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Si allontana l’accusa più grave, la bancarotta fraudolenta; per Daniela Santanchè (nella foto) si fa invece più vicina la prospettiva di un processo per falso in bilancio, che andrebbe ad aggiungersi a quello che la Procura di Milano si prepara a chiedere per truffa ai danni dell’Inps. Al centro di tutto, Visibilia: la concessionaria di cui il ministro del Turismo è stata per anni l’anima e il dominus, e che ha lasciato al momento di entrare nel governo. Ma le cui vicissitudini continuano a pesare sul suo ruolo politico, nonostante il voto compatto con cui la maggioranza ha respinto pochi giorni fa in Parlamento la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni.

A rendere nota la chiusura delle indagini è stato un comunicato del procuratore Marcello Viola. «L’ipotesi di reato di bancarotta è stata stralciata dal procedimento principale poiché per nessuna delle società del gruppo Visibilia è intervenuta nel frattempo dichiarazione di insolvenza»: se il fallimento verrà evitato, come la Santanchè è convinta di riuscire a fare, lo stralcio dovrebbe sfociare in una archiviazione definitiva.

A processo la Procura si prepara invece a portare il ministro e altri sedici indagati tra cui l’ex marito Canio Mazzaro, l’attuale compagno Dimitri Kunz d’Asburgo Lorena e la sorella Fiorella Garnero: tutti, in una veste o nell’altra, passati negli organi societari di Visibilia nei sette anni – tra il 2014 e il 2021 – secondo la Procura i conti dell’azienda sono stati sistematicamente truccati «nascondendo al pubblico le perdite» e «evitando la necessaria costosa ricapitalizzazione». A monte di tutto, nella ricostruzione dei pm milanesi, c’era «la sistematica incapacità del complesso aziendale di produrre reddito, avvalendosi di piani industriali ottimistici – approvati dal cda della società Visibilia Editore spa – che contenevano previsioni di reddito operativo mai rispettate».

Nelle sedici pagine dell’avviso notificato ieri ai 17 indagati (e alle tre società della galassia Visibilia indagate come persone giuridiche) vengono indicati nei dettagli le voci di bilancio che sarebbero state abbellite per nascondere il reale andamento dell’azienda: dal valore delle partecipazioni ai crediti verso il fisco ai «crediti per fatture da emettere» ai «crediti per note da ricevere» ai crediti verso l’ex compagno Alessandro Sallusti: fino, ed è la voce più rilevante, ai «crediti verso clienti» per oltre cinque milioni di euro, messi a bilancio nonostante non ci fosse speranze di incassarli realmente. Il top, secondo i pm, si raggiunge nel 2018 quando a bilancio viene indicato un patrimonio positivo di 140mila euro invece di un patrimonio negativo di 8 milioni e 663mila euro.

«Non ho niente da commentare», è l’unica reazione ieri del ministro Santanchè. Se si andrà al processo, la battaglia sarà in buona parte affidata ai periti contabili, destinati a muoversi in un territorio sabbioso, la valutazione dei crediti e delle previsioni di cassa, dove (come raccontano altre famose indagini) una verità oggettiva non è sempre a portata di mano.

Nel frattempo, il ministro incassa l’appoggio del leader di Forza Italia Antonio Tajani: «Sono stato garantista con tutti coloro che sono stati coinvolti nelle inchieste a Bari, non ho chiesto un passo indietro per nessuno in altre parti d’Italia e non chiedo passo indietro neanche alla Santanchè».

 

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