTP LA SPEZIA, SENTENZA N. 312/2019 >> SCARICA IL TESTO PDF


[1] La norma, al comma 1, prevede che “i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.

[2] Per mero scrupolo “narrativo” della vicenda processuale in commento, i contribuenti eccepivano, in via subordinata, l’applicazione dell’art. 144, L.F. il quale stabilisce che il decreto di omologazione dell’esdebitazione “produce effetti anche nei confronti dei creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo; in tal caso, l’esdebitazione opera per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado”.
Sul punto, nel decreto di omologazione del concordato fallimentare si legge che ai creditori di cui all’art. 2752 c.c. (“crediti per tributi diretti dello Stato, per imposta sul valore aggiunto e per tributi degli enti locali”) sono soddisfatti “con pagamento percentuale pari al 2% del credito”.

[3] art. 50, comma 2, D.P.R. n° 602/73.

[4] Su tale aspetto si veda dall’art. 62 e ss., D.P.R. n° 602/73.

[5] Nella citata ordinanza, i giudici di legittimità hanno osservato che “in materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poiché tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria, spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che nel primo caso – che ricorre nella fattispecie in esame – dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi) (Cass. S.U., n. 5791/2008)”.

 

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