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Se hai ricevuto il pignoramento della pensione e vuoi verificare se l’importo accantonato dalla banca o dall’Inps sia quello corretto, ecco le regole da conoscere.

Quando il creditore avvia il pignoramento della pensione può farlo in due forme diverse: o direttamente presso l’Inps, prima che l’importo venga corrisposto al pensionato oppure dopo che la somma è stata accreditata sul conto corrente di quest’ultimo. In entrambi i casi, l’importo massimo pignorabile non è sempre uguale poiché – come vedremo a breve – dipende dalla misura annua della pensione sociale: essa infatti è un parametro fissato dalla legge per determinare fino a quanto si può spingere il pignoramento del debitore.

In attesa dunque di conoscere la circolare dell’Inps che fisserà la misura dell’assegno sociale per l’anno in corso, vediamo, per il momento, qual è la misura massima del pignoramento della pensione 2017.

Pignoramento dello stipendio in capo all’Inps

Il creditore può decidere di pignorare la pensione quando ancora non è stata accreditata al pensionato, ossia quando è ancora nelle casse dell’INPS o di qualsiasi altro ente di previdenza. In tal caso, il pignoramento massimo consentito è di “un quinto” del netto della pensione, detratto il cosiddetto «minimo vitale», una somma garantita al pensionato per consentirgli un’esistenza dignitosa. Il minimo vitale è pari all’assegno sociale erogato dall’Inps aumentato della metà.

Vediamo meglio come si calcola il minimo vitale: bisogna prendere l’importo dell’assegno sociale (importo annualmente rivalutato) e sommarvi il 50% di tale stesso importo. Pertanto, se la pensione sociale è attualmente di 448,07 euro, il

minimo di sopravvivenza impignorabile è pari a 672,10 euro (ossia 448,07 + 224,03 [che è la metà di 448,07]). Il risultato di tale operazione costituisce la parte di pensione impignorabile, sotto la quale cioè essa non può mai scendere nonostante il pignoramento.

Per il 2015 l’assegno sociale ammontava a 448,51 euro mensili per 13 mensilità [1]; invece per il 2016 e il 2017 (fino a nuova circolare dell’Inps) la misura resta quella indicata lo scorso 31 dicembre 2015 [2], ossia 448,07 euro mensili per 13 mensilità.

La misura del «minimo vitale» è introdotta due anni fa [3], anche se già elaborata, in precedenza, dalla giurisprudenza. Così ora il codice di procedura civile dispone quanto segue [4]:

«Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge

».

A ciò si aggiunge un’altra questione. Con riferimento al pignoramento dello stipendio e della pensione, sono state fissate delle soglie per la pignorabilità dello stipendio e delle altre indennità connesse al rapporto di lavoro. Infatti, per importi fino a 2.500 euro la quota pignorabile è 1/10; per somme comprese tra 2.500 e 5mila euro è 1/7; per somme superiori ai 5mila mila euro si applica la quota di 1/5, che costituisce il limite massimo pignorabile. Inoltre, se l’accredito delle somme dovute a titolo di salario, stipendio o di altra indennità derivante da un rapporto di lavoro o di impiego confluiscono in un conto intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all’ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo.

Facciamo un esempio. Su una pensione di 1.500 euro si dovrà prima detrarre il minimo vitale (672,10 euro). Il risultato è pari a 827,90 euro ed è su questo che si applica il pignoramento che, come detto, è pari a un decimo (trattandosi di pensione inferiore a 2.500 euro). Di conseguenza, la parte di pensione mensilmente pignorabile presso l’Inps è pari a 82,79 euro.

Pignoramento della pensione sul conto corrente

Se la pensione viene pignorata quando ormai è stato accreditata sul conto corrente (il che è obbligatorio per pensioni pari o superiori a 1.000 euro), valgono regole diverse. Un tempo il pignoramento si poteva spingere al 100% di tali somme. Ma la riforma ha modificato tutto ciò disponendo in particolare che:

  • le somme già accreditate sul conto prima della notifica del pignoramento possono essere pignorate dal creditore solo per quella parte di importo che supera il triplo della pensione sociale. Nel 2016 la pensione sociale ammonta ad euro 448,07 per 13 mensilità. Per cui la somma non pignorabile sul conto è di 1.344,21. Per esempio, se il pensionato ha sul c/c 2.000 euro all’atto della notifica del pignoramento, il pignoramento è di 655,79 euro (ossia 2.000 – 1.344,21); se invece il pensionato dovesse avere sul conto solo mille euro, alcuna somma potrà mai essere pignorata;
  • le somme accreditate sul conto dopo la notifica del pignoramento possono essere pignorate:

a- nella generalità dei casi, nella misura massima di 1/5 dell’emolumento versato sul conto;

b- se il creditore agisce per crediti alimentari, nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o dal giudice delegato;

c- per i crediti dello Stato, Province o Comuni: nel limite di 1/5;

d- per il pignoramento in concorso di più cause creditorie (alimenti, tributi, altre cause) fino alla metà della base pignorabile.

Come sapere presso quale banca il debitore ha lo stipendio?

Ma come fa a sapere il creditore il nome della banca ove il pensionato riceve mensilmente la pensione? Egli, dopo aver notificato il precetto, può chiedere al Presidente del Tribunale, di consentirgli l’accesso alla cosiddetta Anagrafe dei rapporti finanziari, ossia dei conti correnti: un maxi data base in cui sono contenuti – a beneficio del fisco – tutte le indicazioni sui conti correnti degli italiani. In tal modo è possibile conoscere l’istituto di credito dove viene accreditato il conto corrente del debitore e procedere a un pignoramento “a colpo sicuro”.

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