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“Nomen omen’ dicevano i romani, che credevano che nel nome della persona sia indicato il proprio destino (letteralmente, “il nome [è] augurio”). Quello che è certo è che il nome è un elemento imprescindibile della propria identità, ecco perché il Giappone potrebbe in un futuro non lontano smettere di essere ‘La terra dei cognomi singoli’.

Un soprannome che deriva da una legge in vigore dal 1898 nel Paese e che obbliga le coppie sposate ad adottare un unico cognome. Dice il Codice Civile: “Il marito e la moglie devono adottare il cognome del marito o della moglie in conformità con quello deciso al momento del matrimonio”. Scelta che poi trasmetteranno alla prole.

Attualmente il Giappone è l’unico Stato al Mondo ad obbligare per legge le coppie sposate ad adottare un unico cognome. Un’anomalia, dopo l’intervento delle Nazioni Unite del 1975 grazie al quale gli Stati hanno dovuto adottare sistemi a doppio cognome. Eppure, il Paese del Sol Levante resiste e persiste, nonostante il comitato delle Nazioni Unite che monitora la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna si sia interessato del caso in quattro occasioni tra il 2003 e il 2016.

I giapponesi vogliono cambiare

Eppure la società nipponica, molto tradizionalista e apparentemente immobile, nel tempo è cambiata: esiste infatti un movimento per la legalizzazione dei cognomi separati, che negli anni è cresciuto in modo importante. Ne sono un esempio le cause intentate fin dagli anni ’10 del 2000, che sebbene non abbiano portato a nulla di concreto – per la Corte Suprema giapponese le norme che obbligano al cognome unico sono costituzionali – rappresentano un indicatore del sentire comune.

I sondaggi lo confermano: uno studio condotto nel 2022 da un think tank affiliato al ministero del Welfare ha registrato che il 61% degli intervistati era favorevole all’opzione del doppio cognome, dato confermato da un’altra analisi sempre del 2022 ma realizzata dalla Stanford University, per la quale la percentuale arrivava al 70%.

Il notiziario locale giapponese Mainichi riporta oggi che il 22 e 23 giugno ha condotto un sondaggio nazionale – privo di valore statistico – sul sistema del doppio cognome, dal quale è emerso che Il 20% non è “né d’accordo né in disaccordo”, il 22% è contrario, il 57% vorrebbe i cognomi separati anche dopo il matrimonio.

Di contro, una rilevazione del 2022 della Confederazione sindacale giapponese afferma che circa il 39,3% dei lavoratori vorrebbe mantenere la tradizione di condividere un unico cognome.

In ogni caso qualcosa inizia a muoversi anche a livello istituzionale: il Mainichi riferisce che la prefettura di Kagawa è stata la prima in cui tutte le assemblee locali lo scorso marzo hanno approvato una richiesta alla legislazione nazionale a favore della possibilità di mantenere i cognomi separati per le coppie anche dopo il matrimonio. Perché, è la motivazione, è un “tema di diritti umani”.

Ma qual è il problema del cognome unico?

Può sembrare una questione di lana caprina, o comunque un capriccio o un’esagerazione, ma non è così. Intanto c’è un problema di identità personale: il nome e il cognome sono qualcosa che ci accompagna e identifica fin dalla nascita, qualcosa di molto personale: il nostro nome siamo noi. Dunque, rinunciarci crea dei disagi rispetto alla nostra stessa identità. Per capirlo, basta chiederci quanto farebbe piacere a ciascuno di noi dirgli addio.

Poi in Giappone c’è tutto l’aspetto pratico: chi cede il proprio cognome non può più usarlo sul lavoro, e questo si porta dietro una serie di problemi con gli uffici di immigrazione, oppure per firmare contratti e in generale poter lavorare con gli altri Paesi, oltre all’impossibilità di ottenere la patente di guida o un conto bancario all’estero.

Il sistema del cognome unico sta di fatto diventando un’altra barriera allo sviluppo professionale delle donne attive a livello internazionale, magari conosciute sul lavoro col loro nome da nubile e poi costrette a cambiarlo.

Va detto che la legge non obbliga una parte specifica – la moglie – a prendere il cognome dell’altra – il marito- ma nel concreto, secondo un’indagine svolta nel 2015 dal governo, nel 95,5% dei casi è la donna a rinunciare.

Come conseguenza, i (pochissimi) uomini che abbiano scelto di cedere loro vengono derisi e discriminati, tacciati di essere deboli e comandati dalle mogli. Un problema evidente, che si amplifica per semplici ragioni numeriche per le donne, che oltre alle difficoltà pratiche subiscono anche vessazioni se vogliono tenere il proprio cognome sul lavoro.

Il tutto in una società che ha parecchi problemi di parità tra i due sessi, e dove il ruolo delle donne rimane subordinato ed estremamente tradizionale. Proprio la tradizione viene invocata dal governo e dai giudici della Corte Suprema, secondo cui abolendo la norma del cognome unico si rischia di minare l’unità familiare e di confondere i bambini.

Che poggia su un equilibrio molto fragile e basi poco solide, verrebbe da dire, se dipende tutto da un cognome.

Business batte tradizioni

Se la situazione attuale vede dunque la spinta al cambiamento da una parte e l’attaccamento al passato dall’altra, l’ago della bilancia può essere a questo punto un terzo elemento: l’economia.
L’importante lobby imprenditoriale nipponica Keidanren (Japan Business Federation), che raccoglie aziende, associazioni di industriali e organizzazioni regionali, lo scorso 10 giugno ha nuovamente chiesto al governo di cambiare e introdurre il sistema del doppio cognome “il prima possibile”, come riporta il The Asahi Shimbun: “Le donne sopportano un onere sproporzionato di disagi e svantaggi nella loro vita quotidiana e professionale a causa del cambiamento dei loro cognomi“, spiega l’associazione.

“Ci aspettiamo che il governo presenti al più presto proposte di legge per modificare le norme correlate e che la Dieta tenga discussioni costruttive”, chiede la Keidanren senza mezzi termini.

Il business dunque potrebbe avere la meglio sulla tradizione.

Ma c’è anche un altro aspetto che il governo dovrebbe tenere in conto, con un po’ di sana realpolitik: l’obbligo del cognome unico frena i giapponesi dallo sposarsi: secondo un sondaggio effettuato proprio dal governo nel 2021 infatti, il 26% delle donne e l’11% degli uomini hanno citato “la riluttanza o la difficoltà a cambiare il proprio cognome” come motivo per non volersi sposare.

E siccome nella società giapponese fare figli è previsto quasi esclusivamente all’interno del matrimonio (altra tradizione che resiste), questa riluttanza implica che niente sposalizio niente prole: un fattore che contribuisce ai tassi di natalità quasi inesistenti del Paese.

Quindi forse, più che pensare ad app che ti trovano marito/moglie, come recentemente introdotte a Tokyo, al Giappone converrebbe agire sul fronte dei diritti e della semplificazione.

 

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